Dall’apocalisse di Vladimir Putin al ritorno del jihad, il mondo disincantato è stato soppiantato da un groviglio di conflitti religiosi e identitari. In venti pagine, gli approfondimenti inediti firmati da Pasquale Annicchino, Marco Grieco, Valeria Resta, Anna Maria Cossiga e tanti altri – e le mappe a cura di Luca Mazzali e Daniele Dapiaggi (faseduestudio/Appears) – analizzano le forme contemporanee del radicalismo.

Cosa c’è nel nuovo numero

Il politologo Manlio Graziano spiega come i motivi delle guerre presentate come religiose, dalle crociate del passato al jihad dei giorni nostri, non siano quasi mai realmente legate alla santità o alla salvezza dell’anima: se si vogliono capire i fenomeni conflittuali in cui la fede è coinvolta, occorre infatti studiare la geopolitica, e non la teologia.

Secondo il giurista Pasquale Annicchino, in molti paesi ortodossi la correlazione tra identità religiosa e nazionale si è rafforzata dopo l’invasione russa, dando però origine a decisioni diverse. Tra chiese autocefale, scissioni canoniche, tensioni identitarie e la crociata anti occidentale del patriarca di Mosca Kirill, in “sinfonia” con Putin, la palpabile dimensione geopolitica di questi conflitti è connaturata al ruolo che le chiese hanno nei contesti nazionali.

Marco Grieco intervista a seguire don Stefano Caprio, docente di Storia e cultura russa al Pontificio istituto orientale di Roma, profondo conoscitore delle dinamiche del mondo ortodosso. Oltre ad analizzare il malcontento di parte della chiesa ortodossa russa verso la radicalizzazione del patriarca Kirill, e le divisioni crescenti, Caprio si sofferma sui rapporti tra Mosca e Santa sede, e sull’incontro atteso a settembre tra papa Francesco e Kirill al Congresso dei leader delle religioni mondiali in Kazakhstan.

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Il diplomatico e inviato speciale della Farnesina Andrea Benzo fa luce sul crescente rilievo del fattore religioso nello spazio politico internazionale, un approccio che mette in crisi le vecchie teorie sulla secolarizzazione e aumenta le tensioni. L’Italia, riconosciuta per tradizione storica ed esperienza culturale come paese provvisto della sensibilità giusta per affrontare questioni attinenti alla sfera religiosa, può rilanciare la “diplomazia interreligiosa”, per arginare l’estremismo e favorire la libertà di credo.

L’analista Michele Brignone esamina poi la fine dell’èra del terrore globalizzato: prima ancora che pandemia e guerra in Ucraina lo scalzassero nella gerarchia delle emergenze planetarie, il jihadismo appariva come un fenomeno già in declino. Tuttavia, il suo arretramento sulla scena globale è stato compensato dalla moltiplicazione dei fronti locali, sulla scia di un chiaro cambiamento metodologico: i movimenti locali riconoscono i confini e sono più inclini al compromesso.

L’analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) Francesco Marone prosegue sullo stesso tema, ammettendo come la minaccia jihadista in Europa si sia affievolita negli ultimi anni. Ma precisando come sarebbe un grave errore supporre che questa causa estremistica non rappresenti più un pericolo serio: come l’araba fenice, lo jihadismo globale ha già dato dimostrazione di essere in grado di rinascere dalle proprie ceneri, e alcuni fenomeni di radicalizzazione in Italia mostrano la necessità di misure di prevenzione anche in tempo “di pace”.

A seguire, la ricercatrice Valeria Resta affronta l’evoluzione dei partiti islamici in medio oriente e in nord Africa, segnalando come il loro successo non sia legato alla forza del  richiamo religioso presso le società arabo-islamiche, quanto alla gestione del potere all’interno delle autocrazie elettorali della regione. 

L’analista Anna Maria Cossiga offre poi una sua riflessione sul conflitto israelo-palestinese: se il concetto di “guerra santa” è improprio per descrivere le tensioni sullo stato d’Israele, dalla dialettica fra sionisti e anti sionisti emerge però come anche gli ebrei abbiano condotto campagne investite di una forte sacralità.

Emma Desai ci porta in India, dove sono in aumento le restrizioni che colpiscono le minoranze musulmane e cristiane, e dove il nazionalismo hinduista sta cercando di fare dell’hinduismo la religione nazionale. Gli attivisti sono tra i principali obiettivi, come dimostrato dalle ultime sentenze della Corte suprema, che sta esprimendo posizioni sempre meno politicamente imparziali: la più grande democrazia del mondo non è mai stata così polarizzata dal punto di vista religioso.

Viene poi presentato un testo estratto della keynote lecture tenuta a Bologna dal professor David N. Hempton, decano della Harvard Divinity School, in occasione della European Academy of Religion (EuARe). Un esperimento formativo dell’università di Harvard racconta il passaggio di un’istituzione da “non settaria” a multireligiosa. Ma per promuovere davvero l’uguaglianza occorre prima riconoscere le ingiustizie del passato, a partire dal colonialismo e dalla complicità mostrata verso schiavitù e oppressione. 

Il ricercatore Raffaele Ventura porta inoltre l’attenzione sul Sahel – al confine tra Mali, Niger e Burkina Faso – per segnalare come la moltitudine di gruppi terroristici diffusi nell’area nell’ultimo decennio abbia portato alcuni di questi a competere l’uno con l’altro. Le ragioni principali del conflitto non sono religiose ma politiche, in una regione caratterizzata da decenni di grave crisi umanitaria, economica, ambientale e politica. 

Infine, l’analista Ludovica Meacci esamina la persecuzione religiosa di Pechino: le vessazioni e i lavori forzati imposti nell’ultimo decennio alla minoranza uigura nello Xinjiang sono il simbolo della svolta repressiva del regime; per il Partito i musulmani nell’area promuovono “terrorismo, separatismo ed estremismo religioso”.

Le accuse di genocidio da parte di molti paesi occidentali non hanno finora fermato le violazioni.

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