La tentazione di riscrivere una parte del Piano nazionale di ripresa e resilienza, le difficoltà nell’approvazione del decreto al Senato, pur nella consapevolezza che non sarà affatto decisivo, le critiche rivolte da più parti, che non provengono solo dalle forze di opposizione, come era prevedibile. Che il Pnrr non sia «solo un giardino di rose» ne è consapevole anche il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, come ha detto in una recente intervista a Il Foglio. La linea, però, non è cambiata: prendersela, nemmeno troppo velatamente, con il precedente governo.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, evita di ripeterlo in prima persona per non alimentare dissapori con il predecessore, Mario Draghi. La rotta era però già indicata dal collega Raffaele Fitto, titolare del dossier a Palazzo Chigi: attaccare chi c’era prima. Nel frattempo il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, intercettato alla Camera nei giorni scorsi, quasi controvoglia si è limitato a parlare di una «discussione con la commissione europea su cosa fare in maniera realistica».

La tensione c’è, insomma, ed è palese. Anche perché, intanto, la Corte dei Conti ha diffuso in settimana la corposa relazione che elenca vizi e virtù del Piano, smascherando un pezzo fondamentale della propaganda di governo. La disamina verifica punto per punto le cose fatte, rilevando meno criticità di quelle che denuncia il governo sul passato, volgendo in realtà lo sguardo in avanti, a quello che bisognerà fare a stretto giro. Il 2023 è il primo dei tre anni più importanti che accompagneranno l’attuazione del Pnrr.

Una sveglia all’esecutivo in carica, che finora sembra più attento a scansare le critiche che a rispondere ai rilievi con azioni concrete, a partire dalle riforme che i magistrati contabili indicano come necessarie. A partire da un capitolo indigesto all’alleanza di centrodestra: l’eliminazione delle rendite di posizione.

Pnrr senza concorrenza

Il Pnrr è stato pensato per ridurre le disuguaglianze sia generazionali che di genere. Insomma, un investimento sia a favore dei giovani che delle donne. La Corte dei Conti spiega, in maniera indiretta, come il governo dovrebbe fare un passo in più rispetto alla mera attuazione del Piano: occorrono delle riforme complessive per contrastare il gender gap e favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Vengono così rilevati vari elementi che potrebbero vanificare gli effetti del Pnrr, in assenza di politiche organiche. Complementare alla realizzazione del Recovery Plan, o meglio di Next Generation Eu, c’è l’apertura alla concorrenza: non a caso l’Unione europea chiede un apposito disegno di legge ogni anno. Secondo la relazione della magistratura contabile c’è ancora troppa «importanza dei fattori relazionali in mercati spesso poco aperti alla concorrenza, che limitano le possibilità di ingresso dei lavoratori più giovani, e favoriscono i legami familiari». Non sono citate espressamente le parole balneari e taxi, ma basta leggere in filigrana per capire quali siano le richieste in tal senso.

Sul capitolo, però, il governo Meloni è spesso apparso deficitario come dimostrato di recente con il ddl Concorrenza, che già di per sé non conteneva una rivoluzione: l’esecutivo ha preferito rimandare la discussione. Inoltre, la Corte fa riferimento alle politiche sociali da cambiare, poiché «la struttura dei rapporti fra generazioni, che vede ancora la centralità della cura familiare delle persone non autosufficienti, come anziani e bambini». In assenza di un potenziamento dei servizi diventa difficile incidere in maniera reale sulle disuguaglianze di genere o generazionali.

Mattone inflazione

Uno degli aspetti importanti, individuati dalla Corte dei Conti, riguarda la dinamica dell’inflazione legata ai rincari di molte materie prime per uno dei settori cruciali dell’economia italiana: l’edilizia. Un comparto che per sua natura sarà fondamentale nell’ambito della completa attuazione del Pnrr. Già nel 2021 c’è stato un balzo significativo dei prezzi, pari all’8,3 per cento, rispetto all’anno precedente.

Il dato del 2022 è salito addirittura al 17,7 per cento contro una media dell’area euro del 17,1 per cento. A pesare in particolare in Italia è l’incremento del costo del cemento, +45,1 per cento negli ultimi dodici mesi, che è il doppio della media europea, attestata al +22,2 per cento. Numeri ancora peggiori sono stati registrati per il mattone, che ha una media del +47,5 per cento (sempre +22,2 per cento per l’area euro). E così via per gli aumenti del gesso (+45,5) e del vetro piano (+40,8). Solo per i sanitari c’è stata una crescita dei costi più contenuta, in Italia, fermatasi al 5,1 per cento, contro l’8,9 per cento dell’area euro.

La dinamica inflattiva ha così «determinato uno slittamento in avanti dei cronoprogrammi degli investimenti», ha denunciato l’Associazione nazionale costruttori edili (Ance). E c’è un’osservazione emersa nella relazione della Corte dei Conti: «Il fatto che le imprese delle costruzioni siano già andate incontro a problemi dal lato della disponibilità di manodopera suggerisce che l’attività del settore è oramai prossima al potenziale». Cosa significa? «Può essere un problema per un settore che è chiamato nei prossimi anni a soddisfare flussi di domanda pubblica elevati». L’intreccio tra aumenti dei prezzi e saturazione del comparto fa scattare l’allarme, nonostante dall’Ue sia stato previsto un piano alternativo rispetto alla realizzazione dei progetti e all’inflazione crescente.

Buio a Mezzogiorno

Altro nodo è quello del divario territoriale: il Mezzogiorno beneficia del 40 per cento delle risorse del Pnrr, con particolare attenzione alla riduzione del digital divide. Eppure questo ricco plafond potrebbe non essere sufficiente a ottenere effetti concreti. L’indice dell’economia e della società digitale (Desi) viene assunto come strumento principale per ravvisare i problemi principali relativi allo sviluppo infrastrutturale del sud. La questione incrocia vari elementi, dal capitale umano a disposizione ai servizi digitali offerti, passando per la connettività garantita e per l’integrazione di tecnologie digitali.

A fine 2022 i ritardi di attuazione sono relativi a 11 progetti sul totale di 107 previsti per la fine dello scorso anno. «Una mancanza tutto sommato contenuta», sostiene la Corte dei conti, smentendo, sul punto specifico, lo scaricabarile del governo, e anzi riferendo che il «2023 resta anche in questo caso l’anno che dovrebbe dare avvio all’effettiva messa a terra degli investimenti programmati». Ma quando si parla di Mezzogiorno c’è una questione più complessa da affrontare rispetto al solo divario digitale: la predisposizione dei bandi e l’avvio delle gare di appalto.

Uno studio della Svimez ha messo in evidenza i nodi critici da sciogliere. Tra i Comuni con meno di 30mila abitanti, risulta una partecipazione ai bandi Pnrr mediamente più alta nel Mezzogiorno, ma un tasso di aggiudicazione più contenuto. C’è voglia di fare, ma mancano gli strumenti. «Tra i fattori che hanno generato criticità i comuni del sud indicano soprattutto l’eccessiva complessità delle procedure», scrivono i curatori del testo, Serenella Caravella, Carmelo Petraglia e Gaetano Vecchione. In particolare oltre il 40 per cento dei Comuni ha avvertito la necessità di ricorrere a consulenze esterne per la partecipazione ai bandi, costringendo a un impiego meno razionalizzato delle risorse.

Tuttavia, la necessità di dover affrontare la sfida ha favorito la formazione di alleanze istituzionali: il 43 per cento delle amministrazioni ha stretto collaborazioni con comuni limitrofi. Nel dettaglio dei cantieri, spiega la Svimez, «le opere che procedono più a rilento al Sud sono quelle con investimenti fino a un milione di euro. I ritardi si accumulano soprattutto nelle fasi iniziali di affidamento dei lavori, rallentate dalle carenze di personale tecnico specializzato in particolar modo nei piccoli Comuni».

Personale demotivato

La questione dell’assunzione di personale competente è conclamata. Per questo chi segue da vicino il dossier sostiene di dover prevedere delle operazioni specifiche in materia di potenziamento degli organici. «Si riconosce ormai tutti unanimemente quanto sosteniamo da tempo, il successo del Pnrr passa per l’acquisizione di un numero sufficiente di competenze specialistiche», spiega Tiziana Cignarelli, segretaria generale della Flepar e di Codirp, le organizzazioni sindacali dei professionisti e della dirigenza pubblica. Il punto che evidenzia è che «ci si ostina a non prendere atto che, a oggi, i concorsi sono andati in parte deserti in ragione dell’inadeguato inquadramento previsto dalla maggior parte delle selezioni». La tesi è che un inquadramento contrattuale più stimolante dei professionisti può favorire autonomia e organizzazione per evitare di «finire nell’ingessamento burocratico», ribadisce Cignarelli. Dunque, la questione attiene a un livello sicuramente economico, perché più soldi non vengono certo rifiutati, ma si estende alla libertà di potersi muovere tra le pieghe organizzative.

Dissesto senza risposte

Fin qui il quadro generale, che si muove lungo svariati campi. C’è poi il dettaglio dei progetti, previsti nel concreto, e su cui la relazione della Corte dei conti si sofferma a lungo ed è opportuno esaminarne almeno una parte. Si tratta in effetti della carne viva del Pnrr, di quei cantieri che poi impattano - dovrebbero almeno - sulla vita dei cittadini, non in termini di Pil ma anche di miglioramento della qualità dei servizi. Sulla tutela del territorio e contro il rischio di dissesto idrogeologico, c’è per esempio ancora molto da fare, nell’ambito del capitolo di spesa di 2 miliardi e 487 milioni di euro che fa capo al dipartimento della Protezione civile e al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica di Gilberto Pichetto Fratin.

L’impegno del Piano è caratterizzato dalla necessità di realizzazione di interventi, sia di prevenzione sia di ripristino, nelle zone a rischio. «La maggior parte delle risorse risulta destinata a progetti “in essere”, in relazione all’urgenza della predisposizione di idonei progetti e alla necessità di terminare gli interventi entro la scadenza del Pnrr», si legge nel documento dei magistrati contabili. Da qui l’allarme sulla «necessità di risolvere tutte le problematiche di carattere amministrativo-gestionale dei fondi Pnrr entro i primi mesi del 2023, al fine di permettere di concentrare le risorse umane sulla realizzazione sostanziale degli obiettivi prefissati». Insomma, occorre qualche risposta da parte del governo.

In materia di ambiente c’è il programma “Isole verdi”, in favore dello sviluppo di politiche green in 19 comuni nelle isole minori. Si tratta di un esempio tra i tanti di iniziative specifiche e territoriali. Come per altri casi, anche qui non sono emerse criticità riferite al passato: «Dopo la prima, anche la seconda scadenza - 30 settembre 2022 - è stata rispettata». Questo significa che è approvata la graduatoria contenente 142 progetti di investimento per un valore complessivo di circa 200 milioni di euro.

Più che lamentarsi del passato, dunque, l’esecutivo in carica deve pensare a seguire i ritmi previsti: «Le prossime scadenze sono impegnative. In particolare, ai fini della predisposizione dei bandi di gara». E, viene ribadita dalla Corte, «la necessità che i comuni possano contare sull’assistenza delle strutture centrali. Allo stesso tempo è necessario che la direzione generale competente scongiuri il pericolo che alcuni dei progetti approvati si trovino a beneficiare di un doppio finanziamento». 

Capitolo cybersicurezza

La transizione digitale del Piano include la voce della cybersicurezza, con una dotazione di 623 milioni di euro, gestita dal dipartimento per l’Innovazione di Palazzo Chigi, guidato da Alessio Butti, un fedelissimo di Meloni. Gli obiettivi dello scorso anno sono stati raggiunti, dal predecessore Vittorio Colao. «Resta sullo sfondo la domanda relativa al se - tenuto conto anche del contesto europeo e internazionale in cui il settore si muove e con il quale necessariamente deve interrelarsi - la spesa per le infrastrutture tecnologiche possa considerarsi adeguata o non sia piuttosto ancora relativamente bassa», spiega il dossier della Corte dei conti, evidenziando un altro punto: «Particolare attenzione dovrà essere dedicata naturalmente anche alla formazione del personale, tenuto conto dell’altissima specializzazione richiesta dal settore». Ancora formazione e innovazione vanno a braccetto in una richiesta di intervento organico.

La cifra di 3 miliardi e 300 milioni di euro è stata prevista dal Piano per la rigenerazione urbana, nell’ottica del contrasto all’emarginazione e al degrado sociale. Il titolare dell’investimento è il ministero dell’Interno, affidato a Matteo Piantedosi. Finora è andato tutto liscio con le scadenze rispettate in serie, alcune - con l’entrata in vigore del piano di investimenti per progetti di rigenerazione urbana nelle aree metropolitane - addirittura in anticipo.

Lo sforzo maggiore è atteso dal 2023. «Molto dipenderà dalla tempestività e celerità con cui le iniziative messe in campo e gli strumenti a supporto degli enti territoriali saranno quanto prima operativi, e dunque in grado di rispondere, attraverso il continuo coinvolgimento degli enti attuatori, in maniera efficace ed efficiente rispetto al compito loro affidato», sintetizza la relazione. Da qui la richiesta al Viminale di una costante verifica, attraverso la rendicontazione e controllo, sulla regolarità delle procedure e delle spese e l’effettivo conseguimento anche dei traguardi intermedi.

Zes in ritardo

Una delle principali criticità è stata ravvisata sulle misure per Zone economiche speciali (Zes), affidate in coabitazione dal ministero delle Infrastrutture di Matteo Salvini e dal dipartimento per la Coesione di Fitto. Il numero degli interventi per cui c’è stata l’aggiudicazione dei lavori «è molto esiguo». E la per la gran parte di quelli previsti sta affrontando le varie fasi preliminari alla stessa indizione della gara. «Addirittura - spiega la relazione della magistratura contabile - per i progetti relativi alle Zes Calabria e Sardegna non risultano avanzamenti rispetto al primo semestre del 2022». Nella fattispecie, dunque, il governo eredita una situazione deficitaria. Tuttavia, con l’aggiudicazione della gara bandita da Invitalia, relativa a sette interventi, può esserci un’accelerazione importante. D’altra parte, si ammette, «l’obiettivo fissato nel Pnrr per la fine dell’anno in corso risulta arduo».

Trasparenza a intermittenza

C’è poi una questione di trasparenza sul Pnrr, che è stata sollevata, tra gli altri, dall’associazione Openpolis. Le sigle tecniche che accompagnano le missioni, i programmi e quindi gli interventi del Piano rischiano di restare oscure agli occhi del cittadino. «La legge di bilancio del 2021 impegnava il governo a pubblicare i dati di attuazione finanziaria, fisica e procedurale relativi a ciascun progetto del Pnrr», ricorda Openpolis. E ancora: un successivo dpcm aveva specificato che tali dati avrebbero dovuto essere disponibili per tutti in formato aperto. Ma l’associazione constata come queste informazioni non siano «ancora disponibili».

Una questione che si estende ad ampio raggio: «Rappresenta un grosso problema non solo per i cittadini ma anche per gli stessi decisori che non hanno le informazioni necessarie per tenere sotto controllo lo stato di attuazione dei singoli progetti e del Pnrr nel suo complesso». Non resta quindi che affidarsi a relazioni esterne, come la schiera di numeri riordinati dalla Corte dei conti. Nell’attesa che le cifre prendano una forma concreta.

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