Durante la sua visita odierna in Turchia il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, un diplomatico di lungo corso dai tempi dell’Unione sovietica, discuterà con il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, le prospettive di ripresa dei colloqui di pace con l'Ucraina e lo sblocco dei porti ucraini alle navi che trasportano grano.

La Turchia, che ha ospitato gli ultimi infruttuosi colloqui di pace tra Kiev e Mosca a Istanbul, si è offerta di nuovo come mediatrice tra Ucraina, Russia e Nazioni unite per un possibile accordo per consentire le esportazioni di grano dai porti ucraini sul Mar Nero e parla di «progressi significativi». A dare dettagli sullo scottante dossier che potrebbe rimettere sui commerci 20 milioni di tonnellate di grano ucraino è stato il ministro turco della Difesa, Hulusi Akar, in dichiarazioni riportate dall'agenzia turca Anadolu, arrivate mentre le cancellerie attendono gli sviluppi della visita in Turchia del ministro Lavrov.

Intanto continuano i colloqui su questioni tecniche, i famosi dettagli dove si annidano i conflitti, anche su «come rimuovere le mine, chi lo farà, come il sarà creato il corridoio (per le esportazioni) e chi scorterà» le navi, ha detto Akar, rilevando la volontà di arrivare a una soluzione ma riconoscendo che il problema resta la fiducia reciproca. «Tutti vogliono essere certi di alcune cose - ha detto - stiamo lavorando per arrivare a questa fiducia».

«I ministri si scambieranno opinioni sull'attuale stato dei fatti nella crisi ucraina e sulle prospettive di ripresa dei colloqui di pace russo-ucraini», si legge nella nota. «La parte russa informerà i colleghi turchi sull'andamento dell’operazione militare speciale delle Forze armate della federazione in Ucraina e le misure adottate per garantire la sicurezza della popolazione civile», aggiunge prudente il messaggio. Kiev ha fatto sapere che non accetterà mai che siano navi russe a trasportare il grano ucraino.

Ankara non partecipa alle sanzioni occidentali

La Turchia non partecipa alle sanzioni economiche occidentali a Mosca, ma ha fornito armi a Kiev tra cui i micidiali droni Bayraktar. Ankara è un membro di lunga data della Nato, essendo entrata a far parte dell’alleanza nel 1952.

Lo scorso febbraio, la Turchia ha celebrato il suo 70° anniversario di adesione alla Nato ma oggi ha posto il veto all’ingresso di Finlandia e Svezia nell’Alleanza a causa dei rapporti di amicizia di questi due paesi con i curdi indipendentisti del Pkk che Ankara considera terroristi. E pensare che nel 2006 Stoccolma diede il Premio Nobel per la letteratura a Orhan Pamuk, bandiera del secolarismo turco, con la motivazione che «nella ricerca dell'anima malinconica della sua città natale, Istanbul, ha scoperto nuovi simboli per lo scontro e l'intreccio delle culture».

Era il momento in cui Ankara credeva ancora nell’ingresso nell’Unione europea e i militari turchi custodivano, con sempre maggior fatica, l’eredità laica di Kemal Ataturk, il fondatore della Turchia moderna. Oggi Ankara e il suo governo filo-islamico al potere da venti anni, punta ad essere una potenza regionale che acquista armi come i sistemi missilistici S 400 dai russi e si lamenta che Washington, per ritorsione, gli neghi la fornitura di aerei di ultima generazione.

La convocazione dell’ambasciatore italiano

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Ankara spesso fa la voce grossa con gli alleati come quando l’altro ieri ha convocato l'ambasciatore d'Italia ad Ankara Giorgio Marrapodi al ministero degli Esteri turco a causa di una manifestazione a favore del gruppo curdo armato Pkk che si è tenuta recentemente a Roma.

Nei giorni scorsi era toccato agli ambasciatori di Germania, Francia e Grecia, tutti convocati dal ministero degli Esteri e chiamati a rispondere delle manifestazioni pro separatisti curdi che si sono tenute in vari Paesi europei dopo che Erdogan ha annunciato l’ennesima operazione militare nel Nord della Siria per colpire i miliziani Ypg, vicini al Pkk. Ma Ankara, che ha ottenuto 6 miliardi di euro dalla Ue per tenere i profughi siriani sul suo territorio, non deflette dai suoi obiettivi strategici e li persegue con tenacia e determinazione.

L’inflazione al galoppo

Ankara fa la voce grossa in politica estera, tiene rapporti di collaborazione con Mosca, ma la sua economia, le partite correnti e la sua moneta languono. «Questo governo non aumenterà i tassi di interesse. Nessuno dovrebbe aspettarsi che lo facciamo. Al contrario, continueremo ad abbassare i tassi», ha detto il presidente turco Erdogan a seguito di una riunione di gabinetto ad Ankara il 6 maggio, dopo che ha cambiato gli ultimi governatori che volevano aumentare i tassi.

«Abbiamo abbandonato le politiche economiche obsolete, dettate dalle istituzioni finanziarie imperialiste che rendono solo i ricchi più ricchi e i poveri ancora più poveri», ha proseguito Erdogan come riporta il quotidiano turco Hurriyet. «La parte del problema [dell'inflazione] è che alcuni dei nostri cittadini insistono ancora nel mantenere i propri risparmi in valuta estera».

Il mese scorso, la Banca Centrale turca ha mantenuto invariato al 14 per cento il tasso di riferimento - il tasso pronti contro termine a una settimana, in linea con le aspettative del mercato. Ma a preoccupare i mercati è l’inflazione annuale dei prezzi al consumo in Turchia che è aumentata dal 69,97 per cento di aprile al 73,5 per cento di maggio, secondo le statistiche ufficiali.

La ripresa dei commerci di generi alimentari nel Mar Nero e la riduzione dei prezzi dei rifornimenti energetici di gas e petrolio sono elementi vitali per l’economia turca. Ecco perché Erdogan oggi non fa più la faccia feroce e veste invece i panni del mediatore per incassare in anticipo parte dei dividendi della pace.

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