Sin dall’esordio di questo governo, il rapporto di Giorgia Meloni con i media indipendenti è stato uno dei primi e inequivocabili segnali di erosione dello stato di diritto e di antieuropeismo. Gli attacchi ai giornalisti hanno subito destato sconcerto nelle istituzioni europee. Adesso però quella distanza tra palazzo Chigi e Bruxelles sta diventando una voragine.

Da una parte c’è una Unione europea che fa quel che le è possibile per tutelare la libertà giornalistica: proprio di recente le istituzioni Ue hanno trovato l’accordo sia per la legge Ue contro le querele bavaglio (le “slapp”), che sul regolamento europeo per la libertà dei media. E da una parte che più opposta non si può, c’è il governo Meloni che a Bruxelles preme per lo spionaggio dei giornalisti e che a Roma li querela e manda a processo. C’è l’emendamento Costa «che spacciano per applicazione di una direttiva europea ma è esattamente il contrario» per il presidente della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi), Vittorio Di Trapani.

C’è «quella insofferenza verso la libera informazione tipica di una “populista contro il popolo” che prova a indebolire i contropoteri, come ha già fatto Viktor Orbán prima di lei», dice il segretario generale della Federazione europea dei giornalisti (Efj) Ricardo Gutiérrez. Il sindacato europeo si è peraltro attivato per allertare il Consiglio d’Europa sulle ultime iniziative liberticide del sottosegretario Claudio Durigon contro Domani. Gli attacchi alla libertà di informazione sono talmente numerosi da tratteggiare un sistema.

Bavaglio anti-europeo

Per capire la distanza ormai abissale che separa Chigi da Bruxelles si può partire da due date estremamente ravvicinate: il 30 novembre le istituzioni europee hanno raggiunto un accordo sulla legge europea anti slapp; il 14 dicembre l’Europa è tornata in allerta per i bavagli del governo, con il j’accuse del sindacato europeo dei giornalisti (Efj) per l’ennesimo atto di Durigon contro Domani. Mentre Bruxelles prova a tutelare l’informazione libera, il governo Meloni la bersaglia.

Con la “legge anti slapp”, l’Unione europea, facendo leva sul carattere transfrontaliero delle querele volte a inibire giornalisti e difensori dei diritti, mostra capacità di reazione su un tema per il quale altrimenti non avrebbe specifiche competenze per intervenire; lo fa con la consapevolezza che quasi il 43 per cento di querele temerarie parte da esponenti politici, e che non sempre i governi nazionali intervengono.

Un recente studio commissionato dall’Europarlamento mostra che l’Italia ha il primato in fatto di slapp: il 25,5 per cento, ovvero un caso su quattro, si configura come querela bavaglio. Da quando Meloni è al governo, la Federazione europea dei giornalisti, che fa le sue allerte su una apposita piattaforma del Consiglio d’Europa, ha visto a sua volta i numeri impennarsi.

Che una premier porti a processo i giornalisti – come ha fatto con Roberto Saviano e come succederà quest’estate al direttore di Domani – ricorda precedenti allarmanti. «Muscat diceva di essere in tribunale come una persona qualunque, peccato usasse l’apparato di un premier»: a Corinne Vella, i premier che querelano ricordano i tempi in cui il governo maltese lanciava decine di attacchi giudiziari contro sua sorella Daphne Caruana Galizia, poi assassinata.

Il caso dei carabinieri che si presentano nella redazione di Domani per sequestrare un articolo online dopo una querela di Durigon ha fatto rumore in Ue, tra interrogazioni di eurodeputati e interventi delle organizzazioni per la libertà di informazione: da allora, in Europarlamento gli attacchi di Meloni contro i giornalisti sono entrati nella storia.

Verso fine anno, dopo che il sottosegretario ha diffidato Domani dal pubblicare altre notizie e ha chiesto la rimozione degli articoli («Per ogni giorno che passa dovete darmi 500 euro in più»), l’eurodeputata liberale olandese Sophie in’t Veld ha chiamato in causa ancora una volta la Commissione europea, allertandola perché «ancora una volta un membro del governo italiano attacca i media». Il sindacato europeo ha a sua volta stigmatizzato l’episodio: «Ecco l’ennesimo tentativo di silenziare il lavoro giornalistico di inchiesta!».

L’emendamento Costa «è totalmente contrario agli standard europei di libertà di informazione», al punto che «qualora entri in vigore sarebbe lecita la disobbedienza civile» secondo Gutiérrez di Efj.

Atti di libertà (e atti contro)

Il 15 dicembre le istituzioni Ue hanno trovato l’accordo sullo European Media Freedom Act (Emfa). Nasce come tentativo della Commissione di far leva sulle proprie competenze regolatorie del mercato comune per puntellare con regole europee il pluralismo.

Il governo Meloni si è accodato ad altri sei stati membri – con la Francia di Emmanuel Macron in testa – per provare a usare l’Emfa come un cavallo di Troia volto a legalizzare lo spionaggio dei giornalisti (l’alibi era la sicurezza nazionale). Ma a Bruxelles questa linea liberticida non è passata. Quando Emfa entrerà in vigore, operazioni come la presa della Rai – il «cambio di narrazione» per usare l’espressione meloniana – strideranno ancor più con le regole europee.

Basti ricordare l’articolo 5 della bozza: parla di «imparzialità e pluralità» per il servizio pubblico, imponendo procedure «aperte e trasparenti» per la nomina dei vertici. Cosa farà Meloni quando l’Ue passerà dalle raccomandazioni agli obblighi?

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