Il capo negoziatore Sefcovic: «Con tariffe al 30 per cento sarà quasi impossibile continuare gli scambi come siamo abituati». Braccio di ferro sulle contromisure: Francia e Austria per la linea dura con il tycoon, Italia e Germania tra gli “attendisti”
La linea che si cerca di far trasparire, in Europa, è quella della calma: ci sono ancora due settimane per negoziare un accordo, un accordo è possibile. Ma in questa facciata rassicurante si intravedono delle crepe evidenti. La prima arriva dall’altra parte dell’Atlantico. «Gli accordi sono già conclusi. Le lettere sono gli accordi, quindi non ci sono accordi da concludere». A parlare è lo stesso Donald Trump, nello Studio Ovale.
Un’interpretazione totalmente diversa rispetto a quella di chi, a Bruxelles, vede la minaccia del 30 per cento da parte del presidente Usa come l’ennesima tattica negoziale, non come un punto d’arrivo. Trump concede poi una piccola apertura: «Vorrebbero fare un accordo diverso. E noi siamo sempre aperti al dialogo, anche con l’Europa. Infatti, stanno venendo qui», aggiunge il tycoon.
Impatto devastante
Lunedì sono ripresi i contatti tra le due parti: il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, ha sentito al telefono i suoi interlocutori statunitensi, il segretario al Commercio, Howard Lutnick, e il rappresentante per il Commercio, Jamieson Greer. Ma ha anche avvertito chiaramente che la situazione attuale rischia di essere ingestibile: «Se si parla di dazi al 30 per cento o più, ci sarà un impatto enorme sul commercio. Sarà quasi impossibile continuare gli scambi commerciali come siamo abituati», ha affermato il capo negoziatore per l’Ue in questa trattativa.
Una percezione condivisa con quella dei mercati, che ieri hanno visto le borse aprire con perdite diffuse in tutta Europa dovute all’annuncio di sabato del presidente Usa, per poi recuperare durante la giornata. E anche per chi segue il dossier a livello tecnico l’impatto dei dazi così come si prospettano a partire del 1° agosto rischia di essere devastante.
Secondo Leopoldo Rubinacci, vicedirettore della direzione generale per il Commercio della Commissione europea, i dazi Usa colpiscono attualmente il 70 per cento delle esportazioni dell’Ue verso gli Stati Uniti, pari a 380 miliardi di euro, ma «l’amministrazione Usa sta conducendo delle indagini, in particolare in relazione alla Sezione 232 del Trade Expansion Act», che permette restrizioni alle importazioni che minacciano la sicurezza nazionale Usa, «e che riguarda prodotti dell’aviazione, farmaceutici, minerali critici, legname, rame e altri beni».
In pratica: «Se l’amministrazione Trump decidesse di imporre dazi anche su questi prodotti, la quota delle esportazioni colpite salirebbe al 97 per cento», ha affermato Rubinacci, in audizione presso la commissione per il Commercio del parlamento Ue.
Per Rubinacci, inoltre, se rimanessero in vigore i dazi al 50 per cento su acciaio e automobili, «l’importo aggiuntivo di dazi che pagheremmo su base annua sarebbe di 13,7 miliardi di euro, mentre per le automobili si tratterebbe di circa 18 miliardi di euro».
Ieri i ministri del Commercio europei si sono riuniti a Bruxelles, ma i nodi principali non sono stati sciolti. Un pacchetto di contro-dazi da circa 21 miliardi di euro, che sarebbe dovuto entrare in vigore oggi, resterà sospeso fino al 1° agosto, per lasciare spazio alle trattative; mentre ieri la Commissione ha presentato agli Stati il secondo pacchetto, che rispetto ai circa 95 miliardi di impatto previsti inizialmente è sceso a 72 miliardi.
Ora questo secondo pacchetto dovrà ricevere l’ok dalle capitali, ma la sensazione è che tutto resterà sospeso fino alla nuova deadline. Tra gli Stati membri, intanto, le linee di frattura restano le stesse. Sempre molto vocale la Francia, che ieri ha chiesto di nuovo che l’esecutivo europeo prepari misure che colpiscano il settore digitale statunitense e tenga pronto anche il “bazooka” europeo, lo strumento anti coercizione. «Voglio che non ci sia alcun tabù nella capacità di risposta europea», ha dichiarato il ministro per il Commercio francese, Laurent Saint-Martin. A fargli eco anche l’Austria, secondo cui è necessario «preparare anche un terzo pacchetto, che colpisca le grandi aziende digitali, per chiarire che è necessario arrivare a un risultato».
Tutti più deboli
Da notare, invece, come due dei principali paesi schierati sulla linea più “attendista”, ovvero Germania e Italia, ieri non abbiano inviato i propri ministri a Bruxelles, ma solo sottosegretari di Stato. «Una guerra commerciale interna all’Occidente ci renderebbe tutti più deboli di fronte alle sfide globali che insieme affrontiamo», aveva dichiarato domenica la premier Giorgia Meloni, aggiungendo che «l’Italia farà la sua parte» per provare a ottenere un accordo.
E il primo sforzo diplomatico si produrrà martedì, con il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, in viaggio verso Washington. «Il governo italiano continua a lavorare per il raggiungimento di un accordo tra Unione europea e Stati Uniti che salvaguardi le rispettive economie e che assicuri un quadro chiaro entro il quale le nostre imprese, possano operare e continuare a produrre crescita, occupazione e benessere», afferma la Farnesina, facendo sapere che Tajani a questo proposito vedrà anche il rappresentante al Commercio Greer, oltre al suo omologo, Marco Rubio.
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