Come avrebbe passato il suo compleanno Pier Vittorio Tondelli? Ci penso ogni volta che il 14 settembre si avvicina. Lo rivedo da qualche parte su una spiaggia della riviera adriatica, è steso su un lettino, il telo si muove sotto la brezza, lo sguardo oltre la striscia cobalto del mare e quella dorata della sabbia, mentre il tramonto allunga le ombre. Si tratta sempre della stessa scena, una cartolina ben precisa che lui stesso ha descritto nel 1989, nelle ultime pagine di Camere separate.

Sono stata a contatto con la sua opera per così tanti anni che solo per questo giorno, come eccezione, lascio cadere la mia mente di lettrice nell’errore che la studiosa non si concederebbe, e confondo il personaggio con lo scrittore: a essere su quella spiaggia, infatti, non è Pier ma Leo, il protagonista del romanzo. Compie 31 anni, sono passati solo pochi mesi dalla morte del suo compagno e così, lentamente, deve imparare di nuovo a stare al mondo da solo.

I bilanci 

I compleanni da adulti portano sempre con sé qualcosa di estenuato e, che lo si voglia o meno, reclamano dei bilanci. Tondelli era ossessionato dalla riflessione sul tempo che passa e fin dalle sue primissime prove non ha mai mancato l’occasione di tentare una mappatura delle età dell’uomo, sondandone i confini. Così è stato anche per molti dei suoi personaggi fino a quello che gli assomiglia di più, l’ultimo di cui ha raccontato.

Leo non ha una famiglia, non un lavoro stabile, non un compagno. Il paradosso del vedersi invecchiare senza potersi propriamente definire adulti è al cuore del pensiero tondelliano: bisogna per forza passare attraverso l’allineamento e l’integrazione istituzionale per evolversi come individui?

Da Altri libertini a Camere separate, Pier Vittorio Tondelli ha svelato il lato oscuro del romanzo di formazione indicandone gli aspetti più escludenti e coercitivi.

Dagli scritti giovanili del 1978 – canovacci per una serie di performance di teatro di strada – fino agli ultimi articoli risistemati nel 1990 per Un weekend postmoderno, la scrittura è stata soprattutto uno strumento di ricerca lanciato a immaginare altri modi di raccontare il rapporto dell’uomo col tempo della vita. Leggendo i testi dell’autore correggese in continuità non si può fare a meno di notare poi il ritorno ossessivo di una soglia, quella dei trent’anni.

Una delle prime volte in cui mi sono affacciata agli inediti tondelliani, ho trovato un dattiloscritto giovanile in cui con ironia l’autore si domandava se anche i suoi personaggi avrebbero messo la testa a posto, una volta raggiunta quell’età. In effetti si tratta per Tondelli di un terminus post quem oltre il quale non è più legittimo dichiararsi giovani, perfino per uno come lui che – volente o nolente – aveva contribuito a farne una categoria letteraria.

Occupare la posizione dell’outsider ai margini della società degli integrati ha imprigionato a lungo lo scrittore e i suoi libertini in uno stato di eterna giovinezza da cui sembrava impossibile uscire senza tradirsi. Proprio nel tentativo di comprendere questo stato di sospensione va cercato l’interesse del correggese per il racconto Il trentesimo anno di Ingeborg Bachmann, la storia di un uomo che alla soglia dei trent’anni intraprende un viaggio alla ricerca di sé perché non si riconosce né in chi era stato né in chi sarebbe dovuto essere.

«Di uno che entra nel suo trentesimo anno non si smetterà di dire che è giovane», ha scritto l’autrice, «ma lui, benché non riesca a scoprire in sé stesso alcun mutamento, non ne è più così sicuro: gli sembra di non avere più il diritto di farsi passare per giovane». Echi di queste parole riaffiorano nell’opera tondelliana lungo tutta la seconda parte degli anni Ottanta, dalle pagine più diaristiche alla narrativa e ai reportage.

Racconto diverso

Quest’anno Tondelli avrebbe compiuto 68 anni, che è l’età di mio padre e di alcuni dei miei maestri, ma l’ultimo compleanno che lo scrittore abbia mai festeggiato è stato quello dei 36, la mia età di oggi. Anche io, come lo scrittore correggese, ho a lungo pensato che i trent’anni costituissero una soglia, un termine entro il quale avrei dovuto realizzare una serie di tappe personali che la società si aspettava da me, e non esserci riuscita è stata spesso causa di frustrazione.

Dalla scrittura di Pier Vittorio ho imparato che era possibile raccontarsi in modo diverso. La soluzione a quello che apparentemente sembra un paradosso insormontabile, attraversare cioè il processo di formazione senza conformarsi ai dettami dei ruoli sociali, avviene grazie alle potenzialità creative del linguaggio e al potere di significazione del racconto.

La maturazione ultima dell’individuo, continua e graduale, nell’opera di Tondelli passa attraverso una serie di illuminazioni e trova infine pieno compimento nella cura, intesa come la capacità di amare oltre sé stessi.

Quando arriva settembre penso al compleanno di Pier Vittorio Tondelli e poi gli pago tributo ritornando puntualmente alle sue pagine, come fossero il luogo di un appuntamento. Lo faccio per afferrare ogni volta il mistero di uno sguardo che ha superato i limiti del generazionale ed è riuscito a raggiungere l’universale nelle più piccole cose.

Uno dei passaggi che leggo più spesso è il messaggio dedicato a François Wahl in Biglietti agli amici (1986), quando lo scrittore racconta di come la letteratura nel suo atto più pratico sia riuscita ad avvicinarlo «a quel bambino che era più di quanto sia mai accaduto nel corso della sua giovinezza».

Scrivere di un paesaggio autunnale o di un quadro di Corot diventa il segreto per appropriarsi del mondo con la curiosità di chi guarda le cose per la prima volta e le comprende in modo diverso. Anche oggi, se avesse compiuto 68 anni, Pier sarebbe stato quel bambino alla ricerca costante di una rivelazione, di un satori portatore di senso capace di annullare le distanze nel tempo e nello spazio e in grado di aiutare anche il più solitario dei viaggiatori a non sentirsi mai davvero solo, mai troppo lontano.

Saggio e ingenuo

Un po’ invecchiato rispetto alle fotografie che conosciamo, ma pur sempre uguale, immagino Tondelli questo settembre se solo gli fosse stato concesso di festeggiarsi ancora, e allora mi vengono in mente certi versi di Morrissey –  I am so glad to grow older, to move away from those younger years – quelli con cui lo scrittore si era già congedato da noi nel suo ultimo romanzo. Probabilmente li canterebbe ancora sottovoce su quella spiaggia adriatica al tramonto, ripensando al ragazzo che è stato.

Se porta a poco speculare su quello che l’autore sarebbe diventato se non fosse scomparso prematuramente, significa molto invece riconoscere quello che di lui permane in chi lo ha letto o in chi lo leggerà per la prima volta.

Saggio e al tempo stesso ingenuo soltanto come una certa poesia, Tondelli continua a mettere in discussione con la sua opera la rappresentazione delle nostre vite e delle esperienze che ci troviamo ad affrontare come esseri umani.

Celebrarlo ogni settembre in occasione del suo compleanno è diventato il mio rituale laico che mi ricorda quanto perfino crescere possa essere un atto rivoluzionario quando si impara a rinnovare la giovinezza nella meraviglia e a coltivare saggezza nella riflessione.

© Riproduzione riservata