Mai come in questa tornata elettorale la Costituzione è stata al centro del dibattito e soprattutto delle polemiche. Fratelli d’Italia, infatti, ha immediatamente messo al centro del suo programma non le risposte alle contingenze esterne – dalla guerra alla crisi economica ed energetica – ma una profonda modifica dell’impianto statale.

La parola d’ordine di Giorgia Meloni, infatti, è stata il presidenzialismo, contenuto anche nel programma di centrodestra ma senza alcun dettaglio sul suo possibile funzionamento. Sul fronte opposto, il Partito democratico ha parlato di allarme democratico proprio davanti a possibili modifiche costituzionali che mettano in pericolo i diritti, soprattutto se approvate senza l’accordo di un vasto arco parlamentare.

Al netto delle polemiche, però, che Fratelli d’Italia voglia modificare in modo sostanziale la Costituzione è apparso chiaro già nella passata legislatura. Tra Camera e Senato, infatti, sono state depositate 35 proposte di riforma costituzionale, la maggior parte delle quali incardinate a Montecitorio e a prima firma proprio di Meloni. 

Obiettivo di FdI è stato quello di provare a modificare circa un quinto degli articoli della Carta, con particolare accento su quelli che riguardano le funzioni del presidente della Repubblica, il titolo V che prevede il funzionamento delle regioni e i rapporti con l’Unione europea e l’articolo 27, che riguarda la responsabilità penale e la funzione della pena detentiva.

Già a partire da queste proposte di riforma si intuisce che tipo di visione istituzionale promuoverà Meloni e le priorità costituzionali che con tutta probabilità torneranno anche in questa legislatura: accentramento dei poteri in chiave presidenzialista, sovranità nazionale rispetto ai vincoli europei, riscoperta dei simboli nazionali (dall’inno di Mameli ai dialetti, fino al giuramento dei parlamentari) e spinta su sicurezza e ordine pubblico.

Del resto lo ha detto chiaramente uno dei dirigenti chiave di FdI, Francesco Lollobrigida, poche ore dopo la vittoria di FdI: «Non intendiamo toccare i valori fondanti contenuti nella prima parte. Ma il mondo non è più quello del 1948».

Il Presidenzialismo

Tra le prime proposte di riforma costituzionale presentate nel 2018 sia alla Camera che al Senato c’è la riforma presidenziale, articolata nella modifica della seconda parte della Carta che indica le funzioni della presidenza della Repubblica, dagli articoli 83 al 104. Nella relazione si spiega che «il presidenzialismo non è un'invenzione dell'ultima ora, è una storica proposta di Fratelli d'Italia e della destra italiana: investe l'efficienza della nostra democrazia, la capacità decisionale del potere politico e le risposte da dare alle richieste di modernizzazione delle istituzioni». L’obiettivo è quello di dare «legittimazione popolare» al capo dello Stato, che negli anni ha acquisito «nella prassi», poteri che lo hanno posto al centro dei rapporti tra organi istituzionali. 

Si introduce l’elezione diretta del presidente della Repubblica, definendone il nuovo ruolo nell’ambito del governo: presiede il consiglio dei ministri, dirige la politica generale del governo, può revocare i ministri. Si prevede che sia «eletto per cinque anni. Può essere rieletto una sola volta». Si prevede inoltre il meccanismo del ballottaggio tra i due più votati nel caso in cui nessuno abbia raggiunto la maggioranza assoluta. Conserva il potere di sciogliere le camere e la guida delle forze armate.

Infine, è introdotto l'istituto della sfiducia costruttiva, attraverso la quale una delle due camere può determinare la caduta di un esecutivo, ma solo indicando il nome del futuro Primo ministro.

Si tratterebbe quindi di una riforma costituzionale con una sorta di sistema alla francese, con il presidente che guida l’esecutivo e non è più organo di garanzia costituzionale.

In corso di legislatura, è stata presentata anche un’altra proposta di riforma costituzionale per introdurre la non rieleggibilità del presidente della Repubblica, eliminando di conseguenza il cosiddetto “semestre bianco” che impedisce al presidente di sciogliere le camere negli ultimi 6 mesi del suo mandato.

Accanto a queste due proposte strutturate, è stata depositata anche la proposta di legge costituzionale per istituire una assemblea per la riforma della seconda parte della Costituzione, ovvero quella che si occupa dell’ordinamento e quindi dei tre poteri dello stato e degli enti locali.

L’Unione europea

Le proposte in materia di rapporti con l’Unione europea sono state due, entrambe presentate a inizio della passata legislatura e a prima firma di Giorgia Meloni. In una si prevedeva la modifica degli articoli 11, 97, 117 e 119 della Costituzione nell’ottica di modificare sia il principio di sovranità italiano rispetto all’Ue che il rapporto tra l’ordinamento italiano e quello europeo. 

La proposta prevede la cancellazione dalla Costituzione dei tre riferimenti all’Unione europea, contenuti in altrettanti articoli: il riferimento dell’articolo 97 al fatto che le pubbliche amministrazioni assicurino l’equilibrio dei bilanci in coerenza con l’ordinamento Ue; il 117 nella parte in cui prevede che lo stato eserciti la sua potestà legislativa nel rispetto dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali; il 119, che prevede che anche regioni e comuni soggiacciano ai vincoli comunitari.

Di fatto, si tratta di un pacchetto di proposte che porterebbe l’Italia fuori dalle regole dell’Unione europea perché elimina qualsiasi riferimento al principio della cosiddetta “preminenza” del diritto dell’Ue. Un principio che si fonda sull’idea che, nel caso in cui sorga un conflitto tra un aspetto del diritto comunitario e una legge di uno stato membro, prevalga il diritto dell’Ue, che ovviamente interviene solo negli ambiti previsti dai trattati europei. Senza, verrebbe meno ogni possibilità per l’Ue di mettere in pratica politiche comuni agli stati membri.

La seconda proposta conteneva anche la modifica dell’articolo 11 della Costituzione, introducendo che «Le norme dei Trattati e degli altri atti dell'Unione europea sono applicabili a condizione di parità e solo in quanto compatibili con i princìpi di sovranità, democrazia e sussidiarietà, nonché con gli altri princìpi della Costituzione italiana». Sostanzialmente, l’obiettivo della modifica era quello di eliminare qualsiasi rimando costituzionale che stabilisca la preminenza del diritto comunitario su quello interno.

Le istituzioni

Anche dal punto di vista del funzionamento delle camere, Fratelli d’Italia ha presentato alcune proposte di modifica della Costituzione per modificarne gli assetti.

Una ha previsto l’abolizione dei senatori a vita, abrogando l’articolo 59 perchè «in situazioni di maggioranze politiche non ampie, in cui pochi voti possono determinare gli esiti delle deliberazioni dell'Assemblea, si può arrivare al paradosso per cui membri non eletti, e dunque non rappresentativi della volontà popolare, diventano l'ago della bilancia nelle scelte relative alla politica nazionale». Una proposta simile, presentata però al Senato, prevede non l’abolizione completa dei senatori a vita, ma il loto divieto a partecipare al voto di fiducia al governo.

Una seconda proposta – presentata in due formulazioni uguali a Camera e Senato - ha riguardato l’introduzione del vincolo di mandato parlamentare, modificando l’articolo 67 con l’introduzione del «dovere di esercitare la funzione di rappresentanza della Nazione secondo princìpi di coerenza e lealtà elettorale» e il fatto che i partiti, prima delle elezioni, indichino con quali alleati «sono disposti a valutare la possibilità di formare alleanze di Governo».

E’ stata presentata anche la proposta di inserire una nuova forma di ricorso in via diretta alla Corte costituzionale da parte di una minoranza parlamentare, «quando ritenga che una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione vìoli i princìpi stabiliti dalla Costituzione».

La Nazione

FdI ha proposto anche la modifica dello stesso articolo, prevedendo il giuramento dei parlamentari al momento dell’insediamento con la formula «Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione che mi onoro di rappresentare».

A chiudere il capitolo istituzionale è stata infine la proposta di modifica per introdurre in Costituzione all’articolo 12 sulla bandiera italiana anche l’inno nazionale, che «è il “Canto degli italiani” con il testo di Goffredo Mameli e la musica di Michele Novaro». Inoltre, la stessa proposta ha anche tentato di riscrivere l’articolo 6 - caro alle minoranze linguistiche perchè prevede la loro tutela e ad esse è ancorato l’accordo De Gasperi-Gruber per l’Alto Adige – prevedendo che «La lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica» e che vengono tutelate non solo le minoranze linguistiche, ma anche «i dialetti».

LaPresse

L’autonomia

Anche in materia di enti locali, Fratelli d’Italia ha presentato proposte specifiche. Una per l’istituzione di Roma capitale, prevedendola non solo come legge ma come previsione costituzionale, un’altra per il ridisegno di tutte le regioni italiane. La proposta di riforma del titolo V della Carta, a prima firma di Edmondo Cirielli e Ylenya Lucaselli, prevedeva di sopprimere le regioni e le province e di ridisegnare i confini con la costituzione di «trentasei nuove regioni», spacchettando in particolare quelle del centro e del sud, «nell'ottica di farle divenire – secondo canoni di adeguatezza e di proporzionalità – i centri propulsori della gestione amministrativa della cosa pubblica». Non esattamente quello che la Lega oggi chiede, in termini di autonomia differenziata.

Il diritto alla felicità

Curiosa è invece la proposta di riforma costituzionale depositata da Maria Teresa Bellucci, che punta a modificare l’articolo 3, che prevede l’introduzione al diritto di essere felici. Nell’articolo che stabilisce la parità sostanziale e formale dei cittadini, infatti, FdI avrebbe voluto premettere che «Tutti i cittadini hanno diritto di essere felici» e che compito della Repubblica è rimuovere gli ostacoli che «impediscono il pieno godimento del diritto alla felicità».

La giustizia

Corpose sono anche le modifiche che FdI avrebbe voluto apportare nel campo dei diritti nel settore giustizia. Una proposta ha avuto ad oggetto la modifica dell’articolo 101, il primo della sezione che si occupa del funzionamento della magistratura. Il primo comma, infatti, avrebbe dovuto prevedere prima di tutto che «La Repubblica tutela la sicurezza dei cittadini» e solo a seguire che la giustizia è amministrata in nome del popolo e che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Nella relazione si legge la ragione di questa introduzione, spiegata citando l’attentato alle torri gemelle di New York del 2001 e «i successivi numerosi attentati terroristici di matrice islamica, nonché all'aumento di reati commessi da stranieri» come cause di «una situazione di allarme sociale e si è diffusa una condizione di insicurezza nell'opinione pubblica, che richiedono una maggiore e più efficace protezione da parte delle competenti autorità e dello Stato».

Parallelamente, un’altra proposta puntava a introdurre all’articolo 111 che «La vittima del reato e la persona danneggiata dal reato sono tutelate dallo Stato nei modi e nelle forme previsti dalla legge».

Il carcere

Tra gli articoli più attaccati da Fratelli d’Italia c’è il 27, che prevede la funzione rieducativa della pena detentiva. Ben due proposte di legge hanno provato a eliminarla, con un obiettivo che è stato ben chiarito dai firmatari: eliminare il limite per il giudice di «erogare pene esemplari che fungano da ammonimento per i consociati». Per FdI, infatti, la pena dovrebbe servire da deterrente e non alla rieducazione del condannato e dunque l’obiettivo è quello di riformare l’articolo prevedendo che «la pena assicura la giusta punizione del reo per il fatto commesso e la prevenzione generale e speciale del reato e deve tendere, con la collaborazione del condannato, alla sua rieducazione. Sono stabiliti con legge i limiti della finalità rieducativa in rapporto con le altre finalità e con le esigenze di difesa sociale». 

Accanto a questa prima proposta, mai arrivata in discussione, del 2018, se ne è affiancata un’altra a prima firma di Meloni nel 2021. Anche in questo caso l’obiettivo è la funzione della pena e prevede che l’articolo 27, invece di venire riscritto, abbia un inciso finale: «La legge garantisce che l'esecuzione delle pene tenga conto della pericolosità sociale del condannato e avvenga senza pregiudizio per la sicurezza dei cittadini». In questo modo, dunque, si introdurrebbe nell’ordinamento il criterio della pericolosità sociale, che non è oggettivo e che può essere più o meno restrittivo a seconda del giudizio del giudice o di una previsione legislativa, a cui subordinare la valutazione di come un detenuto sconterà la pena.

Il principio a cui FdI si appella è quello della «certezza della pena» e, secondo i firmatari, l’attuale articolo 27 rischia di ingenerare l'equivoco che «la difesa sociale possa risultare recessiva e soccombere del tutto rispetto all'esplicita finalità rieducativa delle pene». Secondo Meloni, infatti, la rieducazione di un condannato in qualche modo potrebbe andare a penalizzare la sicurezza della collettività.

Giorgia Meloni e Matteo Salvini (LaPresse)

Il fisco

La Costituzione all’articolo 53 prevede che tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità di contribuire e che il sistema tributario si fonda sul criterio della progressività. A questo, FdI ha provato ad aggiungere un nuovo comma, che prevede che il sistema tributario sia regolato «secondo princìpi di chiarezza, semplicità, equità e non retroattività delle norme» ma soprattutto che fissa un tetto al prelievo fiscale: «La pressione fiscale non deve superare il 40 per cento del prodotto interno lordo nazionale». La previsione viene definita «contro il fisco predatorio»  e necessaria per bilanciare la legge costituzionale, approvata durante il governo Monti, del pareggio di bilancio.

© Riproduzione riservata