La conferma si è avuta il 5 marzo scorso da un comunicato ufficiale della Corte penale internazionale (Cpi): la Pre-Trial Chamber II ha emesso due mandati di arresto nei confronti di alti ufficiali delle forze armate russe. Si tratta del tenente generale Sergej Ivanovič Kobylash, all’epoca dei fatti comandante dell’aeronautica e delle forze aerospaziali, e dell’ammiraglio Viktor Nikolaevič Sokolov. comandante della flotta del mar Nero.

A loro carico i giudici hanno individuato gravi responsabilità per crimini di guerra e crimini contro l’umanità previsti dallo Statuto della Corte penale internazionale, noto come lo Statuto di Roma. L’annuncio della Corte penale dell’Aia è accompagnato da una dichiarazione ufficiale del procuratore della Corte Karim Khan che ha formulato la richiesta dei mandati d’arresto il 2 febbraio scorso: «I responsabili di azioni che colpiscono civili innocenti o beni protetti devono sapere che la loro condotta è vincolata alle norme del diritto internazionale umanitario. Tutte le guerre hanno delle regole. Queste regole vincolano tutti, senza eccezioni».

Crimini di guerra

Le motivazioni alla base del provvedimento della Corte penale dell’Aia sono riferite alle responsabilità dei comandanti per avere diretto la campagna dei bombardamenti e degli attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili dell’Ucraina. In particolare il riferimento è agli attacchi contro il complesso dell’infrastruttura elettrica, comprensiva di centrali, sottostazioni e dighe, che hanno comportato distruzioni, ma anche lutti e sofferenze per la popolazione civile.

I fatti si riferiscono ad un arco temporale compreso dal 10 ottobre 2022 e almeno fino al 9 marzo 2023. Al momento dalla Corte non sono venute indicazioni ufficiali di quali strutture si tratti, ma è verosimile che le azioni belliche incriminate riguardino anche quelle sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia e molte altre compiute diffusamente «su larga scala» in numerose località dell’Ucraina.

I capi di imputazione dei mandati sono dettagliatamente articolati sulla base delle violazioni previste dallo Statuto di Roma. Si tratta in primo luogo dei crimini di guerra consistenti: 1) nel dirigere attacchi contro obiettivi civili, sanzionati dall’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), punto ii), dello Statuto; 2) nell’aver causato danni “eccessivi” a civili o a obiettivi civili, puniti in violazione dell’ articolo 8, paragrafo 2, lettera b), punto iv), dello Statuto. Il richiamo al paragrafo 2 dell’articolo 8 indica espressamente i “crimini di guerra” configurati come violazioni alle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949. Le condizioni fondamentali per la condotta della guerra impongono il «rispetto» e la «protezione» della popolazione civile.

Ne consegue il “principio di distinzione” tra combattenti e popolazioni civili, nonché tra obiettivi militari e civili, e il divieto di attacchi «dai quali ci si può attendere che provochino incidentalmente morti e feriti tra la popolazione civile», o una «combinazione di perdite umane e di danni che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto».

Crimini contro l’umanità

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Un altro capo di imputazione riguarda anche i crimini contro l’umanità puniti ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera k), dello Statuto di Roma. Si tratta degli «atti disumani» diretti a «causare intenzionalmente grandi sofferenze o grave danno all’integrità fisica o alla salute fisica e mentale» della popolazione civile. È del tutto evidente che l’attacco a strutture civili, come quelli contro le infrastrutture elettriche e idriche, comportano conseguenze pesantissime per la condizioni fisiche e psicologiche dei civili, specie se si tratta di bambini, anziani o malati ricoverati in luoghi di cura.

Sul punto il comunicato della Corte fa inoltre una precisazione quanto mai necessaria per delineare l’esatto quadro giuridico dei crimini contro l’umanità: secondo la definizione dell’articolo 7 dello Statuto è richiesto che gli atti siano «commessi intenzionalmente nell’ambito di un attacco a vasto raggio o sistematico». Per la Corte dunque non si tratta di fatti isolati o occasionali, ma è accertata una «condotta che ha comportato la commissione multipla di atti contro una popolazione civile», quindi «in applicazione di una politica statale», determinata a compiere «atti disumani» deliberatamente e intenzionalmente.

Responsabilità di comando

Altrettanto importante è poi il richiamo dei giudici dell’Aia al tipo di responsabilità soggettiva imputabile ai generali secondo i Principi generali del diritto penale tracciati nella Parte III dello Statuto di Roma. In primo luogo è implicito il richiamo all’articolo 33 che non prevede alcuna esclusione di responsabilità per aver ricevuto un ordine superiore (da Putin o dal commander in chief), specie nel caso degli ordini che comportino la commissione di crimini contro l’umanità in quanto questi sono sempre «palesemente illegittimi» (art.33, para 2). Così come non valgono eventuali “scarichi” di responsabilità sugli esecutori. Valgono i principi della responsabilità individuale (articolo 25), per aver commesso i crimini congiuntamente e/o tramite altri, e della responsabilità dei comandanti e altri superiori gerarchici per averli ordinati e/o per non aver esercitato un adeguato controllo sulle forze poste sotto il loro comando.

La responsabilità da comando in particolare è un istituto fondamentale su cui si fonda il Diritto internazionale umanitario contemporaneo. La responsabilità dei comandanti punibile non è solo quella “attiva” per aver dato un ordine diretto ma anche quella più estesa “omissiva” per il mancato controllo.

La gestione dei conflitti

Il provvedimento emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti dei vertici militari segue i più noti mandati di arresto emessi a marzo dello scorso anno nei confronti del presidente Vladimir Putin e del commissario per i Diritti dei minori Maria Alekseyevna Lvova-Belova per il «trasferimento illegale» di minori ucraini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa. È molto probabile che anche ora si sollevino gli scudi degli scettici del diritto internazionale: insisteranno sulle difficoltà di dare concreta esecuzione ai mandati, anche perché la giurisdizione della Corte non è riconosciuta in Russia.

È la stessa Pre-Trial Chamber a chiarire che il provvedimento inizialmente era stato completamente segretato, anche per tutelare testimoni, vittime, indagini e fonti di prova, probabilmente anche provenienti da varie intelligence occidentali. Tuttavia i giudici hanno optato per la diffusione della notizia rendendo noti gli elementi essenziali (nominativi dei responsabili, imputazioni e fatti salienti) affinché «la conoscenza pubblica possa contribuire alla prevenzione di ulteriori crimini» commessi in violazione del diritto internazionale umanitario.

Quindi l’obiettivo della Corte è anche quello di evitare una progressiva deriva nelle crudeltà della guerra, una finalità certamente da condividere. Quanto poi alla effettività dei provvedimenti si può osservare che i due alti ufficiali sono sotto la spada di Damocle perché destinati ad essere processati non solo alla cessazione delle ostilità, ma anche se fossero catturati sul campo di battaglia o in operazioni speciali – un’ipotesi non remota, come già accaduto per alcuni ufficiali russi comparsi davanti ai tribunali ucraini – o se si recassero all’estero, anche solo per una vacanza.

E ciò accadrà per tutta la loro vita perché i crimini internazionali non sono soggetti a immunità e prescrizioni, sono perseguibili senza alcuna limitazione temporale e territoriale: qualunque stato, anche se non si tratta di uno dei 124 stati che hanno ratificato lo Statuto, in qualunque momento può comunque affermare la giurisdizione della Corte.

Sollecitare i negoziati

Più insidioso può apparire l’argomento che l’intervento della Corte penale internazionale sullo scenario attuale del conflitto in Ucraina possa compromettere i negoziati. Ma la tesi può ben valere anche per il contrario. Sul punto va ricordato in primo luogo che non siamo di fronte ad un atto autoreferenziale dei giudici dell’Aia, ma esso è diretta espressione della volontà degli stati.

Peraltro le stesse previsioni dello Statuto consentono agli stati di richiedere forme di sospensione dei processi proprio nel caso in cui sia necessario promuovere percorsi di pace, situazione che in atto certamente non si intravede nelle volontà di Putin, se non per una resa senza condizioni dell’Ucraina.

Vale pure menzionare che all’esordio del conflitto la volontà di affermare la giurisdizione della Corte è stata ribadita con una esplicita richiesta alla Cpi di avviare indagini in un Referral presentato inizialmente da 43 Stati, fra cui compariva anche l’Italia. Quanto poi alle rappresentazioni mediatiche che vorrebbero la figura di Putin non troppo compromessa sul piano internazionale visto che diversi paesi non hanno aderito al sistema delle sanzioni, va ricordato che in ogni caso oltre 140 Stati hanno sollecitato la cessazione delle ostilità condannando l’aggressione all’Ucraina e i crimini di guerra commessi dalla Federazione Russa.

La speranza va perciò riposta nell’idea che l’ulteriore monito della Corte penale internazionale possa incidere sulla pressione internazionale che potrebbe maturare specie in seno a quelle parti del sud globale.

In questo momento storico l’efficacia di ogni iniziativa volta a promuovere la pace dipenderà molto da quanto l’occidente delle democrazie rimarrà coeso nel riaffermare i principi del diritto internazionale. Così i mandati d’arresto per i generali possono rappresentare un monito per Putin.

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