«Daje Crux» grida un giovane con Barbour e iQOS dal fondo della grande sala gremita per l’evento liberatorio del venerdì sera di Atreju.

Deve essere dura attendere una settimana intera prima di potersi finalmente sfogare in quanto giovani, dal momento che tutto sembra la festa della sezione junior di Fratelli d’Italia tranne che un festival per ragazzi e ragazze.

Mercatino natalizio, sagra degli arrosticini, esposizione nazionale di presepi, congresso di partito, ma il divertimento vero, quello fatto di concerti di Manu Chao, sbronze al Lambrusco e amori fugaci, dov’è?

Considerato che il picco adrenalinico è stato raggiunto dalle donne festanti – per non usare un altro participio presente che inizia con molte “s” – al seguito di Raoul Bova, è giusto premiare anche le nuove leve meloniane con uno show di tutto rispetto. E dunque, chi meglio della versione anarco-libertaria di Don Camillo e Peppone, i Tom e Jerry della radio, Cruciani e Parenzo.

“Gli irriverenti”, così li battezza il titolo dell’incontro serale, vengono introdotti con il solito rito vittimista, un ritornello che gira tra i vialetti di Atreju più di It's the Most Wonderful Time of the Year, colonna sonora diffusa per una playlist perenne in stile negozi Tiger.

La sinistra censura, la sinistra parla solo di noi, la sinistra rosica; curioso che venga detto da chi ha esposto un “bullometro” sul viale principale del villaggio dicembrino della destra italiana, ma sorvoliamo.

L’aria di democrazia che si respira durante «il miracolo di Atreju» necessita della sua componente principale, l’ossigeno della libertà, cioè l’insolenza. L’insolente, per definizione atrejuana, è colui che con coraggio dice la verità ma soprattutto è colui che ride – lo aveva già detto Alessandro Giuli, qualche giorno prima dentro a un tendone qualche metro più in là, che l’ironia è il profumo della vita.

Grasse risate

Ridono entusiasti i giovani meloniani quando Cruciani sale sul palco con una giacca militare su cui è stata scritta tre volte, e in pendant con l’alberone tricolore che veglia sugli avventori, la parola “libertà”. Ridono quando Parenzo viene fischiato in quanto unica persona “di sinistra” in sala con giacca di cachemire e senso della cosa pubblica, ridono quando una certa signora molto loquace dal pubblico vuole intervenire a gamba tesa sulla affatto abusata polemica di Più Libri Più Liberi, ridono quando si parla di asterischi (eppure, sulle grafiche di questa Atreju ci sono diverse stelline che ricordano pericolosamente quello strumento diabolico del woke).

Tutto, all’inizio dello show, sembra suggerire che la missione finale dell’evento, farsi seppellire da una risata collettiva e patriottica, sia garantita, specialmente se schieri gli assi dell’umorismo catartico. E invece.

Non è la prima volta che pezzi de La Zanzara vengono usati come toppe di intrattenimento al raduno delle giovanili FdI. Già l’anno scorso, Cruciani aveva fatto una grande performance in una sorta di mini-Costanzo Show tra Donzelli, Osho e Fusani.

In quell’occasione, la dimensione corale dell’incontro aveva garantito il minimo sindacale del crucianismo, che consiste fondamentalmente nelle graditissime manifestazioni parossistiche di rabbia e turpiloquio del conduttore. Del resto, il programma quasi ventennale di Radio 24 si struttura esattamente su questo schema ripetitivo-ossessivo di conflittualità indotta, tra tormentoni e grandi personaggi storici: Parenzo argina, provoca, seda, Cruciani urla, insulta, sghignazza, ma la «linfa verdeggiante» – definizione del ministro della Cultura troppo ghiotta per non essere riutilizzata – del loro format sono gli interventi esterni, la variazione paradigmatica della follia complottista e sottoculturale che infiamma i microfoni di Confindustria.

Gli ospiti e le telefonate, che diventano la vera attrazione di questo circo grottesco e triviale sono, a conti fatti, la sostanza di cui è fatto l’incubo della trasmissione radiofonica tra le più sentite in Italia. E se levi i pesci dall’acquario, cosa resta? Una noiosa boccia sempre uguale a sé stessa.

Smontare il crucianismo

Non è difficile scomporre il crucianismo in pezzi, per capire com’è fatto il motore. Mentre Atreju lo incalza con una serie di temi caldi degli ultimi mesi – la famiglia del bosco, il gioielliere che spara ai ladri, la leva militare – che dovrebbero fare da benzina sul fuoco della sua rivendicata libertà d’espressione, le risposte sono tutte uguali, l’umore si raffredda, nonostante gli ottimi riscaldamenti della sala, le risate cominciano a calare, trasformandosi in applausi stanchi che sembrano più il prodotto di un riflesso pavloviano della platea; se dico “zingaro”, tu applaudi, se dico “politicamente corretto vaffanculo”, tu applaudi un po’ di più.

La soluzione a ogni questione, anche quelle più sciupate dal dibattito pubblico che si ripiega sugli stessi temi a cadenza regolare, è sempre la libertà, a prescindere. E così, se si parla dei bambini nel bosco abruzzese, la controffensiva di Cruciani sarà molto prevedibilmente quella di dire che lo Stato non si deve impicciare di nulla, specialmente della famiglia. Libertario e antistatalista, mordente come un film di Angelo Duro e sfacciato come una gag di Pio e Amedeo, è contro gli interventi dall’alto solo finché non si parla di maranza e Milano, perché a quel punto la soluzione è l’esercito diffuso in ogni vicolo; per tutto il resto invece: «meno Stato c’è, meglio stiamo», dice, ma l’applauso non parte. Sono pur sempre i neo-tedofori della fiamma tricolore, mica gli eredi di Alberto da Giussano.

Dunque, riassumendo il messaggio irriverente per i piccoli meloniani. Libertà di fare e dire tutto, se il tutto fatto e detto è ciò che decido io: in teoria, la fase dello sviluppo in cui il bambino impara a dire “no” e si impone come soggetto senziente che vuole fare solo di testa sua senza capire che ciò che fa è un problema per gli altri – lanciare il cibo, non usare il vasino, non voler fare la doccia e cose così – si dovrebbe superare auspicabilmente prima dei cinquant’anni, eppure.

In questo libertarismo sfacciato e infantilista da Simpatiche canaglie, per cui tutto ciò che è regola funzionale alla convivenza civile tra esseri umani è sbagliato, Salvini trova spazio di manovra. In fondo, lui e Cruciani hanno molti punti in comune, uno su tutti questa atavica intolleranza alle istituzioni e allo Stato, di cui giornalista è membro solo in quanto cittadino, mentre l’altro ne sarebbe rappresentante. È qua, infatti, che si crea il cortocircuito della grande destra italiana, fieramente coesa nei contro e nell’odio per sinistra e sinistrati ma anche confusa sui suoi equilibri interni, soprattutto culturali.

La corsa all’egemonia è piena di ostacoli, e quando il pubblico di Atreju si rende conto che non ci sono chiamate di Anna da Roma né «quanto lotti tigre!» all’orizzonte nel tendone allestito per i due zanzaristi ma solo fiacchi interventi preconfezionati ripetuti a memoria dai due professionisti dell’insolenza, la delusione prende il sopravvento. «Sono venuto a costo zero», dice Parenzo, che mentre il socio parla guarda il telefono per vedere se cinquanta minuti di panel sono già trascorsi. E neanche la sua battuta sul «me ne frego» mussoliniano scuce applausi né un sorriso. Meno male che Atreju era il tempio della risata.

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