Il caso della ragazza adolescente che ha subito abusi sessuali da parte di due cugini dall’età di 10 anni riporta al centro l’uso dei nuovi media nell’amplificare la violenza. Siamo di fronte, nell’intreccio tra l’uso dei social e l’abbassarsi dell’età degli attori di violenza e delle vittime, alla nuova frontiera di un fenomeno antico. La veste e gli strumenti cambiano, ma la dinamica della violenza maschile è sempre la stessa
Siamo rimasti sconvolti dal più recente tra i casi di violenza maschile: abusi sessuali subiti da un’adolescente a Sulmona, iniziati addirittura quando lei aveva soltanto 10 anni, da parte di due cugini anche loro giovanissimi. Come ormai spesso accade alle nuove generazioni, le violenze sessuali sono state filmate e i video utilizzati per ricattare la vittima e violentarla ancora. Sembra che lei abbia trovato il coraggio di denunciare proprio quando le immagini sono finite su Whatsapp e quindi condivise potenzialmente all’infinito.
Non è la prima volta che una sequenza di stupri riguarda una bambina, ma questo fatto arriva dopo un’estate complicata, in cui la scoperta prima del profilo Facebook “Mia moglie” e poi della piattaforma “Phica.eu” ha fatto interrogare l’opinione pubblica, oltre che sui pericoli del web e dell’intelligenza artificiale, sulla natura profonda dei rapporti tra uomini e donne.
La mancanza di un limite alla violenza maschile sgomenta, impaurisce, fa orrore. Siamo a mio avviso di fronte, nell’intreccio tra l’uso dei social e l’abbassarsi dell’età degli attori di violenza e delle vittime, alla nuova frontiera di un fenomeno antico. La veste e gli strumenti cambiano, ma la dinamica della violenza maschile è sempre la stessa, è poco sovrapponibile con l’odio ma è ben radicata nella cultura patriarcale, con i suoi corollari: la cultura dello stupro e del possesso del corpo e della vita di una donna; la volontà di sottomissione e la sperequazione di potere; gli stereotipi e i pregiudizi condivisi a livello sociale che fanno della vittima una vittima due volte.
Una rivoluzione culturale
Quanto è avvenuto a questa bambina richiama all’estrema esigenza di compiere fino in fondo quella rivoluzione culturale che le donne nel mondo occidentale hanno iniziato un paio di secoli fa e che ha già dato tanti frutti, ma non abbastanza. In questo, lo sappiamo, le leggi – sulle quali abbiamo fatto enormi passi in avanti – non bastano. Serve l’educazione al rispetto della differenza, alla parità tra i sessi, all’affettività e forse anche all’uso consapevole dei nuovi media e serve formazione a tutto tondo per riconoscere la violenza maschile, smascherarla, combatterla: non ci stancheremo di dirlo a una destra che sul terreno culturale fa davvero fatica. E serve continuare a cambiare i modelli sociali di riferimento.
Quest’ultima vicenda abruzzese fa, infatti, per l’ennesima volta, riflettere: è la vittima a provare vergogna di fronte alle immagini dello stupro, mentre i carnefici ne approfittano per ricattarla e violarla ancora e ancora. Su questo il caso Pelicot è destinato a fare scuola. Dobbiamo ribaltare a 360 gradi questo gigantesco stereotipo. Sono gli uomini, i ragazzi a doversi vergognare e a dover capire che un corpo femminile non si viola. Le donne, le ragazze, le bambine possono tenere la testa alta. Lo stigma sociale ricada com’è giusto, sui maschi, solo su di loro.
I social amplificano la violenza
Un elemento, quello della vergogna, ricorrente anche nelle vicende di “Mia moglie” e “Phica.eu”, che nella loro odiosità hanno quanto meno avuto il merito di scoperchiare il vaso di Pandora sull’intreccio perverso tra violenza maschile, web, social media, intelligenza artificiale. È ormai un dato di fatto: l’ambiente virtuale e i suoi nuovi strumenti amplificano la violenza maschile ai danni delle donne, soprattutto tra le nuove generazioni in cui i primi contatti con l’altro sesso non avvengono nel mondo reale.
La relazione con l’altro/a, tanto cara al pensiero femminista perché trasformativa, al tempo dei social media diventa virtuale e ciò rafforza l’incapacità maschile al confronto e all’empatia e la tendenza all’oggettivazione del corpo femminile e quindi alla violenza in tutte le sue forme.
Non è un caso se in tutte le vicende citate i nuovi media sono protagonisti: sono stati utilizzati per condividere materiale fotografico e video, per alterarlo e sessualizzarlo, per detenere un potere sulle vittime e ricattarle, per stringere nuove alleanze maschili basate sulla cultura dello stupro. Non solo, mentre espone le donne vittime allo sguardo collettivo e potenzialmente globale, il web può garantire l’anonimato agli uomini carnefici, aumentando la nota asimmetria di potere.
Tutto questo deve cambiare, il web non può essere terra di nessuno. Alla luce della nuova rivoluzione dell’intelligenza artificiale e delle sue infinite potenzialità di contraffazione di foto, video e audio, sarà assolutamente indispensabile introdurre al più presto l’accesso ai social media e in genere alle piattaforme attraverso l’identità digitale, per evitare la copertura dell’anonimato.
Bisognerà inoltre trovare modi per garantire il diritto di ciascuna e ciascuno all’identità e all’integrità della propria immagine. Così come i gestori dovranno essere chiamati alla responsabilità sui contenuti, che in alcuni casi configurano reati già esistenti come il revenge porn. Ma tutto questo non basterà. Se due minorenni violentano una bambina di 10 anni, se una donna viene drogata, abusata e data in pasto dal marito a centinaia di sconosciuti, vuol dire che sono gli uomini e la loro mentalità a dover cambiare e che la sfida è soprattutto culturale.
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