Nel 1994 Carlo Nordio era un pubblico ministero alla procura di Venezia. Il 3 maggio di quell’anno, insieme ad altri colleghi, ha firmato una lettera indirizzata all’Associazione nazionale magistrati per dichiararsi contrario alla separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti.

Il documento, trasmesso via fax alla sede romana dell’Anm, recita testualmente: «I sottoscritti magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale di Venezia aderiscono al comunicato dell’Associazione nazionale magistrati in quanto contrari alla divisione delle carriere».

Tra i firmatari c’era proprio lui, Carlo Nordio, all’epoca pubblico ministero, oggi ministro della Giustizia, e autore del disegno di legge costituzionale che introduce la separazione delle carriere. Una riforma che, da togato, considerava pericolosa per l’equilibrio democratico, ma che ora, da politico, considera fondamentale.

Il documento a cui Nordio ha aderito nel 1994, pubblicata in esclusiva sulla rivista dell’Anm, La Magistratura, era parte di un’iniziativa più ampia che ha raccolto all’epoca oltre 1.500 adesioni.

Il primo punto dell’appello sintetizzava così le ragioni del No: «Nella storia dell’Italia repubblicana, l’indipendenza del pm rispetto all’esecutivo e l’unicità della magistratura ha rappresentato in concreto una garanzia per l’affermazione della legalità e la tutela del principio di eguaglianza dinanzi alla legge». Le stesse tesi che oggi l’Anm continua a sostenere e che il Nordio ministro respinge con fermezza.

A chi gli ha ricordato la lettera del 1994 contro la separazione delle carriere, Nordio ha risposto oggi in un’intervista a Il Giornale ammettendo di aver cambiato idea ma sottolineando di averlo fatto trent’anni fa. E che, già all’epoca, era stato «pesantemente criticato dall’Anm».

Il ministro ha rivendicato di aver mantenuto «la barra dritta» in questi anni, e ha raccontato di essere stato convocato nel 1997 dai probiviri dell’Associazione nazionale magistrati per rendere conto delle sue idee «eretiche»: «Naturalmente li mandai al diavolo. Ho recuperato la corrispondenza e l’ho fatta mettere nel sito del ministero», ha aggiunto.

Secondo Nordio, la sua posizione non sarebbe cambiata nel tempo, ma anzi confermata: «Il Giornale e il Corriere uscirono con un titolo in prima pagina: Il giudice Nordio si pente. Da allora, non ho più cambiato idea».

Il ministro risponde così alle accuse di incoerenza emerse in seguito alla pubblicazione della lettera del 1994, spiegando che la firma sarebbe avvenuta in un contesto teso, tra stragi e Tangentopoli, e che da allora la sua evoluzione sul tema è stata pubblica e costante.

Lo scontro con il Csm sul caso Almasri

Mentre torna in superficie il passato “scomodo” del ministro, prosegue lo scontro tra Nordio e il Csm. Il Consiglio superiore della magistratura ha infatti approvato una delibera durissima contro il guardasigilli, in seguito alle sue dichiarazioni sul magistrato Raffaele Piccirillo, che aveva rilasciato un’intervista sulla vicenda Almasri a Repubblica.

Nel testo votato dal plenum, si legge che le affermazioni di Nordio sono «gravi» e rischiano di compromettere «la fiducia dei cittadini nella funzione giudiziaria». Secondo il Csm, le parole del ministro sarebbero «idonee a condizionare il sereno e indipendente esercizio della giurisdizione» e rappresenterebbero una violazione dei principi costituzionali di «autonomia, indipendenza e leale collaborazione tra i poteri dello stato».

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