Il primo commento di McDonald’s dopo la sentenza che ha revocato il marchio Big Mac in Europa su tutti i suoi prodotti a base di pollo è una rassicurazione. «La decisione del Tribunale generale dell’Unione europea non pregiudica il nostro diritto di utilizzare il marchio» e «non avrà in alcun modo impatto sulla nostra capacità di utilizzarlo o proteggerlo contro le violazione». Il che è una mezza verità.

In base alla sentenza della Corte di Giustizia europea emessa pochi giorni fa, la multinazionale statunitense ha perso il diritto all’esclusiva non avendo potuto dimostrare un uso effettivo per un periodo continuativo di cinque anni sui suoi alimenti derivanti da pollame, come richiesto dalle regole comunitarie.

Il tribunale ha quindi dato ragione alla piccola catena irlandese di fast food, Supermac’s, che nel 2017 aveva presentato domanda di decadenza, due anni dopo aver tentato di registrare il proprio nome nella comunità europea, suscitando l’irritazione di McDonald’s che lo riteneva troppo simile al suo iconico panino, inserito nel mercato comunitario nel 1996.

A dare parzialmente ragione a Supermac’s era stato l’Euipo, l’Ufficio europeo per la proprietà intellettuale, che aveva però mantenuto la tutela del marchio a favore degli americani. A mettere la parola fine sulla diatriba legale è stata dunque la corte di Lussemburgo, la cui sentenza è stata già definita come la vittoria di Davide contro Golia che farà scuola.

«L’obiettivo originale della nostra richiesta di annullamento era far luce sul bullismo sui marchi da parte di questa multinazionale per soffocare la concorrenza. Sono anni che diciamo che bullizzano. La sentenza rappresenta una vittoria significativa per le piccole imprese di tutto il mondo», ha dichiarato il fondatore di Supermac’s, Pat McDonagh (anche il cognome alimenta la sfida). 

Le possibili conseguenze

È interessante, infatti, comprendere gli effetti della pronunciazione. Il primo riguarda proprio Supermac’s, che adesso può affermarsi in tutta l’Unione europea senza il timore di vedersi bloccato da un tribunale. Un’altra conseguenza invece riguarda i casi che sono ancora in via di definizione.

Uno lo abbiamo proprio in casa nostra. Nel giugno del 2023 Barilla ha portato in tribunale la piccola società umbra Tedesco e quella bergamasca Sapori Artigianali, accusandole di aver plagiato la forma e il nome dei suoi biscotti, così come il packaging in cui venivano venduti. La richiesta era di vietare la vendita e di ritirare dal mercato nove prodotti quali Tondolotti, Amiconi, Raggi di Sole, Maramao, Armoniche, Gocciolotti, Cruschetti, Zuccheri, Tuorlini e Biscotti con cereali e frutta.

L’azienda parmense aveva chiesto anche un procedimento d’urgenza, per accelerare i tempi. E nel giro di nove mesi sono stati espressi due gradi di giudizio: il primo è arrivato a gennaio e ha dato ragione alla Barilla, il secondo è stato pronunciato due mesi dopo e ha accolto le istanze della Tedesco e di Sapori Artigianali, che distribuisce i suoi prodotti. Il motivo è la “volgarizzazione” del mercato, secondo cui i prodotti si somigliano sia nel nome che nella forma. E una delle prove portate dalla Tedesco per discolparsi erano proprio altri esempi di diverse società.

Per ora la partita è sul punteggio di parità e si attende l’ultimo grado di giudizio, visto che Barilla è ricorsa in appello.

Un’altra battaglia legale sulla denominazione dei cibi che potrebbe aprirsi è quella tra il governo italiano e l’Unione europea. A novembre, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha messo la sua firma sulla legge che vieta non soltanto la produzione, il commercio e il consumo di carne coltivata, ma anche l’utilizzo dei nomi per descrivere la “carne finta”. E quindi, niente salsiccia o bistecca o costoletta per gli alimenti a base vegetale.

Il problema però sta a monte: un paese membro non può varare delle regole interne che minano la libera circolazione delle merci, pilastro della comunità europea, né tantomeno può esprimersi prima che a Bruxelles vengano prese decisioni sull’argomento. Se dunque verrà varata una legge che darà il via libera alla carne coltivata nell’Ue, l’Italia potrebbe subire un’infrazione. E sarebbe un peccato, proprio adesso che ci ha dato ragione facendo entrare in vigore il regolamento europeo che salvaguardia il marchio del Prosecco contro tutte le sue imitazioni, a cominciare dal croato Prosek.

Se non puoi combatterli tutti, assoldali

Una scelta particolare l’ha invece effettuata Coca Cola. La multinazionale è forse uno dei brand più imitati e, nei decenni, ha più volte deciso di intentare causa contro chi cercava di trarre vantaggio indirettamente dal suo nome.

Ultimamente ha però stravolto la sua strategia lanciando la campagna “Every Coca-Cola is Welcome”, ovvero “Ogni Coca-Cola è benvenuta”, pubblicando un video in cui si vedono una serie di loghi molto simili a quello della simbolica bottiglietta di Atlanta, alcuni quasi identici. Un modo innovativo per affermare la propria influenza del mondo.

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