La parata del 9 maggio a Mosca e il discorso del presidente Putin potrebbero essere riassunti con questa frase: «Niente di nuovo dal fronte orientale russo». Una cerimonia sottotono, senza la marcia del Reggimento immortale anche in altre 21 regioni per motivi di sicurezza, nella quale il Cremlino non può proclamare, dopo 14 mesi di guerra, all’opinione pubblica il successo della cosiddetta “operazione militare speciale”.

Discorso già sentito

Alla presenza dei capi di Stato delle repubbliche asiatiche centrali, della Bielorussia e del capo di governo armeno, quasi a voler indicare che la Russia non è isolata e che i paesi post-sovietici “fedeli” alla celebrazione della vittoria sovietica sul nazismo sono coralmente presenti, il discorso del presidente russo ripresenta numerosi passaggi di quello dell’anno scorso.

«L’occidente provoca conflitti e golpe, distrugge i valori tradizionali per continuare a dettare le proprie regole di un sistema che depreda e violenta». E ancora: «Kiev è ostaggio di un colpo di stato e moneta di scambio nelle mani dell’occidente».

La narrazione antioccidentale costruita nei decenni al potere è volta a sottolineare, ancora una volta, che la Russia ha dovuto agire preventivamente per difendersi e che «le battaglie decisive per i destini della nostra patria sono sempre diventate sacre». .

Il messaggio è chiaro: dall’esito della guerra dipende la sorte della Patria e della statualità russa, ma aggiunge anche che «l’esperienza di solidarietà e di partnership, negli anni della comune minaccia, è una solida base quando il movimento verso il mondo multipolare prende velocità».

La sfida all’ordine internazionale

La difesa dell’identità culturale russa s’intreccia con la sfida all’ordine internazionale, all’egemonia americana, al decadente mondo occidentale e, per la prima volta, cita anche il richiamo «al sacrificio dei combattenti della Cina nella lotta contro il militarismo giapponese».

È interessante sottolineare che poco prima del 78esimo anniversario della “Grande guerra patriottica”, il presidente Xi Jinping ha invitato i presidenti dei quattro paesi dell’Asia centrale (Uzbekistan, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan) a visitare la Cina dal 16 al 20 maggio. La presenza delle autorità di questi paesi a Mosca è, quindi, un segnale positivo per Putin, ma è ormai plausibile ritenere che l’Asia centrale costituisca una terra contesa politicamente ed economicamente fra la Russia e la Cina.

Intanto, il presidente ucraino Volodomyr Zelensky non solo afferma che i russi saranno cacciati dall’Ucraina «come i nazisti nel 1945», ma simbolicamente si lega ancora di più all’Unione europea, decidendo di celebrare la Giornata dell’Europa il 9 maggio. Una decisione che rappresenta un vero e proprio schiaffo a Putin e una cesura con il passato sovietico, così tanto rievocato nella narrazione putiniana di questi decenni.

Un nuovo protagonista

Ma quest’anno la giornata della “Vittoria” ha anche un altro protagonista. Durante la parata, il capo della milizia privata Wagner, Yvgeny Prigozhin ha pubblicato un video di 27 minuti nel quale lancia, ancora una volta, un’invettiva nei confronti dell’apparato burocratico e del ministro della Difesa Sergei Shoigu che non rispetterebbe gli ordini di Putin.

E, soprattutto, smonta la retorica della vittoria (pobeda), sostenendo che la controffensiva dell’Ucraina «sarà sul terreno, non in televisione» dove la propaganda «fa vedere al nonnetto felice che tutto va bene» mentre i soldati muoiono.

A San Pietroburgo la cerimonia si conclude con un valzer, a Mosca giunge l’eco della Cavalcata delle Valchirie

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