«Non ci tapperete mai la bocca come avete fatto con Charlie Kirk». È la cifra della giornata: il nemico è ovunque, invisibile e onnipresente. Nelle scuole, nelle piazze, nei giornali, persino nell’Occidente stesso. Un sabato di settembre soffocato dal caldo romano fa da cronice a Fenix, il festival dei giovani di Fratelli d’Italia. Una vetrina generazionale che finisce per diventare soprattutto un esercizio collettivo di costruzione di nemici.

La giornata si apre con il ricordo di Sergio Ramelli, il militante del Fronte della Gioventù ucciso a Milano nel 1975. Sul palco la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti: «Ogni volta che uscivamo a scuola negli anni ’70 andavamo incontro all’ignoto, presi in classe a calci e pugni. L’obiettivo era toglierci dalle scuole pubbliche».

Frassinetti, storica esponente missina poi di An e FdI a Milano, nel 2019 chiedeva lo scioglimento dell’Anpi e di fronte a una sala piena di militanti intreccia memorie personali e politiche. Nel 2008 aveva collocato la targa per Ramelli al liceo Molinari frequentato dal ragazzo: «Sono tornata a commemorarlo da sottosegretario ma il clima è cambiato. Mi trovo quelli che dicevano fuori i fascisti dalle scuole. E mi sono sentita anche giovane». È il tono che segna l’intera giornata: la rivendicazione di una memoria di parte, il vittimismo come elemento di identità politica.

Per capire chi è dentro il mirino bisogna seguire il dibattito su “Oriente vs. Occidente”. È Paolo Inselvini, eurodeputato a metterlo a fuoco: «Siamo di fronte a una realtà dove l’Occidente ha perso la sua identità. Spesso rincorriamo ideologie malsane e malvagie come quelle Lgbt, gender, ambientalista, dello scarto. E poi c’è un Oriente che si compatta sempre di più». È il mondo diviso in blocchi, con l’Occidente indebolito dalle sue stesse libertà e un Oriente immaginato come monolite compatto. 

La temperatura si alza e anche il registro con “Patria 2.0”, il talk che parla ai giovani. Galeazzo Bignami, capogruppo di FdI alla Camera, arringa la platea: «Vi accuseranno quando difenderete i nostri valori. Vi diranno xenofobi, omofobi, fascisti. Quando vi scagliano l’anatema, significa che hanno desistito dal confronto. E quando accade, avete già vinto». Una logica semplice: se l’avversario ti attacca, hai ragione. È la traduzione politica del principio del martirio.

Dal palco arriva anche l’attacco ai media. Alessandro Merlino, capo della segreteria del ministero della Cultura, in un passaggio prende di mira Fanpage, rea di aver firmato un’inchiesta sugli ambienti giovanili nostalgici di FdI: «Bisogna raccontare i valori della patria. Questo si può dire di tutti, tranne di chi gira con una telecamera nascosta. Faccio riferimento a quel servizio infame che non vi ha fermato». Applausi in piedi.

Il panel "Maschi vs Femmine” resta quello più seguito. Una platea fatta soprattutto di uomini che accolgono sul palco Némésis, le militanti francesi di estrema destra, convinte che le vittime oggi siano gli uomini. Citano numeri allarmanti: «Il 45 per cento delle vittime di violenza sessuali è di stranieri, il 26 per cento dei femminicidi è commesso da stranieri». Dati falsi: la maggior parte degli autori violenza sessuale è di nazionalità italiana e secondo l’XI Rapporto Eures, nel 2024 i femminicidi in Italia sono stati 99, di cui solo 16 commessi da stranieri.

Ma le cifre qui servono più a evocare che a spiegare, più a rafforzare la paura che a descrivere la realtà. Il tono sfiora il grottesco quando Matteo Carnieletto, giornalista de La Verità, racconta che delle femministe avrebbero assoldato delle streghe per maledire Kirk. La cronaca politica si mescola così al folklore più cupo, ma nella sala nessuno ride: il racconto rientra nella costruzione di un nemico implacabile e invisibile. A chiudere il cerchio arriva Giuseppe Cruciani, che lamenta il boicottaggio del suo libro da parte delle femministe. «Per fortuna, in Italia non ci sono le pistole», commenta, offrendo l’ennesima prova di un assedio che sarebbe costante e permanente.

Ed è con il ricordo di Charlie Kirk che il tono si fa ancora più scopertamente vittimista. «Non ci tapperete mai la bocca», scandiscono dal palco durante il dibattito in memoria dell’influencer di destra assassinato. Prima lo slogan: «Noi siamo tutti Charlie Kirk». Poi il minuto di silenzio. Per il capogruppo meloniano al Senato Malan: «I giornali hanno scritto espressioni equivalenti al 'se l'è cercata, se fosse stato zitto'. Se uno rischia la vita per dire quello che pensa allora c'è un grosso problema». L’effetto, nel caldo soffocante del sabato romano, è quello di un’accensione continua: vittimismo come collante, polemica come carburante. E un elenco di nemici: i comunisti di ieri, le persone Lgbtq di oggi, gli ambientalisti, i giornalisti, le femministe, l’Occidente stesso, colpevole di indebolirsi. Fenix, il festival dei giovani di FdI, più che un raduno generazionale è un manuale di autodifesa: contro tutto e contro tutti.

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