La Lega ha trovato la strada per affrontare la transizione energetica, ma non è quella condivisa dal resto della maggioranza. «In chiave futura l’energia più ecosostenibile ed economicamente conveniente è quella nucleare», ha detto martedì il segretario, Matteo Salvini, durante una conferenza stampa su nucleare ed energia.

Salvini ha già proposto in altre occasioni la questione. Il segretario della Lega sta facendo riferimento al nucleare sempre più spesso, proponendolo come soluzione al rincaro dei prezzi dell’energia e alla dipendenza energetica dell’Italia dall’estero.

Al suo fianco in conferenza stampa sedevano il senatore Paolo Arrigoni, responsabile energia della Lega, e Vannia Gava, sottosegretaria alla transizione energetica.

Gava, originaria di Salice, in provincia di Pordenone, dove è stata assessora e vicesindaca, è una fedelissima del leader e una delle principali sostenitrici delle nuove posizioni del Carroccio a sul tema energia.

È stata sottosegretaria all’Ambiente già nel governo Conte I e fin dai tempi della politica locale ha difeso la linea dell’ambientalismo “pratico” che i leghisti rivendicano dalle origini.

I punti cardine di questa dottrina si trovano nel manifesto presentato nel 2019 da Salvini sempre insieme a Gava e Arrigoni: oltre all’educazione alla sostenibilità ambientale nelle scuole, si prevede il sostegno allo sviluppo di green economy ed economia circolare, e anche un generico impegno per combattere il cambiamento climatico.

Il senso generale dell’ambientalismo leghista è quello di tutelare l’ambiente ma senza creare un costo per il tessuto produttivo del territorio: nel manifesto non c’è però traccia del mix energetico che la Lega ritiene adatto per affrontare la transizione.

A due anni di distanza, la decarbonizzazione, assorbita anche negli obiettivi di governo e Unione europea, è diventata una delle ragioni con cui i leghisti giustificano il ripensamento sul nucleare: per mantenere un sistema energetico stabile bisognerebbe valutare la possibilità di integrare le rinnovabili con le centrali atomiche.

In realtà, tutti i dati sulle tecnologie disponibili dicono che il rilancio sul nucleare è un modo per rimandare una strategia orientata a una vera transizione energetica, senza però dare l’impressione di essere a corto di argomenti alternativi.

La linea delle origini

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Una posizione che sembra più netta rispetto alla linea ondivaga che la Lega ha tenuto negli anni su questo argomento. Nel 2011 l’ex segretario, Umberto Bossi, quando era in discussione il secondo referendum sul nucleare dopo il disastro di Fukushima, aveva spiegato che «sul nucleare decidono i territori».

La dichiarazione copriva le spalle al presidente leghista della regione Veneto, Luca Zaia, che qualche settimana prima si era espresso contro la realizzazione di centrali sul territorio regionale.

Qualche anno dopo, nel febbraio del 2019, in piena campagna elettorale per le regionali sarde, Salvini aveva ribadito il concetto. Durante un comizio aveva pronunciato una frase controversa: «Non si può dire sempre no. No al nucleare, no al nucleare, no al metano, no al petrolio, no al gas, no al nucleare».

In quel periodo Salvini era al governo con i Cinque stelle e aveva provato ad attaccarli per le loro posizioni ritenute ideologiche dalla Lega. La dichiarazione aveva però creato scalpore e a stretto giro il segretario era stato costretto a precisare che si trattava di un malinteso: «Nessuno pensa al nucleare».

La linea della Lega è stata a lungo ambigua: nessuna battaglia di principio ma un’opposizione netta quando la questione toccava territori tradizionalmente in mano alla Lega (come nel caso del Veneto) o per cui si stava combattendo (la Sardegna).

Il nuovo corso

Gava, che insieme ad Arrigoni determina la linea del partito sul tema, è forse stata la prima a pronunciarsi in maniera più netta a favore della riapertura di un dibattito. Ma lei stessa, audita come sottosegretaria nel 2019 dalla Commissione ecomafie, ha ammesso che l’Italia è in forte ritardo nell’applicazione della direttiva europea sulla gestione delle scorie nucleari.

La collocazione del deposito unico nazionale non è stata ancora individuata: difficile voler riaprire il dibattito su un’energia che comporta la produzione di rifiuti pericolosi quando ancora non si è trovato il modo di smaltire quelli creati in passato.

Nel 2021, la sottosegretaria ha spiegato invece che il deposito rappresenta «un’occasione unica per lo sviluppo sociale ed economico del territorio che deciderà di ospitarla».

Secondo l’esponente leghista, le proposte sull’apertura di un dibattito «non sono contraddittorie con alcune posizioni espresse nel passato», in virtù di «una rivoluzione tecnologica rispetto al concetto di energia nucleare e uno stravolgimento delle politiche energetiche a livello globale».

Tradotto: i tempi cambiano e la linea della Lega si adegua. Per quanto riguarda invece il deposito delle scorie, il fatto che non sia ancora stato individuato «non c’entra nulla e non inficia un dibattito sul futuro energetico del nostro paese».

Gli esponenti della Lega si premurano di specificare che vogliono soltanto aprire un dibattito: è l’ultima evoluzione dell’antica tattica che permetteva a Bossi di tenere una linea ambigua quando il governo Berlusconi IV era ancora disposto a discutere della reintroduzione del nucleare.

Quella di oggi è una comoda via di mezzo che lascia alla Lega la possibilità di sventolare una soluzione pratica al caro delle bollette in linea con i dettami di Bruxelles, che ha inserito nella tassonomia green il nucleare, quando però gli eventuali benefici per i consumatori, tutti da dimostrare, si manifesteranno nel miglior dei casi nel giro di qualche decennio.

 

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