L’annuncio che alimenta un dibattito già caldo in Europa è del presidente francese Emmanuel Macron e arriva all’indomani di un fatto di cronaca brutale: a Nogent, nell’Alta Marna, uno studente di 15 anni ha accoltellato e ucciso un’assistente scolastica di 31 anni. Il capo dell’Eliseo promette dunque di «vietare l’uso dei social media ai minori di 15 anni in Francia».

Una misura drastica. La connessione tra l’episodio e l’iniziativa politica non è stata esplicitata, ma a molti è apparsa evidente nella tempistica. «Se l’Unione europea non lo fa, lo faremo noi», ha detto Macron in un’intervista a France 2, sottolineando la necessità di una risposta forte davanti a una «crisi dell’infanzia» aggravata dalla pressione degli algoritmi e dall’esposizione incontrollata a contenuti nocivi.

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Tuttavia a Bruxelles, mercoledì 11 giugno durante il briefing giornaliero con la stampa, un portavoce della Commissione europea ha replicato al presidente francese, sottolineando che la competenza in materia resta nazionale. «Un nuovo divieto esteso dei social media non è ciò che la Commissione sta facendo». Ma ha anche aggiunto: «Condividiamo le stesse preoccupazioni. Vogliamo rendere lo spazio digitale sicuro per i nostri figli».

L’attenzione dell’Ue si concentra sul Digital Services Act (DSA), la legge sui servizi digitali che impone obblighi alle piattaforme, ma non stabilisce limiti d’età universali per l’accesso ai social. «È stato chiaramente stabilito nel Gdpr, che dice che è competenza degli stati membri mettere in atto misure per la maggioranza digitale tra i 13 e i 16 anni. Quindi, naturalmente, gli Stati membri possono optare per questa opzione».

Il caso italiano

Un gioco di rimbalzi che arriva a pochi giorni dalla proposta di legge depositata dalla deputata Luana Zanella (Alleanza Verdi e Sinistra) una decina di giorni fa, per vietare l’accesso ai social media ai minori di 16 anni. Le motivazioni sono nette: «I social minano la dignità dei minori e compromettono il loro benessere psico-fisico. È un problema di salute pubblica», ha dichiarato la capogruppo alla Camera. 

Zanella ha citato dati forniti da Istat, Istituto superiore di sanità e Polizia postale: il 32,6 per cento dei bambini tra i 6 e i 10 anni usa lo smartphone ogni giorno, mentre il 62,3 per cento dei preadolescenti tra 11 e 13 anni ha almeno un account social, nonostante la legge italiana già preveda un’età minima di 14 anni, abbassabile a 13 con il consenso dei genitori.

«Il problema – osserva la parlamentare di Avs – è che i minori che utilizzano i social sviluppano comportamenti asociali, non controllano il tempo, non dominano le paure che vi si annidano, subiscono pornografia che impone modelli di maschi violenti, o il cyberbullismo. Non nascondiamo la testa sotto la sabbia, questo ormai è un problema per moltissime ragazzine e ragazzini, per le loro famiglie, è un problema sociale. Intanto affrontiamolo ponendo dei limiti».

Il confronto con gli altri paesi

Buone intenzioni che non trovano riscontri reali di efficacia nel resto di Europa. In assenza di regole armonizzate, ogni paese europeo ha infatti con gli anni adottato soluzioni diverse.

Attualmente in Germania l’accesso ai social è legale dai 16 anni, salvo consenso genitoriale. Questa è la regolazione più severa rispetto ad altri paesi. Funziona? In parte. Le segnalazioni di contenuti pericolosi vengono trattate con maggiore rapidità rispetto ad altri paesi, ma si è generato anche un effetto collaterale: il cosiddetto “overblocking”. Per evitare multe salate, le piattaforme tendono a cancellare contenuti anche legittimi, limitando in modo eccessivo la libertà di espressione.

In Norvegia si discute di alzare l’età minima a 15 anni. In Grecia, il governo ha presentato un pacchetto di misure che prevede una verifica d’età tramite “portafogli digitali per minori”, app di parental control e restrizioni pubblicitarie. Ma al momento si tratta solo di progetti: nessuno dei due paesi ha ancora attuato un sistema funzionante.

In Spagna il limite legale è 14 anni, ma con un’alta tolleranza nella prassi. Nei Paesi Bassi l’accesso consentito dai 16 anni, anche se le piattaforme non applicano filtri efficaci.

L’educazione digitale che non c’è

In tutto il continente, il vero punto critico è uno: nessun paese ha trovato un sistema efficace e rispettoso della privacy per verificare l’età degli utenti. Le piattaforme si affidano ancora all’autocertificazione. Inserire una data falsa è facilissimo.

I sistemi biometrici o documentali sollevano interrogativi legittimi sulla protezione dei dati. E intanto, bambini e adolescenti continuano a entrare sui social senza barriere. Quello che sparisce di fronte a tutto questo dibattito sembra essere l’esigenza di un’educazione digitale.

Alcuni esperti mettono in guardia dal rischio di misure troppo rigide che potrebbero spingere i ragazzi verso canali alternativi, meno controllati e più pericolosi. Amy Orben (BMJ, 2025) lo definisce «irrealistico e potenzialmente dannoso». McAlister et al. (JMIR, 2024) segnalano che i social offrono anche benefici psicosociali. Kaufman e Leaver (Scimex, 2024) sottolineano che il divieto espone i ragazzi a rischi maggiori una volta online. Meglio educare all’uso critico e creare ambienti digitali sicuri.

La mossa della Francia può aprire un dibattito più ampio su ciò che significa crescere in un’epoca in cui l’identità si costruisce (anche) online. Ma dati alla mano servono strumenti concreti: educazione digitale, un’alleanza tra famiglie, scuole e istituzioni. Il problema non è solo il divieto, ma che cosa andrà a sostituire l’algoritmo.

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