Mentre l’agenda della presidenza di turno francese, cominciata il 1° gennaio, non è una novità, la presentazione davanti all’Europarlamento riserva invece molte sorprese, che si riassumono nella difficoltà crescente di esprimere dissenso o sollevare interrogativi.

Il presidente francese Emmanuel Macron viene contestato prima del suo discorso, dagli ambientalisti, e dopo, dai giornalisti, che reagiscono a una conferenza stampa in cui viene loro negata la possibilità di fare domande. Durante il suo discorso invece, in un emiciclo che inizia l’èra di Roberta Metsola presidente, contestare le sue politiche diventa più arduo che mai.

Questione di clima

(Foto Greenpeace)

Mentre Macron disserta di «sovranità strategica, campioni industriali, difesa comune, digitale e clima» davanti agli eurodeputati, alcuni tra loro hanno appena fatto piombare una lettera sul tavolo del Consiglio dell’Ue, e cioè proprio il consesso dei ministri degli stati membri guidato ora dalla presidenza francese. I 75 eletti, con primi firmatari Cornelia Ernst per la sinistra, Claudia Gamon per Renew, Michèle Rivasi dei verdi e Andreas Schieder dei socialdemocratici, chiedono ai ministri dell’Energia di frenare la tassonomia preparata da Bruxelles e fortemente indirizzata politicamente da Parigi.

In questa classifica degli investimenti sostenibili, la Commissione europea ha infatti annoverato gas e nucleare come verdi, piegandosi così ai gruppi di interesse e ai voleri dei governi: proprio la Francia ha guidato una vasta alleanza tra paesi pro nucleare e pro gas. Il mondo ambientalista ha accolto il presidente a Strasburgo tra le proteste: Greenpeace e altre associazioni hanno fatto una performance di protesta davanti all’Europarlamento, con «Macron colpevole sul clima» e «greenwashing» come slogan. Intanto in place Kléber, nel centro della città, altri attivisti protestavano, sempre al grido di «greenwashing!» e con la presenza di eurodeputati ecologisti come Rivasi.

Le incongruenze di Macron

In teoria, nel lungo discorso all’aula, Macron ha citato il clima tra le priorità, e ha esordito parlando di «democrazia a rischio, da rinvigorire».

Eppure tra i punti sui quali il presidente francese è oggetto di critiche, anche in aula, ci sono proprio clima e stato di diritto, che sono per certi aspetti connessi tra loro: per coalizzare un fronte gas-nucleare, Macron già molto prima della sua presidenza ha dialogato intensamente proprio coi governi polacco e ungherese, nel mirino dell’Ue per le loro violazioni della rule of law. Nel Consiglio europeo di ottobre, in pieno scandalo Polexit, Macron ha portato avanti la strategia merkeliana del compromesso con la Polonia, con la quale intanto discuteva di energia.

I paesi di Visegrad hanno seguito la Francia sulla stessa strada, nella partita della tassonomia. A dicembre, per imbastire la sua presidenza di turno, Macron si è recato a Budapest nel giorno del summit del gruppo di Visegrad, e con il premier ungherese Viktor Orbán ha discusso dei dossier che gli stavano a cuore. Il rispetto dello stato di diritto non era in cima alle priorità, e sollecitato sul tema dai giornalisti, il presidente francese ha liquidato la questione: «Spetta alla Commissione attivarsi». Mercoledì davanti agli eurodeputati Macron si è schermito così: in una fase in cui la transizione energetica non è ancora completa, gas e nucleare servono per abbandonare il carbone e per evitare di essere «vulnerabili» ai ricatti russi sull’energia. L’Eliseo quindi non rinnega il suo ruolo sul tema, e anche i compromessi con Budapest e Varsavia sono giustificati dal fatto che «siamo pur sempre europei», dunque è lecito negoziare su questioni energetiche.

L’èra Metsola e il dissenso

La presidenza di turno francese coincide con la campagna elettorale per le presidenziali francesi di aprile. Lo stesso Macron ha scelto l’Europa come chiave di campagna, e allo stesso modo nell’aula di Strasburgo ha trovato suoi competitor in Francia. Per i verdi, a fare il discorso iniziale è stato l’eurodeputato Yannick Jadot, che ha vinto le primarie ecologiste ed è candidato all’Eliseo.

Jadot ha accusato Macron di «climaticidio», rimproverandogli le posizioni su gas e nucleare e i compromessi con Polonia e Ungheria. Alla fine del suo intervento, con una scelta inedita visto che spesso verdi e socialisti hanno fatto fronte comune, la presidente del gruppo socialdemocratico Iratxe Garcia Pérez è intervenuta per un richiamo al regolamento: «Chiedo rispetto per il dibattito, tutti avremmo opportunità di fare campagna». Dopo di lei, un intervento analogo da Stéphane Séjourné, presidente di Renew. Socialdemocratici e liberali hanno siglato da poco l’accordo di metà mandato coi popolari, che ha portato a Metsola presidente; e questo spiega in parte i riposizionamenti.

Metsola è a sua volta intervenuta, dopo l’intervento della presidente della sinistra, Manon Aubry, per dire che intende «far rispettare la dignità dell’aula». Nessuno ha reagito invece al discorso del sovranista Jordan Bardella, lepeniano che siede in Identità e democrazia, che ha parlato in ottica del tutto nazionale, con accenti islamofobi, parlando di «sostituzione» etnica.

Conferenza senza obiezioni

(La conferenza stampa senza domande di Macron e Metsola. Foto Europarlamento)

Prima che Macron lasciasse il parlamento, lui e Metsola si sono presentati nella sala stampa, ma la conferenza era senza possibilità di fare domande. Alcuni giornalisti se ne sono andati in segno di protesta. Chi ha provato a rincorrere Macron con la telecamera si è sentito rispondere dal presidente che «avete fatto le vostre domande sulla presidenza già a dicembre».

La federazione internazionale dei giornalist (Ifj) è intervenuta: «Macron e Metsola, non potete dirvi per la libertà di stampa e poi non far fare domande ai giornalisti».

Duro il commento di Edwy Plenel, fondatore di Mediapart: «La presidenza francese dell’Europa comincia con un rifiuto di rispondere alle domande della stampa. Il diritto all’informazione è una libertà fondamentale».

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