Un anno e mezzo fa i ricercatori della IE University hanno rilasciato i risultati di un sondaggio, in cui quasi il 60 per cento degli intervistati italiani si dice favorevole alla sostituzione dei politici con un’intelligenza artificiale in grado di governare. Il clamore suscitato da ChatGPT, l’intelligenza artificiale linguistica, fa il resto. Se l’AI inizia a funzionare, è proprio sul terreno del funzionamento che gli umani pagano pegno. Resta da chiedersi se si aveva proprio necessità di una proposta di governo offerta dagli algoritmi, per esprimere tutto il disincanto nei confronti della politica e dei politici.

La risposta a valanga, fornita al sondaggio della IE University, è più che un sintomo: è la patologia stessa. Che la politica sia ormai esausta, non dipende dalla qualità del regime di governo. Non è qui in discussione la crisi delle democrazie in età contemporanea, se il 75 per cento degli intervistati cinesi dalla IE University si dichiara favorevole alla sostituzione della politica umana con quella sintetica. A mostrare la corda è proprio l’attività politica in sé, con i suoi processi ormai anacronistici, i personalismi che offuscano l’andamento di una società planetaria, lo sradicamento delle passioni e, infine, la deflagrazione dell’etimologia. Politica si appoggia sulla radice greca pòlis: la città è stato il momento, storico e geografico, in cui la specie umana si è dimostrata un’animalità politica.

Se si comprende a stento quale natura riveli l’attuale manifestarsi della vita umana sul pianeta Terra, bisogna rivolgere il quesito alla città: è qui che l’umano essuda tutto se stesso, in un transito che ha le tinte del salto di specie. La storia sta assumendo una disposizione che esorbita qualunque canone pregresso e consolidato.

Si mostra il crollo dell’opposizione tra natura e artificio, che era data per scontata nei millenni occidentali. Presso l’università di Maastricht, cinque anni fa, è stato elaborato in laboratorio il primo embrione animale sintetico. Si apre uno scenario che, in un futuro sempre più vicino, ha tutte le potenzialità per generare il primo essere umano nato senza cellule riproduttive maschili e femminili. Il che è prevedibile intorno al 2050, cioè più di dieci anni dopo lo sbarco umano su Marte, da cui origineranno i tentativi di portare la specie a vivere su un secondo pianeta. Il futuro remoto è diventato futuro prossimo: un futuro quasi presente. Si deve ragionare non più sul prima e il dopo, ma sulla direttrice “da adesso in poi”. Nulla sta fermo, si va a uno sviluppo necessitato e non si tratta semplicemente di progresso.

Quindi non si tratta banalmente di progressismo. Non c’è ideologia nell’immenso trascinamento di questo momento storico che, più che un passaggio di epoca, prende i contorni di un passaggio di era. Il tempo in cui le cose non si comprende bene se già pensino coincide con il momento in cui gli umani non sanno più cosa pensare o addirittura non sanno pensare tout court.

L’infarto della politica

Businessman walking tightrope between two office blocks (Ikon Images via AP Images)

La politica come progettazione del vivere subisce qui il suo infarto. Essa non è più sufficiente. Nutritasi di lamento, incontra la negazione di sé stessa. Il funzionamento che imponeva alla realtà non funziona più. Si annuncia il tempo in cui le cose possono funzionare meglio senza intervento umano. Stanno già funzionando meglio, perché funzionano così ed evolvono sensibilmente di momento in momento. Tutto si converte nel contrario.

L’organizzazione è ora una disorganizzazione. Non si tratta di un fattore secondario nel fenomeno della Great Resignation, le dimissioni di massa, che solo nel 2022 contano in 1.6 milioni i lavoratori italiani che si sono licenziati. Un evento cardine che è in progress, “da adesso in poi”, sempre più acuto. Non va sottovalutata la proposta della prima intelligenza artificiale politica, che si candida a entrare nel parlamento danese, guidando il cosiddetto Partito sintetico: offrire un reddito minimo di 13.443 euro all’anno per abitante.

Soprattutto dal 2020 in poi, cioè in epoca pandemica e postpandemica, ciò che si osserva è un’immane ritrazione della passione nel governare insieme l’andamento delle cose. Non è una distrazione di massa. I fenomeni esacerbati della passione caotica sono visibili nello spasmo e nell’acuzie con cui populisti e sovranisti e nichilisti tentano di colpire i templi e le cadenze dei regimi democratici. Ma a fronte di questa isteria ribollente, che è tutta una forma di lamento portato agli estremi, regge maggioritaria una sorta di indifferenza estranea all’armamentario del consenso politico.

Laddove la persuasione, nella forma emblematica delle fake news e dell’ideologia del complotto, funziona ancora sui residui di una politica umana tecnicamente degenerata, basterebbe partecipare in prima persona a una campagna elettorale qualsiasi per incontrare il grande sonno che connota il momento storico di massa. Non esiste un programma politico che sollevi istinti passionali. Il consenso sembra esprimersi per inerzia. È esattamente l’inerzia stessa della realtà che procede per necessità “da adesso in poi”. La promessa sul futuro dell’umanità, cioè l’immane avventura tecnoscientifica e il grande mutamento, viene pronunciata non dalla politica ma dalla realtà stessa, che con immensa inerzia, sempre più veloce all’apparenza, si trascina verso il mantenimento della promessa stessa.

Non c’è un politico umano in grado di reggere e realizzare una simile promessa né di mantenerla. Dato che il sogno non è più tale, perché si è rivelato realtà al risveglio, tutto ciò che progettava la realtà entra in un clima di sostanziale indifferenza alle logiche del consenso. 

Eletta per inerzia

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Per calarsi nella nostra quotidianità: chi pensasse che Giorgia Meloni sia divenuta premier a furor di popolo sbaglierebbe, perché non c’è più né popolo né furore. Un’inerzia, leggibile con ampio anticipo, conduce Meloni alla presidenza del Consiglio.

Dopodiché presiede davvero il Consiglio? Cosa realizza, che non sia dettato dalla realtà necessitante? Risulta davvero conservatrice o regressiva? Le cose stesse, il fatto storico anzitutto, si presentano con un’irrimediabilità interessante. Il corrispettivo politico di questa irrimediabilità è il segno contemporaneo con cui si abita il potere: l’essere riluttanti. Si valuterà sulla scala dei secoli cosa abbiano significato la Great Resignation da un canone bimillenario, operato da Benedetto XVI, che abita il potere con riluttanza.

Si può però riscontrare da subito la cifra della riluttanza nella gestione politica della compagine governativa da parte di Mario Draghi, l’opera del quale si deve misurare con i caratteri specifici del tempo che viviamo: rivoluzione energetica, abbattimento dell’idea di debito, planetarizzazione dell’Europa. La riluttanza dei vertici apicali è l’altra faccia della grande inerzia.

È crisi, ma soltanto del consenso politico. La specie non è mai stata attiva su una scala così vasta e profonda. Toccare la verità biologica della riproduzione, andare su un altro pianeta, avanzare l’idea di reddito universale come orizzonte praticabile, mutare produzione e proprietà dell’energia: non si parla qui di istanze raggiunte. Ciò che pare raggiungibile diviene fatalmente raggiungibile. Le passioni risiedono in caratteri civili, che sostituiscono la prospettiva politica, secondo una forza silente che dà per scontato che le cose debbano essere così: nessuno può fermare la rivoluzione di genere o la trasformazione ecologica. Ciò che si vuole è necessario.

L’aria del tempo comunica una rivoluzione antropologica che meriterebbe ben altre teorie e fenomenologie, rispetto a quelle che circolano, peraltro nell’indifferenza della specie. Osservava Raymond Kurzweil, il teorico della singolarità tecnologica: quando ibridarsi con robot nanotecnologici abbatterà la necessità di chemioterapie, i dibattiti bioetici verranno posti sullo sfondo. La vita garantita esprime una grande inerzia. L’inerzia è la grande sorpresa. È l’alba della specie che si vive come perenne e che desidera ignorare la notte profonda e qualsiasi crepuscolo.

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