Mentre lo scontro interno alla chiesa sul coinvolgimento del papa emerito Benedetto XVI nello scandalo della pedofilia non accenna a placarsi, Domani può dar conto come nel Vaticano esista un collaudato “sistema” di coperture che coinvolge gli attuali vertici della Santa sede e fedelissimi di papa Francesco. Un metodo del silenzio che prevedeva (prevede?) di evitare denunce pubbliche e che è stato certamente usato dall’attuale capo della Congregazione della dottrina della fede, Luis Francisco Ladaria. Un influente cardinale che nel 2017 è stato nominato dal papa argentino prefetto del dicastero incaricato di tutelare la dottrina della Chiesa e di intentare processi canonici contro i presunti preti pedofili.

Ladaria prima dell’alto incarico è stato dal 2008 in poi, per volontà di Benedetto XVI, segretario della stessa Congregazione, e ha firmato almeno due lettere identiche (una non era mai stata pubblicata prima in forma integrale) in cui parla di preti pedofili, suggerendo a vescovi italiani e cardinali francesi di «evitare scandalo pubblico». Invitando di fatto al silenzio e a non denunciare i fatti che la Chiesa ben conosceva alle autorità giudiziarie civili. Una scelta che, come vedremo, ha avuto conseguenze gravi.

I documenti

Il primo documento ufficiale, già pubblicato da chi vi scrive e Giuliano Foschini su Repubblica qualche tempo fa, è del marzo 2012. Si tratta di un decreto nel quale Ladaria e l’allora capo della Congregazione William Levada condannarono un sacerdote maniaco allo stato laicale. Giovanni Trotta, questo il suo nome, risiedeva nel vescovato di Lucera, vicino Foggia. Ladaria e Levada prima comunicano che «don Gianni Trotta è colpevole di delitti con minori contro il sesto comandamento», ma poi aggiungono che la destituzione di Trotta non debba «generare scandalo ai fedeli». In pratica un invito all’omertà, acquiescenza che poteva essere rotta solo davanti a un nuovo «pericolo di abusi su minori» da parte del prete.

Nel 2014 Trotta, lasciato l’abito talare, diventa però allenatore di una società di calcio giovanile. Nessuno è a conoscenza della condanna canonica, così può agire indisturbato: in pochi mesi abusa di tutta la squadra dei pulcini, dieci bambini tra gli 11 e i 13 anni. Solo quando le famiglie depositano alcune denunce in procura un pm italiano ordina l’arresto di Trotta, che due anni fa è stato condannato in appello a vent’anni di carcere.

«L’atteggiamento tenuto dalle autorità religiose locali è stato quantomeno superficiale», ha scritto il giudice dell’udienza preliminare. «Hanno mantenuto assoluto silenzio, così permettendo all’imputato di continuare impunemente a frequentare minori e a farne oggetto delle sue abominevoli perversioni».

La questione però sembra sistemica. Perché un’altra lettera spedita da Ladaria al vescovo di Lione, il cardinale Philippe Barbarin, è quasi identica al documento inviato al vescovato di Lucerna tre anni prima. È il 3 febbraio 2015. Francesco è pontefice da due anni, e da mesi promettere linea dura contro la piaga della pedofilia. Annuncia persino di «un tribunale per i vescovi insabbiatori», che a oggi non ha mai visto la luce.

Il caso Preynat

A Lione il suo amico Barbarin è però alle prese con un prete allora sconosciuto: l’orco seriale Bernard Preynat. Il vescovo è a conoscenza di alcune denunce arrivategli sul conto del sacerdote di Lione ma rimaste nascoste per lustri, e chiede a Roma come deve comportarsi. Ladaria gli risponde anche stavolta di «evitare scandali pubblici»: «Eminenza, questa Congregazione, dopo aver studiato attentamente il caso del sacerdote della vostra diocesi, Bernard Preynat, che voi ci avete evidenziato, ha deciso di affidarle il compito di prescrivere le misure disciplinari adeguate, evitando scandali pubblici. Fermo restando che in queste condizioni non può essere affidato un altro ministero pastorale che includa eventuali contatti con i minori».

Solo un anno dopo, all’inizio del 2016, il muro di omertà cade. Non grazie alla Chiesa, ma perché alcune vittime chiedono aiuto alla giustizia francese. «Ho abusato di minorenni durante i campi scout per vent’anni. Poteva accadere a 4-5 bambini ogni settimana», ha confessato ai giudici Preynat, condannato nel 2020 a cinque anni di carcere.

Il cardinale Barbarin, che fu accusato di omessa denuncia, è stato da poco assolto in appello, mentre il Vaticano e Francesco hanno invocato l’immunità diplomatica per Ladaria, che era stato chiamato a comparire davanti alla Corte penale di Lione. Se il diritto internazionale riconosce in effetti l’immunità penale agli agenti pubblici per atti compiuti in nome del «sovrano pontefice», le due lettere evidenziano che Ladaria non avrà commesso reati penali, ma certamente promosso una cultura dell’omertà che mal si concilia con la carica che ricopre e con le promesse di Francesco sulla trasparenza del suo pontificato rispetto alla vicenda della pedofilia ecclesiastica.

 

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