L’elezione di Elly Schlein come segretaria del Pd ha scatenato reazioni molto preoccupate da parte di figure centriste del partito, esponenti del terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, con toni simili a quelli di opinionisti vicine al governo di Giorgia Meloni. A sentire questi rappresentanti dell’“Italia moderata” la nuova segreteria prefigurerebbe una estremizzazione delle posizioni politiche, con una sinistra ormai spinta verso posizioni che le renderebbero impossibile governare.

In questa, come in simili occasioni nel passato, sono stati velocemente chiamati in causa tanti spauracchi, da Cuba al Venezuela, fino al peronismo e l’assistenzialismo e si è ventilato il timore che il nostro paese rischi di trovarsi in una politica di “muro contro muro”, in cui le ali estreme dello schieramento politico radicalizzano il confronto a scapito della democrazia.

Estremismi inesistenti

Questa risposta è coerente alla retorica del cosiddetto fronte liberaldemocratico che cerca di ritagliarsi il ruolo di nemici degli “opposti populismi” di destra e di sinistra. Ma è chiaramente fuori luogo vista la biografia di Elly Schlein, una figura politica, la cui esperienza formativa sono le campagne elettorali di Barack Obama e le cui posizioni sono molti simili a quelle del mainstream della socialdemocrazia europea da Pedro Sánchez e Olaf Scholz in Spagna e Germania a Sanna Marin in Finlandia.

Schlein promette semplicemente di riportare il Pd – fino a oggi ostaggio di posizioni molto moderate – su posizioni progressiste più in linea con quelle di altri partiti di centrosinistra.

Ma paventare rischi di una estremizzazione del dibattito è errato anche da un punto di vista normativo. Nelle condizioni attuali, un certo grado di maggiore differenziazione nell’offerta politica di centrodestra e centrosinistra potrebbe giovare al sistema democratico portando un numero maggiore di cittadini a votare.

Visione negativa

Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.

Per capire meglio la questione, le vicende politiche italiane vanno lette in una prospettiva più ampia. In occidente è in corso da diversi anni un riallineamento dell’offerta politica, nella direzione di una maggiore differenziazione sull’asse destra-sinistra. Si tratta del fenomeno noto nel dibattito politologico come “polarizzazione”, un termine a cui è stata attribuita una connotazione negativa, specialmente in relazione alla radicalizzazione della destra nazionalista di Salvini, Meloni, Trump e Bolsonaro.

Negli ultimi anni c’è stata una crescita significativa di pubblicazioni che studiano il processo di polarizzazione, imputandolo a diversi fattori, da un lato fattori strutturali come la crescente povertà e il malessere sociale e economico che ne conseguono, dall’altro anche fattori strutturali e comunicativi come i social media e l’effetto bolla che gli viene imputato.

La polarizzazione è presentata in questo filone di ricerca come un rischio per la democrazia che si ritiene orientata al raggiungimento di un consenso bipartisan e dunque difficilmente conciliabile con la presenza di punti di vista fortemente contrapposti. Un ulteriore timore nutrito da molti osservatori è che una maggiore polarizzazione possa comportare, oltre alla difficoltà a giungere a punti comuni di consenso, ma pure un’erosione del sistema democratico, la cui stabilità si basa sul riconoscimento e la difesa di istituzioni comuni o quantomeno di procedure elettorali condivise per stabilire chi vince e chi ha diritto a governare. Ma è davvero così?

Radicalizzazione

Visto quanto successo il 6 gennaio 2021 negli Stati Uniti con l’assalto dei trumpisti al Congresso e l’8 gennaio 2023 in Brasile con l’attacco dei bolsonaristi alla Piazza delle Tre Istituzioni il timore di una eccessiva radicalizzazione del dibattito politico non è del tutto peregrino. Questi eventi hanno messo in luce il rischio del sorgere di nuovi estremismi che si pensavano superati nel contesto di un grande consenso “liberal”. Tuttavia, questi incidenti non sono stati il prodotto della tanto temuta “polarizzazione”, ovvero di una divaricazione simmetrica del campo politico.

Piuttosto sono scaturiti da un processo di radicalizzazione asimmetrica sviluppatosi nel seno della destra nazionalista, che è stato accompagnato da teorie del complotto sul controllo da parte delle forze di centrosinistra delle redini del cosiddetto “stato profondo”, e la loro capacità di manipolare il processo elettorale.

I lati positivi

Hand putting ballot into ballot box (Ikon Images via AP Images)

Le forze di centrosinistra hanno recuperato alcune proposte archiviate durante l’ubriacatura sul “libero mercato” dell’èra neoliberista. Ma si è trattato di un ritorno a proposte socialdemocratiche che un tempo sarebbero state considerate estremamente moderate; insomma parlare di “radicalizzazione” del centrosinistra come un pericolo appare fuori luogo.

Inoltre, è necessario affrontare l’intero dibattito sulla polarizzazione in maniera più qualificata e meno semplicistica. Sarà pur vero che un’eccessiva polarizzazione può in certe circostanze rappresentare un pericolo per la democrazia, ma la polarizzazione nel senso basilare di una maggiore differenziazione delle proposte sull’asse destra-sinistra può anche avere conseguenze positive per il sistema democratico.

Il grande declino della partecipazione politica dagli anni Ottanta ai 2010 è andato in parallelo a una convergenza di centrodestra e centrosinistra attorno a consenso neoliberista.

L’apatia politica (registrata in affluenza elettorale progressivamente decrescente) è stata alimentata da impressione che partecipare alle elezioni non cambiava sostanzialmente le cose perché i programmi dei partiti erano molto simili. In ogni caso offrivano “più mercato” seppur in forme differenti. Il filosofo sloveno Slavoj Žižek ironizzava sul fatto che la differenza tra centrosinistra e centrodestra era come quella tra Pepsi e Coca-Cola, insomma una differenza che comprensibilmente non sollevava grandi passioni mobilitanti.

Negli ultimi anni in alcuni paesi assistiamo a ritorno alla partecipazione politica, proprio perché c’è torna la percezione che le elezioni contano, che il proprio voto può cambiare le cose in un senso o nell’altro.

Ridurre i divari

Piuttosto che vedere la polarizzazione come il male assoluto bisogna identificare le forme di polarizzazione che sono effettivamente pericolose per la democrazia. Secondo lo studio recente Identity, Partisanship, Polarization della Ebert Stiftung la “polarizzazione tossica” è associata a temi di natura identitaria piuttosto che socioeconomica che portano a vedere l’avversario come un nemico da distruggere e che tendono a sfociare in guerre di religione che per loro natura tendono all’assoluto etico. Tuttavia, la polarizzazione su temi socio-economici non sempre comporta gli stessi problemi, inoltre è del tutto razionale e prevedibile in una società con livelli estremi di diseguaglianza come quella in cui viviamo.

Come asseriva già secoli fa Niccolò Machiavelli ne I discorsi sulla prima deca di Tito Livio, il conflitto è un aspetto non eliminabile dei sistemi politici e se accompagnato da un quadro istituzionale che lo incanali in maniera efficace può avere conseguenze positive per la società nel suo complesso. Negli ultimi anni troppo a lungo si è cercato di silenziare il crescente malcontento della popolazione anche manipolando l’offerta politica; a esempio demonizzando nuove forze come il Movimento 5 stelle che si erano trovate – spesso loro malgrado – a diventare il canale di espressione di domande che non trovano risposta altrove.

Tuttavia, questo atteggiamento antidemocratico alla lunga produce problemi solo peggiori, incancrenendo il conflitto sociale e alimentando la sua espressione attraverso il populismo di estrema destra.

Per fare fronte ai problemi della nostra società non bisogna avere paura della polarizzazione in senso lato. Piuttosto bisogna accettare come certe forme di polarizzazione, specie su temi socioeconomici, siano espressione di condizioni sociali e in particolare della crescente disuguaglianza.

Se si vuole una società meno polarizzata non resta che adoperarsi per ridurre le enormi disparità nella distribuzione di ricchezza e di potere, nel frattempo è giusto che gli elettori possano scegliere alle elezioni tra opzioni distinte tra di loro invece che essere costretti a partecipare a elezioni in cui le opzioni sono così simili da rendere la partecipazione stessa un processo pressoché privo di significato. 

© Riproduzione riservata