Mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan chiamava i leader internazionali per rassicurarli sul processo di transizione politica iniziata in Siria dopo la caduta del regime di Bashar al Assad, il premier israeliano Benjamin Netanyahu era alla sbarra per testimoniare nel processo in cui è imputato per corruzione.

I due leader – che nell’ultimo anno si sono scambiati pesanti attacchi – stanno muovendo le loro pedine nel grande scacchiere mediorentale. E la Siria, in questo nuovo corso è il cavallo adatto per lo scacco matto all’Iran. Erdogan parte da una posizione di vantaggio, dato che controlla i jihadisti di Hayat Tahrir al Sham capeggiati da Abu Mohammed al Jolani. Anche per questo sta cercando di rassicurare i suoi partner internazionali sul futuro siriano.

Netanyahu, invece, cerca di accreditarsi e non chiude a una relazione con Hts. «Da questo momento in poi non daremo a nessuno il permesso di dividere il territorio siriano. Abbiamo offerto per anni protezione ai profughi e dato prova di fratellanza al popolo della Siria. Non consentiremo mai che questo territorio torni a essere teatro di scontri», ha detto il presidente turco.

Erdogan ha avuto una serie di colloqui telefonici con il neo segretario generale della Nato, Mark Rutte, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e con la premier italiana Giorgia Meloni. «La Siria deve essere governata dai siriani», ha detto a Rutte motivando il suo intervento nel paese arabo: «Sin dal primo giorno abbiamo agito per l'integrità e la stabilità della Siria». Con von der Leyen si incontreranno di persona nei prossimi giorni in Turchia.

Durante la telefonata con la premier Meloni – che gode di buoni rapporti con il governo di Tel Aviv – Erdogan ha condannato l’«aggressione israeliana» delle ultime ore, aggiungendo che «questo atteggiamento non contribuisce alla stabilità della Siria e che è imperativo che il paese venga liberata dagli elementi terroristici». Per Roma, Bruxelles e il G7 l’importante è tutelare le minoranze, a partire da quella cristiana, per evitare che i fondamentalisti facciano un massacro.

Ma le paure principali vengono dalle sacche ancora attive dell’Isis. Secondo l’osservatorio siriano per i diritti umani alcuni miliziani dell’ex stato islamico hanno giustiziato 54 soldati dell’esercito regolare di Assad mentre erano in fuga nel deserto di Homs. Anche per questo il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha chiesto agli stati membri dell’Ue di non interrompere le valutazioni delle richieste di asilo dei siriani e di fermare i piani di rimpatrio.

Netanyahu alla sbarra

Lo stato ebraico, invece, si sta muovendo a livello militare. Nella notte tra il 9 e il 10 dicembre l’Idf ha bombardato almeno 320 obiettivi in Siria, distruggendo il 70 per cento dell’arsenale dell’ex presidente Assad e l’intera flotta marina. «Ho autorizzato l'aeronautica a bombardare le capacità militari strategiche lasciate indietro dall'esercito siriano, in modo che non cadessero nelle mani dei jihadisti», ha detto Netanyahu, che punta a consolidare le sue posizioni nelle alture del Golan. Il premier ha detto che Israele vuole stabilire relazioni con il prossimo governo siriano, ma ha ribadito che non esiterà ad attaccare nel caso in cui il territorio vicino torni ad avere una presenza iraniana.

E mentre i caccia dello stato ebraico sganciavano bombe in Siria, Bibi tornava in tribunale, dopo diversi rinvii a causa della guerra, per il processo in cui è imputato per frode, violazione della fiducia e corruzione in tre distinti casi.

Netanyahu è accusato di aver promosso una regolamentazione vantaggiosa per alcuni importanti editori in cambio di una copertura mediatica in suo favore e di aver accettato decine di migliaia di dollari di sigari e champagne da un produttore miliardario di Hollywood in cambio di assistenza per interessi personali e commerciali. «Sono otto anni che aspetto questo giorno, otto anni che voglio dire la verità, otto anni di attesa per demolire queste accuse assurde e infondate contro di me», ha detto il premier prima di entrare in tribunale dove ha accusato i giudici di dare vita a una «caccia alle streghe implacabile». Fuori dall’aula una folla di manifestanti – tra cui anche alcuni dei familiari degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas – ha protestato contro il premier.

La transizione

Intanto anche la leadership del Qatar, favorita dai buoni rapporti con la Turchia, ha iniziato a prendere contatti con Hts. Ora l’interlocutore principale è Mohammed al Bashir, la cui nomina come primo ministro è stata ufficializzata. Rimarrà in carica fino al 1° marzo con l’obiettivo di non far collassare il paese di fronte alle divisioni tra fazioni e milizie. Ha avuto un primo incontro con gli altri membri del governo di transizione e con alcuni diplomatici dei paesi arabi.

Alla riunione era presente anche l’ambasciatore italiano, l’unico occidentale. Un primo passo di normalizzazione è avvenuto con le dichiarazioni di Geir Pedersen, inviato speciale dell’Onu per la Siria. «La realtà finora è che Hts e gli altri gruppi armati hanno inviato buoni messaggi al popolo siriano», ha detto, «hanno inviato messaggi di unità e inclusione». Il segretario di stato americano Antony Blinken ha invitato tutti i paesi a sostenere un processo «inclusivo».

Ma la nuova Siria dovrà fare i conti con i crimini commessi dagli apparati repressivi del regime di Assad. «I siriani meritano di sapere la verità e devono avere giustizia: giustizia e accertamento delle responsabilità sono l'unica via per la riconciliazione nazionale», ha detto l’Alta rappresentante dell’Ue, Kaja Kallas.

Intanto dalle celle sotterranee della prigione di Sednaya riemergono i cadaveri degli oppositori politici. È stato trovato il corpo del noto attivista Mazen al-Hamada, torturato dal regime.

© Riproduzione riservata