La pandemia ha fatto la fortuna di Stéphane Bancel e di Moderna: lui è diventato miliardario, l’azienda fa profitti da capogiro. Ma questo modello si basa su fondi e ricerca pubblici, su una strategia di elusione fiscale e sulla scelta privilegiare i paesi ricchi a discapito dei più poveri. L’effetto è una profonda disuguaglianza nell’accesso globale ai vaccini.

I nuovi ultraricchi

Il 2021 è l’anno di Moderna nella lista globale dei miliardari. Grazie al business legato alla pandemia, Noubar Afeyan, Robert Langer e Timothy Springer, fondatori o investitori di Moderna, sono ora nella classifica dei più ricchi d’America. Il ceo Stéphane Bancel è tra i «miliardari 2021» di Forbes, con una ricchezza personale che supera i nove miliardi di dollari. Bancel, di origine marsigliese, è lo stratega dell’anno per Les Échos. Il quotidiano finanziario francese gli ha attribuito il «Prix du Stratège de l’année» perché «nel giro di un paio di anni l’azienda è passata da giovane promessa senza prodotti in commercio a impresa che vale in borsa 98 miliardi di dollari».

(Il ceo di Moderna, Stéphane Bancel. Foto AP)

Se la strategia è il massimo profitto, i numeri giustificano il premio: Bancel si è catapultato tra i ricchissimi del globo e l’azienda da lui guidata prevede 18 miliardi di ricavi quest’anno grazie al solo vaccino Covid. Ma la strategia si basa su risorse pubbliche.

Un successo pubblico

Dall’inizio della pandemia, il governo Usa ha indirizzato a Moderna dieci miliardi di dollari di investimenti pubblici. I contribuenti hanno pagato per la ricerca e lo sviluppo del vaccino. Coi loro soldi è stata finanziata la fase di sviluppo clinico, oltre all’acquisto anticipato delle dosi in sé; il che ha ridotto per l’azienda anche i rischi di mercato. Ma il ruolo del pubblico non si limita ai dollari liberati per l’azienda dall’authority competente (Barda) del dipartimento della Salute Usa, né ai soldi versati dall’Ue.

La stessa tecnologia brevettata e considerata come propria da Moderna, che si oppone alla deroga sui brevetti, nasce grazie alla ricerca e ai laboratori pubblici. Le recenti controversie lo dimostrano.

La disputa col governo Usa

I ricercatori pubblici degli Stati Uniti accusano Moderna di averli tagliati fuori quando si è attivata per mettere sotto lucchetto il brevetto del vaccino. I ricercatori in questione sono gli scienziati del National Institutes of Health (NIH), l’agenzia federale Usa della ricerca, che prima della pandemia erano al lavoro per sviluppare vaccini contro altri tipi di coronavirus.

Con Covid-19, la collaborazione già in corso con l’équipe della Moderna Therapeutics è diventata una task force per trovare e produrre al più presto, in emergenza, un vaccino efficace. Quando l’operazione è riuscita, dietro un singolo prodotto c’erano svariate componenti brevettabili.

Ma al momento di registrare i brevetti e assicurarsi la proprietà intellettuale, solo in alcuni casi Moderna ha dichiarato che l’opera era frutto dell’ingegno anche dei ricercatori del NIH. In altri, li ha tenuti fuori.

Tra le richieste di brevetto in cui il governo Usa è stato escluso, ce ne sono di cruciali, e almeno una è relativa alla sequenza mRna utilizzata per il vaccino. Ne è nata una disputa: l’agenzia federale rivendica il ruolo e i nomi dei suoi tre scienziati del Vaccine Research Center – il direttore John R. Mascola e i colleghi Barney S. Graham e Kizzmekia S.Corbett – nella formulazione della sequenza.

Non è tutto di Moderna

La questione di chi detiene la proprietà intellettuale non è solo di forma ma di sostanza. Moderna sta attivamente ostacolando l’accesso globale ai vaccini e sta dichiaratamente seguendo una strategia di massimizzazione dei profitti. Se il pubblico entra nel brevetto, gli introiti vanno nelle casse statali e il governo ha una leva per sbloccare la produzione. Ecco perché, davanti alla persistente diseguaglianza vaccinale mondiale, le tensioni si sono inasprite.

Fino a un mese fa, Moderna insisteva nel dire che sì, il ruolo dei ricercatori pubblici è «sostanziale», ma non vanno inclusi nella brevettazione.

Ora l’azienda è costretta a cambiare strategia. Il 17 dicembre ha annunciato che non concluderà per ora il processo di registrazione del brevetto conteso, per cercare «soluzioni amichevoli», un compromesso. Intanto a inizio dicembre Moderna ha perso un’altra disputa: una corte d’appello federale le ha dato torto nella contesa con la corporation Arbutus Biopharma sulle nanoparticelle lipidiche e altre tecnologie relative ai vaccini mRna. Moderna voleva invalidare i brevetti di Arbutus rivendicandoli come propri, ma il tribunale li ha confermati come legittimi. Il che apre le porte a possibili rivendicazioni sul brevetto del vaccino Moderna.

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Divieto di accesso

Fino a questo autunno, Moderna ha consegnato direttamente ai paesi a basso reddito lo zero per cento delle dosi. A Covax, ha venduto meno del due per cento delle forniture globali, e neanche una di queste dosi è stata consegnata. Moderna non ha mai accettato di vendere i vaccini a prezzo di costo ai più poveri.

Stéphane Bancel, lo «stratega dell’anno», si è giustificato dicendo che si «rammarica» che i vaccini di Moderna a chi è più povero non siano arrivati, ma che la cosa non dipende da lui. «Nei primi nove mesi del 2021, nessuna dose Moderna è stata data ai paesi più poveri», conferma Robert Silverman di Oxfam America, che si batte per l’accesso equo ai vaccini.

Anche molti dei paesi a medio reddito non hanno ricevuto neppure una dose, nonostante gli accordi chiusi, spesso con prezzi persino più alti di quelli di Usa e Ue. Da questo autunno qualcosa è cambiato? «Nell’ultimo trimestre del 2021 – dice Silverman - l’azienda ha preso nuovi impegni con l’Unione africana e con Covax, ma anche se stavolta dovesse rispettarli, le forniture non arriveranno comunque prima del 2022».

Massimo profitto

Le disuguaglianze di accesso tra paesi ricchi e poveri oggi restano enormi, e Bancel si oppone alla deroga sui brevetti dei vaccini invocata dal sud globale e dagli Usa per sbloccare la produzione e l’accesso alle dosi. Non solo: «Quando l’Organizzazione mondiale della sanità si è rivolta a Moderna chiedendole supporto per avviare una manifattura in Africa, l’azienda non ha collaborato e l’Oms ha impiegato il doppio del tempo», dice Silverman. La strategia dell’azienda è quella del massimo profitto, e le sta riuscendo bene: «Il margine di profitto di Moderna sui vaccini Covid è del 70 per cento; la media per il mercato di solito è del 12 per cento», stima Oxfam America.

L’azienda in piena pandemia non ha mai nascosto di voler fare profitti sui vaccini, e mano a mano che la situazione diventa endemica, i prezzi delle dosi aumentano; è valso anche per l’Ue coi nuovi contratti. «Se la situazione evolve in stile epidemia stagionale potremo chiedere un prezzo diverso», diceva già a inizio anno Moderna, che come Pfizer e J&J davanti agli investitori ha vantato le opportunità del rialzo dei prezzi, nonostante il costo di produzione invece cali.

Elusione fiscale

La strategia di Moderna è anche fiscale. Nel 2010, quando è nata, aveva il quartier generale in Massachusetts. I brevetti però li ha registrati in Delaware, che ha più aziende registrate (un milione e mezzo) che abitanti: se una compagnia registra qui il brevetto, non paga tasse sugli introiti.

Nel 2020, quando la fase di sperimentazione del vaccino stava per essere conclusa, Moderna ha inaugurato una sussidiaria in Svizzera, nota come paradiso fiscale e per il livello di opacità che garantisce sui bilanci. I pagamenti dell’Ue a Moderna sono stati indirizzati proprio qui, a Basilea.

A ottobre la eurodeputata verde Michèle Rivasi, che è nella commissione Controllo bilancio, ha chiesto conto di ciò alla Commissione europea. Sandra Gallina, caponegoziatrice Ue dei contratti per i vaccini, ha risposto che «non è nel contesto di un acquisto di vaccini che avrei potuto condurre una inchiesta sui paradisi fiscali». Certo, è stato un errore, ha ammesso Gallina: «Sarò molto onesta, non ho fatto domande a Moderna, ci siamo solo assicurati che il conto corrente indicato fosse effettivo». A fronte del 70 per cento di margine di profitto, l’azienda Usa nella prima metà del 2021 ha pagato in tasse la quota irrisoria del sette per cento.

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