Un po’ come quello che si era seduto dalla parte del torto perché da quella della ragione non c’era più posto, eccomi a scrivere una cosa non troppo seria su egemonia culturale e destra di governo dopo che tutte le cose intelligenti sull’argomento le ha scritte Walter Siti in un pezzo imperdibile su Domani del 5 febbraio scorso.

A mia giustificazione c’è il fatto che l’attualità offre continuamente nuovi spunti: è di questi giorni, per esempio, il gran rifiuto di Paolo Giordano, che si è sfilato dalla gara per la direzione del Salone del Libro di Torino, spiegando che «allo stato delle cose si sarebbe arrivati a una guida non totalmente libera». «Più che di pressioni partitiche o politiche, parlerei di convenienze e posizionamenti», ha precisato Giordano, il quale ne fa, dunque, una questione di libertà da condizionamenti, da qualunque parte arrivino.

Ma c’è chi pensa male e vede in filigrana la tentazione di dettare linee e riorientare gerarchie nell’ambito culturale da parte di chi avrebbe avuto dalle ultime vittorie elettorali un chiaro mandato per smantellare finalmente l’egemonia culturale della sinistra in Italia.

Ora, se qualcuno pensa che questa benedetta egemonia della sinistra si smantelli facendo spoil system nelle (poche) istituzioni culturali ancora vive e non elaborando, appunto, cultura, mi pare commetta un errore di strategia – ancorché comprensibile, vista la facilità della prima opzione rispetto alla seconda.

Da parte nostra, si può ritenere un peccato non avere Paolo Giordano alla guida del Salone, ma la questione più ampia, se, cioè, la cultura di destra sia in grado di esercitare una qualche egemonia in questo paese e se questo sia un pericolo (per chi? Per cosa?) resta sul tavolo. Se me lo concedete, proverei a guardare la questione su un piano diverso da quello delle persone e dalle poltrone, un piano meno prosaico e più fantasioso.

L’anello del potere

Comincerei così: c’era una volta un Oscuro Signore che teneva soggiogato il paese non solo grazie alle sue squadracce di orchetti, ma anche con il potere di un oggetto bellissimo e pericoloso: un anello, forgiato da lui stesso, con il quale controllava e corrompeva le menti e i cuori. I popoli liberi si allearono, riuscirono a sconfiggere l’Oscuro Signore e sul campo di battaglia gli strapparono l’anello - che da allora fu perso, si credeva per sempre. Tuttavia, fu ritrovato.

E si scoprì che non c’era modo di usarlo senza soccombere al potere di chi l’aveva creato: anche al dito di un(a) giovane dalla faccia pulita, senza legami con il passato regime, l’anello manteneva la sua natura malvagia e non poteva essere usato per il bene.

Lo riconoscete? È il setup del Signore degli Anelli – e, se non lo avete letto, potete almeno guardarvi i film: non vorrete mica farvi superare da Giorgia Meloni sul piano culturale. È anche, come ben si capisce, una ardita metafora per quella volta che la destra italiana ebbe effettivamente l’egemonia culturale saldamente in mano: durante il regime fascista. L’anello del potere, quello che comanda tutti gli altri, sarebbe quindi la cultura (lato sensu) del regime fascista, e l’Oscuro Signore sarebbe quello là.

Realismo o isteria

Seguendo la metafora, si capisce la ragione per cui i sinceri democratici hanno un soprassalto quando, per dire, Dante viene iscritto a Fratelli d’Italia. Sembrerà una cosa ridicola, ma anche l’anello all’inizio del libro di Tolkien viene usato solo per una burla di compleanno – e poi si scopre che c’è ben poco da scherzare.

Quindi, ogniqualvolta sembra che la destra italiana tenti di costruirsi un’egemonia culturale, gli hobbit, gli elfi e gli uomini (e donne) di sinistra vedono all’orizzonte ergersi la Torre di Mordor e tutto quel che ne consegue. Hanno ragione? O cedono all’isteria?

Egemonia diversa? 

La questione, mi pare, è se in ballo c’è proprio e sempre quell’unico anello. Fuor di metafora, se il tentativo è quello di ricostruire l’egemonia culturale del fascismo, oppure invece di forgiarne una diversa, ancorché non di sinistra. Per l’appunto Siti consiglia a tutti gli interessati di «recuperare all’indietro la cultura di destra che esisteva prima del fascismo». 

Sarebbe tanto bello, mi pare, se l’anello creato apposta per comandare tutti gli altri, quello a vocazione totalitaria, fosse lanciato nel vulcano una volta per sempre, e magari si tornasse a quelli che c’erano anche prima – che erano peraltro molti (nove per gli umani, sette per i nani, tre per gli elfi) – o magari, hai visto mai, ci si mettesse a lavorare su un anello nuovo di zecca.

Certo, è più facile mettere veti, spostare fondi, o nominare amici, però poi non ci si deve stupire se poi qualcuno reagisce male e si mette a cantare Bella Ciao. Dall’altra parte, nemmeno si può gridare tutte le volte allo scandalo: il pluralismo degli anelli dovrebbe essere un valore per tutti e bisognerebbe tenere presente che non necessariamente ascoltare qualcuno di diverso dai soliti Gandalf o Galadriel vuol dire voler tornare al Minculpop.

Gli orchi

Già che ci sono, vorrei spingere la metafora un po’ più in là. In un capitolo che si ricorda poco (forse perché è verso la fine del Signore degli Anelli, bisogna veramente leggere il libro per arrivarci e nei film non c’è), sentiamo in presa diretta le voci degli orchi di Mordor che chiacchierano durante una marcia.

E si scopre che, alla fin fine, pure loro sono dei poveri diavoli, soldati per obbligo e desiderosi di tornare alle loro case: l’egemonia culturale di Sauron non pare poi così salda, visto che nemmeno la sua truppa ritiene naturale e necessaria la lotta in cui è impegnata (va detto per correttezza che, per l’appunto, l’Oscuro Signore non è in possesso del suo magico anello).

Profetico consumismo

Gli orchi, sia chiaro, non hanno nessuna intenzione di diventare radical chic di sinistra o di mettersi ad abbracciare gli alberi: semplicemente, sembrano molto più interessati a una vita tranquilla con la pancia piena a casa propria che a combattere e saccheggiare.

E, fuor di metafora, che tra fascismo e comunismo la lotta per l’egemonia culturale sia stata poi vinta a sorpresa da una sorta di consumismo acefalo e sottoculturale, in un mondo che ha perso la minaccia dell’Impero del Male ma da cui se ne sono andati anche tutti gli elfi e i portatori dell’anello, non mi pare la minore delle profezie tolkieniane a essersi realizzata.

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