La crisi nel mar Rosso ha messo in difficoltà i porti italiani, direttamente interessati dalla drastica riduzione di navi in transito per il canale di Suez e il Mediterraneo. A pagare è soprattutto il porto di Genova, che ha subito una diminuzione del 10 percento del traffico nei primi due mesi del 2024, secondo l’analisi dell’Associazione degli artigiani e delle piccole imprese di Mestre (Ciga), ma il contraccolpo ha interessato sia gli scali del nord che quelli del sud Italia.

Dal canale di Suez passa il 40 percento dell’import-export marittimo italiano per un valore di 154 miliardi di euro e l’interruzione del traffico nel mar Rosso rappresenta un danno anche per l’esportazione di frutta e verdura italiano verso Medio Oriente, India e continente asiatico, come denunciato da Coldiretti.

Ma il crollo del passaggio delle navi non è l’unico problema che agita i porti italiani. Il contratto collettivo nazionale è ormai scaduto, ma le parti faticano a trovare un accordo per il suo rinnovo. A febbraio i sindacati hanno deciso di lasciare il tavolo delle trattative in segno di protesta e di organizzare assemblee nei porti, per poi riprendere le trattative soltanto l’8 marzo.

Difficoltà contrattuali 

Nello specifico, Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti spingono per un aumento del 18 percento del Trattamento economico complessivo (Tec), ma la proposta non ha trovato terreno favorevole tra gli armatori. Come conferma il segretario nazionale Filt Cgil Amedeo D’Alessio, la controparte ha proposto un aumento di circa il 10 percento della retribuzione complessiva, da dividere sulle varie voci che comprendono per esempio l’indennità distinta della retribuzione e il welfare.

«In una seconda fase spingeremo per concentrare l’aumento proprio sulla retribuzione minima (Tem), ma prima dobbiamo raggiungere un accordo generale», aggiunge D’Alessio. Per ora, la proposta degli armatori è stato ritenuta insufficiente da tutte le sigle sindacali, ed è stata proclamato lo stato di agitazione a livello nazionale da tutte le sigle sindacali tra cui Usb porti. Secondo quest’ultima, inoltre, l’aumento dovrebbe riguardare solo il Tem, così da garantire un reale aumento della busta paga.

Gli armatori intanto continuano a guadagnare: per un fare un esempio, secondo il bilancio del 2022, la compagnia Grimaldi ha chiuso l’anno con 222,5 milioni di euro, in significativa crescita rispetto all’utile di 80,6 milioni del 2021.

Privatizzazioni

Sul rinnovo del contratto aleggia anche la tanto attesa riforma del sistema portuale, che il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e il suo vice Edoardo Rixi dovrebbero rendere pubblica entro la fine del 2024. Su questo punto però i sindacati insistono da tempo, lamentano il fatto che il governo non ha ancora attivato il tavolo di confronto sulla riforma della portualità, nonostante l’impatto enorme previsto sul settore.

Le poche informazioni diffuse dal governo, però, non fanno ben sperare. L’idea sarebbe quella di creare un ente centrale che aiuti le Autorità portuali a coordinare gli investimenti e che potrebbe anche investire in altri porti del mondo, come affermato da Rixi. Questa società, ha aggiunto il viceministro, sarà inizialmente pubblica, ma in futuro potrebbe essere aperta anche ai privati seppur non in senso assoluto.

La sua creazione dovrebbe essere preceduta dal commissariamento delle Autorità portuali in scadenza nel 2024, una proposta già bocciata dai sindacati anche per le sue tempistiche. La mossa del governo rischia impattare negativamente sul rinnovo del contratto nazionale e mette a repentaglio gli investimenti in atto, soprattutto quelli legati al Pnrr e destinati in parte proprio allo sviluppo degli scali nazionali.

A ciò si aggiunge anche l’ipotesi della privatizzazione dei porti. Il demanio degli scali è pubblico, mentre le banchine vengono gestite da privati in concessione, quindi una eventuale privatizzazione riguarderebbe ancora una volta le Autorità portuali. Queste ultime sono enti a ordinamento speciale pubblici e non economici, ma l’intenzione del governo sembra quella di cambiarne la natura per ricavarne del profitto.

Una riforma di questo tipo non sarebbe nuova in Europa, ma il modello di riferimento non è dei migliori. La Grecia fu costretta a privatizzare le sue Autorità per ripagare il debito contratto con l’Europa e il porto del Pireo, principale scalo greco e del Mediterraneo, è adesso nelle mani della Cina.

In caso di una riforma così profonda del sistema portuale e delle Autorità, anche la legge 84/94 che regola le attività portuali potrebbe risentirne. «Se si arriva alla privatizzazione e alle modifiche sulle concessioni verrà modificato anche il contratto nazionale dei lavoratori», spiega Alessio Biondi del Usb coordinamento nazionale porti.

«Già le modifiche alla legge 84/94 sul cumulo concessorio hanno portato a una liberalizzazione esponenziale del mercato, perché sono venuti meno quei vincoli che limitavano l’espansione e il consolidamento dei grandi gruppi armatoriali. Il rischio è di arrivare alla creazione di monopoli all’interno dei porti, con forti ripercussioni anche sul comparto lavorativo soprattutto mentre si discute il nuovo contratto nazionale».

La riforma in questione è quella del 2021, da cui è derivata l’eliminazione del divieto di cumulo, pensato per evitare che uno operatore avesse a disposizione spazi eccessivamente ampi all’interno dello stesso scalo portuale, secondo un’ottica antimonopolistica.

La cancellazione di questo divieto ha favorito i grandi armatori e ha danneggiato le piccole imprese e anche la posizione dei lavoratori. In una situazione di concentrazione delle concessioni in mano di pochi, tutelare i diritti diventa ancora più difficile.

Per tutti questi motivi il rinnovo del contratto è visto dai i sindacati come l’occasione per migliorare le condizioni di lavoro, aumentare salari, affrontare la sicurezza sul lavoro, vietare l'autoproduzione e chiedere che quello portuale sia finalmente considerato un lavoro usurante.

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