È iniziata la controffensiva di Donald Tusk. Il Pis – il partito ultraconservatore che in Polonia è al governo e in Europa è alleato di Meloni – gli ha scagliato contro indagini e leggi ad hoc. Lo ha fatto con la tracotanza di chi governa smantellando l’equilibrio fra poteri: casomai servisse un’ulteriore conferma, anche questo lunedì la Corte di giustizia Ue ha ribadito che il governo di Varsavia ha un problema con l’indipendenza dei giudici. L’indagine contro Tusk, la lex Tusk: sono multipli gli attacchi contro il volto chiave dell’opposizione, tornato apposta due anni fa dalla politica europea a quella nazionale per sfidare il potere assoluto ultraconservatore.

L’ex premier ed ex presidente del Consiglio europeo ha preso la rincorsa: non è indietreggiato davanti agli attacchi, se non per ripartire più forte. La sua controffensiva in vista del voto di ottobre è cominciata dalla piazza di domenica, da una Varsavia rianimata con mezzo milione di manifestanti, da una opposizione unita per l’occasione. «Voglio fare un voto solenne, qui davanti a voi, oggi. Andiamo al voto per vincere. Per regolare i conti, per riparare i torti». Tusk non vuole solo riprendersi la Polonia. Vuole riprendersi la «patria», strappare al Pis elettori e argomenti.

Scontro frontale

A Varsavia c’è chi è convinto che a guidare l’assalto del Pis a Tusk non siano le ragioni, ma un unico, potente sentimento: «l’odio», secondo Gazeta Wyborcza. Non è così, o almeno non solo: l’odio non è una categoria della politica, ma semmai della retorica. Su quel fronte ci si mena da anni: per Jaroslaw Kaczynski, leader del Pis, Tusk è responsabile di ogni male, compresa la morte del suo gemello Lech; per Tusk, Pis è «il male» tout court. Ma gli attacchi contro il leader di opposizione non hanno a che fare con le passioni; hanno a che fare con le elezioni.

A metà ottobre il Pis proverà a mantenere il governo della Polonia, mentre Tusk proverà a strapparglielo. Nell’estate del 2021 Platforma obywatelska – la «piattaforma civica» di centrodestra fondata proprio da Tusk nel 2001 – era crollata del 12 per cento e si trovava braccata ai fianchi da nuovi competitor centristi come Szymon Hołownia. Così Tusk è tornato da Bruxelles – cedendo la presidenza del Ppe a Manfred Weber – con una missione: rianimare il partito e prendersi la premiership, come nel 2007.

Ora le elezioni incombono, come l’offensiva del Pis. Non si può comprenderne la portata senza prima chiarire che con gli ultraconservatori al governo l’indipendenza della magistratura è stata gravemente compromessa: è anzitutto per questo che la Polonia, assieme all’Ungheria, è da anni la pecora nera dell’Ue sullo stato di diritto. Questo lunedì la Corte di giustizia europea ha sentenziato che la riforma della giustizia del 2019 va contro le leggi Ue.

In questa cornice, ad aprile è partito l’attacco giudiziario contro Tusk. La procura di Varsavia ha avviato un’indagine contro di lui, andando dietro le accuse di Marek Falenta, controverso imprenditore responsabile dello spionaggio ai danni del governo Tusk, condannato per questo al carcere, e che un’inchiesta giornalistica del 2018 associa ai servizi russi. Secondo l’accusatore, quando era al potere Tusk avrebbe interferito sulla libertà di fare affari forzando lo stop alle importazioni di carbone dalla Russia.

Il secondo, principale attacco del Pis contro il leader di opposizione è stato non a caso soprannominato “Lex Tusk”: la nuova legge – presentata sotto la veste di iniziativa contro le interferenze straniere – è volta a colpire Tusk. Una commissione speciale, con poteri straordinari e con il dono dell’impunità, può screditare e soprattutto interdire dai pubblici uffici una persona (...Tusk?) fino a dieci anni.

Andrzej Duda, il presidente della repubblica di area Pis e il pontiere con Washington, non si è fatto scrupoli nel firmare la lex Tusk; salvo poi proporre i suoi emendamenti, dopo che Usa e Ue hanno espresso rimostranze. Niente interdizione, niente parlamentari nella commissione: Duda ha annunciato la sua versione emendata il 2 giugno, guarda caso a ridosso della manifestazione antigovernativa che Tusk aveva convocato per domenica.

Riprendersi la «patria»

Il Pis deve aver realizzato che Tusk sta capitalizzando politicamente l’attacco contro di lui: la manifestazione del 4 giugno ha tenuto insieme tutto l’arco delle opposizioni, mobilitando contro il governo mezzo milione di persone. Con Lech Wałęsa al suo fianco e nell’anniversario della caduta del regime a giugno 1989, Tusk ha pronunciato un discorso volto a ribaltare l’altro regime, quello ultraconservatore: «Non siamo qui per cercare differenze tra di noi. Dobbiamo prevalere contro il male» alle elezioni di ottobre. Tusk propone una visione di «speranza», di una Polonia europea e democratica, ma soprattutto punta a risvegliare movimenti ed elettorato.

La guerra in Ucraina ha contribuito a ibernare le proteste che avevano animato il paese – come l’ondata femminista per l’aborto del 2020 – e ha garantito al Pis l’effetto rally ‘round the flag (stretta attorno alla bandiera): la protezione della nazione dal nemico è diventata prioritaria rispetto alle critiche al governo. Ecco perché Tusk, oltre a evocare le battaglie femministe e civili, ha imperniato il suo discorso anche sulla ojczyzna, la patria. Fa leva sull’orgoglio nazionale: vuole intendere che la nazione non è prerogativa degli ultraconservatori, e in questo modo fare appello a un elettorato il più ampio possibile. Vuole liberare dal dominio del Pis prima le parole, poi i voti, e il paese.

© Riproduzione riservata