Tutti spaccati. I gruppi parlamentari arrivano così alla sera in cui tutti hanno le loro riunioni con i leader. Poi il «conclave» chiesto da Enrico Letta, a nome della destra si presenta Matteo Salvini. Ma sono tutti confusi e divisi, tranne Fratelli d’Italia.

La lama degli avvenimenti della giornata a Montecitorio taglia i partiti, le coalizioni, i gruppetti e gruppuscoli. E spacca tutti a metà.

Tutti tranne la falange FdI che in mattinata “strappa” e tenta la prova di forza in aula. La «scossa», come la definisce Fabio Rampelli, riesce clamorosamente: il partito ha 58 parlamentari e cinque delegati regionali, ma il candidato Guido Crosetto riesce a raccogliere 114 voti. Fuori dal palazzo, in piazza Montecitorio, l’ex parlamentare si schermisce: «Grazie a Giorgia e a tutti, ma ci sono candidati più autorevoli».

Salvini e Meloni si erano incontrati la mattina e non era andata bene. Quindi Meloni decide di mandare un messaggio forte al compagno di coalizione. O forse due messaggi, o forse tre. Il primo: FdI pesa, il leghista si levi dalla testa di lanciare Elisabetta Casellati come candidatura di schieramento: sarebbe una mossa suicida. Meloni gli spiega che non si deve fidare delle promesse di una parte dei Cinque stelle.

Andrebbe male, e poi la Lega sarebbe costretta a convergere su un accordo di maggioranza, a quel punto difficile dire no a Pier Ferdinando Casini senza buttare il parlamento nel caos.

La presidente del Senato non farebbe il pieno dei voti di Forza Italia innanzitutto. Ma serve darsi una mossa: in serata FdI invita Salvini a proporre un nome della rosa di centrodestra, e cioè fra Letizia Moratti, Carlo Nordio e Marcello Pera. Già dalla prossima chiama.

In questa mossa Meloni è aiutata (a sua insaputa? Non è detto) da Enrico Letta che disegna la crisi di governo come conseguenza automatica di una “spallata”: «Proporre la candidatura della seconda carica dello stato, insieme all’opposizione, contro i propri alleati di governo, sarebbe un’operazione mai vista nella storia del Quirinale. Assurda e incomprensibile. Rappresenterebbe, in sintesi, il modo più diretto per far saltare tutto».

Letta ha avuto garanzie da Matteo Renzi, in caso di rottura voterebbe un nome insieme al Pd (novità assoluta). E, a parole, anche Giuseppe Conte fa l’unitario, anche se ancora in serata non chiude alla presidente: «Dipende dal modo in cui viene presentata».

Il terzo messaggio: Meloni non ha archiviato le sue speranze su Draghi al Colle, ed è irritata dal sospetto che l’elezione sia stata sbarrata dalle mire di governo di Salvini.

Il quale in cambio dell’appoggio della corsa al Colle del premier ha chiesto per sé il rientro al Viminale (provocazione irricevibile per il Pd). Per questo anche mezza Lega è in rivolta. Ma di questa storia parliamo tra un attimo.

Troppi Casini nel Pd

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Per mettere ordine agli avvenimenti della giornata si deve seguire, come un filo d’Arianna, la mappa dei risultati del voto della terza chiama. Non prima però di aver appuntato alcuni elementi di contesto. In mattinata nel Pd circolano voci di irritazione del segretario per i movimenti correntizi nel suo partito.

Che succede? Ormai non si può più tenere riservato: almeno due ministri su tre si muovono a favore di Pier Ferdinando Casini, l’usato sicuro che potrebbe fare l’en plein dei grandi elettori, per le indubbie garanzie che offre di tenuta della legislatura. Fin qui nessun dem si è espresso direttamente sull’ex presidente della Camera, tranne Andrea Marcucci.

La regia è di Matteo Renzi (che però ha un piede anche sulla staffa del cavallo Draghi). Su di lui converge tutta la galassia centrista del parlamento, e c’è la simpatia di Forza Italia.

In Transatlantico la presidente dei senatori azzurri Anna Maria Bernini non può sottrarsi ai cronisti: «Io sono bolognese, mi prendete proprio dal mio lato debole. Lo conosco da 25 anni e fa parte di una lista di nomi stimabilissimi. Vedremo, ovviamente ci vuole una convergenza politica».

La corsa di Casini però nel corso della giornata sembra rallentare: Salvini ha parlato con Letta, e la Lega fa fatica a votare Casini. Anche dal Pd qualche contrario prende coraggio: per esempio da un’ala della sinistra, quella degli ex zingarettiani Stefano Vaccari e Nicola Oddati. A qualche compagno spiegano di essere certi di interpretare anche i sentimenti di Enrico Letta. Che però su questo tema resta una sfinge fino alla riunione con i suoi ministri.

Il suo vice Giuseppe Provenzano, riservatamente, esprime perplessità, preoccupato per l’operazione neocentrista. Ma c’è una cosa seria che frenerebbe la corsa di Casini: viene riferita la perplessità di Draghi. Almeno fino a ieri pomeriggio. Alla chiama qualcuno ne lancia il nome, per vedere l’effetto che fa.

Non fa un bell’effetto: 52 voti, più o meno quelli di Italia viva, che però non rivendicano la paternità dell’operazione. Ettore Rosato spiega che «Casini è un nome autorevole e super partes», ma lui, giura, ha annullato la scheda.

Preghiera a Mattarella

«Mattarella, Mattarella, Crosetto, Mattarella, Mattarella». Dagli schermi di Montecitorio si segue lo spoglio. Se a destra la sorpresa è il risultato di Crosetto, a sinistra è quello del presidente della Repubblica uscente, 125, una valanga.

I deputati si precipitano a fare scherzosi rallegramenti a un capannello di giovani turchi, una delle correnti del Pd, in vigile attesa. Matteo Orfini, Francesco Verducci e Giuditta Pini. Loro non l’hanno votato - «votiamo sempre secondo l’indicazione del partito», giura Orfini, «ma certo, queste preferenze spontanee sono il segno di un clima», la valanga viene da M5s, viene anche rivendicata - ma da sempre indicano il reincarico come la soluzione migliore per mantenere Draghi a palazzo Chigi.

Lui, Mattarella, lascia spargere foto e notizie del suo trasloco ormai quasi ultimato verso il bellissimo studio di palazzo Giustiniani, vista Pantheon.

Occhio a Giorgetti

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In serata, prima che i gruppi di maggioranza riuniscano i proprio grandi elettori, il Foglio rivela che Salvini è andato a trovare a casa il giurista Sabino Cassese. Autorevolissimo ma 87enne. Per il Pd sarebbe difficile sfilarsi. E così per FdI.

Ma il Movimento Cinque stelle può dimenticare le critiche implacabili del giudice costituzionale contro Conte premier e i suoi dpcm? La notizia dell’incontro viene smentita dalla Lega.

Salvini è una pallina di flipper impazzita, prima dell’incontro notturno con Letta, Conte e Roberto Speranza cerca disperatamente una via per uscirne vivo: una soluzione che tenga insieme il centrodestra, che si vedrà questa mattina a Montecitorio, ma anche la maggioranza di governo. Un rompicapo.

Una soluzione ci sarebbe: Mario Draghi. Perché la «trattativa» con il premier non si è mai davvero fermata, anche quando sul no alla sua corsa al Colle si sono impuntati Silvio Berlusconi, Salvini e Conte.

Tutta la Lega del nord, quella che risponde alla guida del ministro Giancarlo Giorgetti, vuole Draghi. Il quale Draghi però suggerirebbe un «tecnico» al suo posto, il ministro Colao. «Un tecnico al Colle e un tecnico a palazzo Chigi non è possibile» sentenzia un dirigente vicino a Berlusconi. «È quello il problema», ammette Lorenzo Cesa in tv.

Giorgetti e la Lega di governo hanno provato fino all’ultimo a convincere il leader di rinunciare alle sue velleità sul Viminale. In cambio di un premier leghista: lo stesso Giorgetti.

Per il Pd sarebbe indigeribile? Certo. Ma se la scelta è Casini il segretario non ne uscirebbe bene: sarebbe l’ennesima vittoria delle «correnti» che hanno lavorato a prescindere e contro le mosse del leader. E, naturalmente, sarebbe una nuova vittoria di Renzi, che però stavolta resta defilato per non finire nella foto di quelli che hanno bocciato Draghi.

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