Silvio Berlusconi coltiva il suo sogno, quello di diventare presidente della Repubblica per pacificare il paese e riabilitarsi agli occhi dei cittadini e del mondo.

Per raggiungere il suo obiettivo, in maniera istituzionalmente sgrammaticata, si è di fatto autocandidato. E da quel momento ha iniziato a telefonare, ricevere persone e inviare messaggi, più o meno esplicitati, anche utilizzando il giornale di famiglia.

La sintesi della sua “campagna elettorale” è: «Chi tradisce, nel centrodestra, pagherà un prezzo alto». A cominciare dall’essere condannato all’irrilevanza nei salotti televisivi di Mediaset (dove gli esponenti degli altri partiti del centrodestra sono spesso ospiti). Di più.

Il leader di Forza Italia avrebbe anche pensato di dare precise indicazioni sulle modalità di voto, così da scoprire eventuali traditori.

A buon intenditor

I destinatari della sua strategia comunicativa, condotta soprattutto a mezzo stampa (attraverso le pagine del Giornale) sono ovviamente Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

Ma tra i fedelissimi di Berlusconi c’è anche chi vive un certo imbarazzo. Diviso tra il sogno quirinalizio del leader di sempre e la fedeltà al “nuovo regno” guidato da Mario Draghi.

Si tratta di Gianni Letta, consigliere fidatissimo e da anni al fianco dell’ex Cavaliere. Dopotutto al momento, dopo la conferenza stampa di fine anno in cui il presidente del Consiglio ha di fatto dato la propria disponibilità a essere eletto al Quirinale, il principale ostacolo sulla strada verso il Colle è proprio il leader di Forza Italia. Colui che ha voluto Draghi al vertice della Banca d’Italia lanciando la sua ascesa inarrestabile.

In questo scontro a distanza Letta si trova nella terra di mezzo, braccio destro del “Caimano” negli anni d’oro a palazzo Chigi a cavallo tra il 1994 e il 2010, ma anche sponsor attivissimo dell’attuale presidente del Consiglio.

La stagione berlusconiana

Per anni Gianni Letta è stato definito in ogni modo possibile: “eminenza grigia”, “uomo ombra”. È stato amico, fidato consigliere, grande conoscitore, silenzioso, di intrighi e segreti. Ma ha anche un rapporto di fiducia con Draghi con il quale ha legato fin dai tempi della nomina in via Nazionale.

Letta non ha scoraggiato l’idea, pazza, di Berlusconi di ambire alla successione di Sergio Mattarella.

I leader di Fratelli d’Italia e della Lega, forse ingenuamente, avevano considerato questa ultima discesa in campo del “padrone del centrodestra” come una provocazione a tempo. Una boutade con data di scadenza che, prima o poi, si sarebbe risolta in un nulla di fatto.

Ma ora che il giorno della verità si avvicina nessuno può più tirarsi indietro. Anche perché l’ex presidente del Consiglio li vuole tutti schierati al suo fianco. Impegnati giorno dopo giorno ad allargare la platea dei grandi elettori. Vanno lette in questa direzione alcune prese di posizione come la giravolta sul reddito di cittadinanza fatta appositamente per “ammaliare” i parlamentari grillini.

Alla fine, quasi sicuramente, il leader di Forza Italia non ci riuscirà. Ma nonostante tutto sta lavorando come fosse la sfida della vita.

L’ostacolo principale, nonostante tutto, non sembrano essere i problemi giudiziari. Consigliato dai suoi avvocati di sempre, Franco Coppi e Niccolò Ghedini, Berlusconi ha già ricevuto sufficienti rassicurazioni e anche il via libera, condiviso dallo stesso Letta.

Per loro la condanna per frode fiscale, i processi ancora aperti, l’eventualità di un presidente della Repubblica noto perché ha definito «un eroe» un mafioso come Vittorio Mangano. Persino i rapporti del bibliofilo amico Marcello Dell’Utri con Cosa nostra, non sono motivi ostativi.

In realtà non sono mai stati un problema per nessuno neanche per gli alleati Meloni e Salvini che vivono la corsa al Quirinale di Berlusconi come l’ultimo amaro calice da bere per poi potersi poi spartire l’eredità.

Salute precaria

Un ostacolo ben più consistente è sicuramente la cagionevole condizione di salute dell’ex premier. Chi lo ha visto di recente parla di un presidente «sveglio e pieno di energie», ma che «fa i conti con l’età e con una condizione fisica assai precaria».

Qualcuno racconta che a metà dicembre lo ha visto ad Arcore, portato a spalla dal divano al tavolo da pranzo, dove si è adagiato su una sedia liberandosi con un «grazie, ce la faccio». Forse è questa la ragione che lo ha spinto a rinunciare alla presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa.

Anche se ufficiosamente qualcuno ha fatto circolare la notizia che Berlusconi aveva rinunciato valutando inopportuno, per un candidato presidente della Repubblica, esporsi pubblicamente e andare in giro a parlare di politica.

Insomma la salute sembra essere, al di là dei calcoli su chi voterà chi, l’ostacolo principale per centrare questo ultimo obiettivo della sua carriera politica.

Qualcuno ha detto che se Berlusconi dovesse decidere, alla fine, di fare un passo indietro, potrebbe indicare come alternativa proprio il fidato amico Gianni Letta, il consigliere di sempre che nel 1990 era tra i quattro testimoni (insieme a Fedele Confalonieri e ai coniugi Anna e Bettino Craxi) nel matrimonio con Veronica Lario.

Letta, fedele al suo identikit di “consigliere silenzioso”, non parla dell’argomento. Al Colle più alto ti candidano non ti devi mai candidare, è una regola aurea che l’uomo ombra di Berlusconi conosce benissimo.

L’ipotesi è remota, remotissima per ragioni di età (86 anni) e di equilibri politici, ma di certo quello di Gianni Letta è un profilo apprezzato dai più. E nella partita per il Quirinale giocherà il suo ruolo, diviso tra il vecchio dante causa (Berlusconi) e il nuovo che avanza (Draghi).

La riserva della Repubblica

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«Poniamo che si verifichi una soluzione di stallo. Da un lato Silvio Berlusconi impossibilitato a essere eletto per le sue condizioni di salute e per lo scarso sostegno parlamentare. Dall’altro Mario Draghi che, a causa delle debolezze dei partiti della sua maggioranza, finisce per essere logorato e capisce che può rischiare di non essere eletto al Quirinale a causa di possibili franchi tiratori. Quale migliore riserva della Repubblica di Gianni Letta per superare questa situazione?», si chiede un influente uomo del centrodestra.

L’ipotesi secondo molti resta impraticabile. Ma Letta gode sicuramente di quella stima e di questa larga considerazione che lo rende un candidato ottimo per ogni totonomine. Di certo giocherà la sua partita. Magari riposizionando la sua rete di rapporti e relazioni. Un riposizionamento che in realtà è già iniziato da tempo.

Letta di sicuro ascolta e sostiene le scelte di Berlusconi, ma contemporaneamente è molto vicino a Draghi. Tanto vicino da prendersi la briga, quando su un giornale di centrodestra è apparsa la notizia delle avventure imprenditoriali della figlia del premier, di alzare la cornetta di buon mattino, prima delle 8, e chiedere spiegazioni. Con il suo proverbiale garbo, la consueta educazione, Letta si è speso per Draghi, considerato il salvatore della patria.

I due si sentono, si parlano, si confrontano. Durante la formazione del governo, le ministre in quota Forza Italia, Mara Carfagna e Maria Stella Gelimini, sono subito state considerate come più gradite a Letta che a Berlusconi.

Non a caso Licia Ronzulli, deputata vicinissima all’ex Cavaliere, quando a metà ottobre Gelmini si è permessa di dire che Carfagna detta la linea ufficiale del partito, l’ha subito attaccata: «Per me la linea la dà Silvio Berlusconi e nessun altro. E la seguo anche quando non la condivido. Cosi è e così sarà sempre».

Letta, insomma, è a cavallo tra il vecchio e il nuovo, anche se a quel vecchio deve tutto. Quella tra Berlusconi e Letta è comunanza antica, di vedute e di potere. Dopo gli anni presso il quotidiano Il Tempo, dove ha iniziato da redattore fino a diventarne direttore responsabile, Letta è entrato nel consiglio di amministrazione di Standa insieme a Marcello Dell'Utri ed è diventato, tra lo stupore dei quadri dell’azienda berlusconiana, vicepresidente di Fininvest.

Nel 1994 è stato nominato per la prima volta sottosegretario alla presidenza del Consiglio e nuovamente, nel 2001, nel secondo governo Berlusconi. Ambasciatore e ombra dell’amato presidente.

Il nuovo ventennio

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E in quegli anni che si cementa il rapporto tra Letta e Draghi. Il primo sottosegretario di stato, il secondo per breve tempo manager di Goldman Sachs dopo gli anni da direttore generale del ministero del Tesoro.

Si incontrano, si parlano prima della nomina di Draghi a governatore della Banca d’Italia dopo lo scandalo che aveva travolto palazzo Koch e il predecessore Antonio Fazio. Nomina caldeggiata da Letta attraverso un lento lavoro di convincimento dell’ala riottosa del centrodestra, quella leghista di Umberto Bossi.

Un rapporto lungo quasi vent’anni con i destini dei due che spesso si sono incrociati. Come quando nel 2010, dopo la crisi dell’ultimo governo Berlusconi, venivano indicati entrambi come papabili successori (poi la scelta è caduta su Mario Monti). «Gianni Letta lo voterei senz’altro e voterei anche Mario Draghi per la guida di un nuovo governo, sono due persone che per ragioni diverse stimo entrambe assai», diceva Pier Ferdinando Casini, https://www.editorialedomani.it/politica/quirinale-casini-ultima-mediazione-per-conquistare-il-colle-democrazia-cristiana-u0esitha Nel 2011, prima delle dimissioni di Berlusconi, Draghi lasciava via Nazionale e diventava numero uno della Bce, la Banca centrale europea.

Gianni Letta è tutto quello che gli uomini di potere vorrebbero essere. influente, ma misurato, decisivo, ma distaccato. Quando gli esponenti del centrodestra attaccavano il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per la caduta franosa dell’ultimo governo Berlusconi accusandolo addirittura di aver ordito un “complotto”, Letta manteneva cordiali rapporti. Ed era stato il primo a chiamare Napolitano dopo il consueto discorso dell’ultimo giorno dell’anno. Il suo nome era addirittura finito tra i papabili per una possibile nomina a senatore a vita, qualcuno lo voleva ancora sottosegretario anche con il governo di Monti.

Non c’è partito politico, campo dove non se ne apprezzi il tratto. Perfino il M5s che ha costruito fortune contro Forza Italia e Berlusconi, si è inchinato all’ambasciatore politico che tutto avvolge.

Prima della caduta di Giuseppe Conte, Luigi Di Maio ha incontrato prima Draghi e poi Letta con il quale da tempo intrattiene rapporti.

Il ministro degli Esteri ha giustificato quei contatti come «spirito dialogante». Uno spirito che ha aperto le porte al governissimo con buona pace di Giuseppe Conte e del governo giallorosso. Così il M5s è diventato spalla del nuovo esecutivo Draghi allineandosi ai partiti che detestava e diventando, dopo anni passati a urlare «mai con Berlusconi», alleato dei forzisti.

Le strade di Letta sono infinite. Anche Oltretevere l’apprezzamento per la sua figura è altissimo. Amico di papa Benedetto XVI, il pontefice lo ha nominato «gentiluomo di sua santità» nel 2008. Berlusconi aveva precorso i tempi quando lo aveva definito «un dono di Dio all’Italia».

Dalle parti del Pd è di casa, nel 1997 ha costruito l’accordo tra Massimo D’Alema e Berlusconi che ha portato alla nascita della bicamerale per le riforme, poi fallita.

Anni dopo ha favorito il patto del Nazareno siglato da Berlusconi con l’allora leader democratico Matteo Renzi.

Amico di Goffredo Bettini, plenipotenziario democratico che detta nomine e ha consigliato numerosi sindaci di Roma (ma anche l’ex premier Conte), una specie di alter ego di Letta. Si conoscono da anni, facevano lo stesso mestiere in schieramenti avversi, il factotum, poi hanno capito che si somigliavano troppo e sono diventati «amici fraterni», ha raccontato Bettini. Ma i rapporti sono cordiali con l’intero organigramma del vecchio partito comunista.

«A Berlusconi gli è stata data la garanzia piena che non gli sarebbero state toccate le televisioni, non adesso, ma nel 1994. Lo sa lui e l’onorevole Letta», diceva l’allora onorevole Luciano Violante, nel 2003, alla Camera dei deputati.

L’unica sponda che non gradisce Gianni Letta è quella sovranista, incarnata da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Lavora per renderli innocui e, manco a dirlo, è riuscito anche in questo, con Giancarlo Giorgetti, ala moderata e “responsabile” della Lega, che aumenta peso e influenza.

Su Letta in tanti si sono sperticati in elogi, per il suo ruolo, la sua caratura, la capacità di mantenersi in piedi mentre il caimano, Berlusconi, faceva carta straccia di regole e Costituzione sputando sui giudici con le leggi ad personam e un parlamento piegato alla sua volontà.

Letta è rimasto lì, al suo fianco, mantenendo con riserbo e classe, la maglia intonsa, quella di arbitro, quasi neutrale anche se pagato dalla squadra di casa. Non ha scheletri nell’armadio e quelli che aveva li hanno polverizzati la storia, il suo stile asciutto, posato, democristiano e la sua condotta. Alle cronache restano i suoi rapporti con Luigi Bisignani, le pressioni, sempre con bon ton, per nomine in Rai, la sua influenza che spunta ovunque.

Non a caso è stato definito l’unico erede di Giulio Andreotti, suo amico e maestro. Non sono mancati guai giudiziari dai quali ne è sempre uscito pulito: il più recente risale al 2009 quando è stato indagato per truffa in un’inchiesta sul business dell’immigrazione, definitivamente archiviata su richiesta della pubblica accusa.

Comunque vada questa corsa al Quirinale Letta cadrà in piedi come accade da sempre. Berlusconi trafitto nell’orgoglio potrebbe dover accettare Draghi presidente della Repubblica, dove lo aveva già candidato proprio il leader di FI, senza successo, nel 2013.

A quel punto come segno di pacificazione Letta potrebbe diventare senatore a vita, anche se costituzionalmente la questione è controversa perché l’articolo 59 della Carta stabilisce che «il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque».

E attualmente, compreso il presidente emerito Giorgio Napolitano, i senatori a vita sono sei. In ogni caso lui di questa ipotesi non vuole sentir parlare.

Eppure sarebbe la chiusura del cerchio, il trionfo dell’uomo ombra, dell’eminenza azzurrina, del fido scudiero. Una nomina che segnerebbe il tramonto definitivo di Berlusconi. E l’inizio di un nuovo regno.

 

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