Dunque lo sappiamo, ce l’hanno detto chiaro: l’ambizione della Destra è subentrare alla “egemonia culturale della Sinistra”. Rimpiazzarla, ristabilendo un’alternanza alterata negli ultimi settantacinque anni; ma è esistita davvero questa egemonia e, se sì, con quali caratteristiche?

Certo, dopo la Resistenza il cinema e la letteratura si sono schierati principalmente a sinistra; o direttamente sotto l’egida del Pci o comunque nell’area.

Ma la Dc, che pure non era stata estranea alla Resistenza, ha rappresentato almeno dal 1948 una forza borghese interclassista molto abile nell’impadronirsi delle due strutture culturali di base, la comunicazione e la scuola.

La radio e la televisione erano quasi del tutto appannaggio borghese e moderato, barriera (anche religiosa, vedi i “madonnari pellegrini” del ‘49) contro il neorealismo e le speranze dei senza Cristo.

Arte e cultura

FILE - In this May 3, 1968 file photo people throw stones at police during a student strike in Paris, France. Emmanuel Macron was not even born when students and workers joined forces during the May 1968 Paris uprising. Fifty years on, the French centrist president is showing no sympathy for the students who have been blocking universities for weeks in opposition to his education reforms, or the railway workers currently on strike against plans to reform the country's national rail company. (AP Photo, File)

Dopo il Sessantotto qualcosa è cambiato: nella scuola è stato sconfitto il principio d’autorità, la Sinistra ha conquistato il terzo canale televisivo e nella Chiesa c’era don Milani; ma è da allora che l’università ha cominciato a perdere importanza come ente formativo della classe dirigente, i padroni han cominciato a fare studiare all’estero i promettenti eredi.

Contemporaneamente a sinistra si instaurava una bizzarra equazione tra cultura e arte, mentre l’arte risentiva sempre più l’influsso dell’Impero americano.

Gli Usa ci colonizzavano l’inconscio, la loro musica e i loro film (soprattutto quelli col maggior successo di massa) non sempre erano progressisti.

Antonio Gramsci si era posto il problema dell’egemonia culturale cercando di spiegare perché la rivoluzione non fosse scoppiata in Europa, come il marxismo aveva previsto; aveva capito che, oltre alla forza materiale, una classe per diventare dominante doveva impadronirsi di un bene più immateriale, cioè della capacità far apparire indiscutibili (anzi, naturali) le proprie idee e i propri valori agli occhi della maggioranza.

Da questo punto di vista la missione della classe operaia ha registrato una serie di delusioni e fallimenti: dai carri armati sovietici a Budapest e a Praga, al progressivo irrigidirsi del comunismo cubano (noi omosessuali leggevamo Antes que anochezca di Reynaldo Arenas), fino agli orrori della rivoluzione culturale cinese con la Banda dei Quattro; i più estremisti di volta in volta si sono lasciati prendere da entusiasmo perfino per la Cambogia di Pol Pot e per l’Albania, o per il Khomeini ‘parigino’.

Il surrogato della rivoluzione

The aftermath of the student riots in Paris is evident on the morning of May 11, 1968. (AP Photo)

Dall’essere un lavoro di preparazione l’egemonia culturale ha preso ad assumere l’aspetto di un contentino, o diciamo pure di un surrogato rispetto a una rivoluezione impossibile.

Un po’ come, secondo Raffaele La Capria, il sentimentalismo ‘popolare’ (ma in realtà borghese) napoletano dopo la fallita rivoluzione del 1799.

L’egemonia culturale che la classe operaia avrebbe dovuto conquistare si trasformava insensibilmente in un settore ambiguo e ‘avanzato’ di egemonia borghese, provvisto di molte letture e intellettualmente raffinato.

Di qui alcune fondamentali domande dell’ultimo mezzo secolo: che cos’è un borghese di sinistra? Come si rapporta al mondo della produzione materiale, che tipo di pedagogia esercita?

Si accorge del suo progressivo allontanamento dai poveri e incolti? il ceto operaio sempre meno unito che cosa spera se non di diventare a sua volta piccolo borghese?

Di qui, soprattutto, quella malattia infantile dell’egemonia che è consistita nell’arroganza di pensare che bastasse essere intelligenti per essere di sinistra, che la Sinistra avesse sulla Destra una superiorità quasi genetica, insomma che la ‘vera’ cultura non potesse che essere di sinistra.

La timidezza della Destra

Dunque la Destra ha ragione nel voler ribaltare questo stato di cose: ma mi sembra che il suo errore, finora, stia in un eccesso di timidezza – invece che affrontare il problema alle radici, si limita a rinfacciare alla Sinistra i suoi tic più superficiali (il gender, lo schwa, l’inclusività senza limiti o discussioni).

Che certo non sarebbero superficiali se fossero digeriti dalla Sinistra non come vuoti slogan ma come smontaggio necessario dei rapporti di potere fossilizzati, solo che allora si dovrebbe parlare di una questione primaria, appunto, come quella delle ragioni del conservatorismo di fronte a una mutazione dagli esiti incerti. Invece mi pare che ci si perda in una specie di grottesca battaglia dei topi e delle rane: Dante era di destra o di sinistra? e Leopardi, che derideva il riformismo toscano ma negava col suo pessimismo di “malpensante” ogni consolazione e sosteneva che “il male è nell’ordine”?

E Montale, rigoroso antifascista negli anni Trenta ma equidistante nei Cinquanta dal “chierico rosso o nero”? e Wagner, rivoluzionario della musica che fa venir voglia (secondo una famosa battuta di Woody Allen) di “invadere la Polonia”? e Visconti tra La terra trema e Ludwig?

Come figurine che ci si butta in faccia, tornando all’infausta terminologia degli anni Settanta, fasci contro zecche.

Ora al potere non c’è più una forza composita e mediatrice come la Dc, c’è un partito erede dell’unica parte dello schieramento parlamentare che non può annoverare la Resistenza nel proprio pedigree; e anzi, ha tentazioni revansciste nei confronti di chi per molti anni lo ha emarginato e demonizzato, spingendolo nell’angolo della rima “fogne/ carogne”.

Proprio per questo, però, credo che la sua mossa seria sul piano culturale non sia la rassicurazione a oltranza di aver fatto i conti col fascismo, di aver ripudiato le leggi razziali eccetera; né l’arroccamento dietro bandiere ormai sbiadite come disciplina, Dio, famiglia.

Credo che dovrebbe recuperare all’indietro la cultura di destra che esisteva prima del fascismo, dai tempi post-rivoluzionari francesi all’inizio del Novecento.

Credo che dovrebbe, per esempio, sottoporre a critica serrata il principio di uguaglianza, elaborare una teoria delle élites 2.0, riflettere sulla necessità della guerra, esprimere perplessità (perché no ?) sul principio stesso di rappresentanza democratica, rivedere la retorica dell’amor di patria alla luce dei mutamenti del quadro geopolitico mondiale.

Una Destra così disponibile a esporsi senza infingimenti tattici indurrebbe forse anche la Sinistra a riesaminare i propri totem ormai ridotti e etichette.

Senza contare, se vogliamo tornare al tema dell’egemonia culturale, che l’entità più vicina all’idea gramsciana è in questo momento la tecnologia.

Leggi di natura tecnologica 

Sono i principi guida del progresso tecnologico quelli che accettiamo senza discutere, come se fossero leggi di natura.

Il mercato del virtuale avanza con una accelerazione continua che fa lo slalom attraverso i vecchi paletti della appartenenza politica; se guardiamo all’origine dei Big Five occidentali (Google, Microsoft, Apple, Facebook, Amazon) troviamo individui fondatori che nascevano da una cultura radical tendenzialmente “di sinistra” (figli dei fiori, libertarismo, scuole montessoriane per i figli); ma i colossi che ne sono nati, a partire da pretese assai più modeste relative alla comunicazione e alla logistica, sono diventati organismi difficili da dirigere da qualunque apprendista stregone.

Il deep learning e le reti neurali, di cui ora si parla tanto, consentono performance imprevedibili soltanto dieci anni fa; fanno risparmiare tempo, aiutano nel trovare rapidamente nuovi farmaci, risultano utili nel perseguire i delinquenti; ma possono creare fake news quasi indistinguibili dal vero, possono guidare verso le moschee i droni bombardieri, offrono ai cinesi lo strumento per individuare e monitorare gli uiguri tramite il riconoscimento facciale.

Tutti si dichiarano convinti che siano necessari meccanismi di controllo, ma non si sa chi dovrebbe applicarli né come si possano distinguere dalla censura; attratti dalla comodità nella nostra vita quotidiana, tutti ne facciamo un uso indiscriminato e ci illudiamo di impiegare in senso progressista dei meccanismi che sono oggettivamente autoritari.

Se ora i dati sono diventati il principale mezzo di produzione, chi li immagazzina e li accumula sarà il padrone.

Insomma, la Destra e la Sinistra tradizionali che si strappano di mano il testimone dell’egemonia rischiano di assomigliare a due gruppi che litigano per la precedenza sull’autobus mentre gli sfreccia accanto un treno su monorotaia che fa seicento chilometri all’ora.

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