Se un’infiammazione al ginocchio e l’eventualità di un’operazione modificano e svuotano l’agenda di un papa, è probabile che vedremo Francesco sempre meno alle prese con quei viaggi che finora hanno tradotto al meglio l’immagine del pontefice venuto dalla fine del mondo. È finita l’era del papa pellegrino, che tanto nelle parole quanto nei gesti ha finora cercato di abbracciare fisicamente il mondo? È quanto si teme guardando la scarna agenda dei viaggi di questo 2022, un anno segnato dall’ottimismo post-pandemico malgrado la guerra in Ucraina, durante il quale, però, paradossalmente il papa viaggerà meno.

Alla metà di quest’anno, Francesco si è recato solo a Malta. Pochi i viaggi confermati, come quello in Sud Sudan e nella Repubblica democratica del Congo; altri, che sono stati solo annunciati dallo stesso papa, sono poi stati ridimensionati in seconda battuta o restano delle ipotesi. È il caso del Libano, che papa Francesco sarebbe intenzionato a visitare, come annunciato via Twitter con entusiasmo dal presidente Michel Aoun, ma che oggi resta ancora una «ipotesi allo studio». La causa è solo il repentino malessere fisico di Francesco o dimostra una certa sfiducia nel peso geopolitico della Santa sede entro il consesso internazionale?

L’eredità di Cuba

La domanda appare legittima nel caso dell’aggressione russa in Ucraina. Il manifesto patriottismo del patriarca Kirill, che continua a benedire le forze armate russe in un quadro in cui il Cremlino di Putin rappresenta il baluardo della morale religiosa contro il disfacimento dell’Occidente, il peso dell’incontro storico con papa Francesco nell’aeroporto de La Havana nel 2016 è oggi ridimensionato.

La comunione d’intenti scritta nero su bianco in un documento firmato dai entrambi i leader, la scelta di un posto decentrato come l’isola di Cuba rispetto all’asse filo occidentale dominato dagli Stati Uniti, i riferimenti nell’intesa al cosiddetto «nuovo Mondo», in antitesi al «vecchio», cioè l’Europa, dimostrano l’intenzione di collocare il cammino delle chiese cattolica e ortodossa fuori dal pensiero politico di matrice atlantista: nella dichiarazione, il Vecchio continente non è neppure menzionato.

Da parte sua, il pontefice rifugge un’Europa dall’Atlantico agli Urali come papa Wojtyla, e nel dialogo finora intavolato con Vladimir Putin, la chiesa di papa Francesco ha inaugurato un cattolicesimo post-occidentale: «L’Europa, terra di antichi scontri e di secolarizzazione, non ha un ruolo così centrale, come pensavano Wojtyla e Ratzinger. Ma il cristianesimo russo è esterno all’Europa? Certo, la visione del papa e del patriarca non è centrata sull’Europa e risente della multipolarità del mondo globale» scrisse dopo l’abbraccio di Cuba Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di sant’Egidio, sul Corriere della Sera.

Il rebus kazako

Intervistato di recente dal quotidiano argentino La Nación, papa Francesco stesso confessato: «Mi rammarico che il Vaticano abbia dovuto revocare un secondo incontro con il patriarca Kirill, che avevamo programmato per giugno a Gerusalemme […]. La nostra diplomazia ha capito che un incontro dei due in questo momento potrebbe creare molta confusione». Pochi giorni prima di tali dichiarazioni, però, Bergoglio aveva espresso l’intenzione di recarsi in Kazakhstan il prossimo settembre in occasione del settimo Congresso dei leader delle religioni mondiali.

Fra costoro, ci sarà anche il patriarca di Mosca e di tutte le Russia. Saltato l’incontro a Gerusalemme, come annunciato dal papa, la quinta di un eventuale incontro tra Francesco e Kirill potrebbe quindi essere uno stato post-sovietico, dove il presidente in carica Kassym-Jomart Tokayev, per liberarsi dall’ombra del suo predecessore – il cosiddetto “leader della nazione” Nursultan Nazarbaev – coltiva relazioni con Putin.

Una visita che non va presa alla leggera: come la gestirà il papa in un paese che condivide con la Cina una frontiera con lo Xinjiang, il territorio abitato dagli uiguri che per Pechino sono un’etnia ostile al punto da rieducarla in campi dove sono violati i diritti? Parlerà Francesco degli uiguri in uno stato in cui essi hanno ancora un peso, seppur minoritario, a pochi mesi dalla scadenza dell’accordo biennale fra Cina e Santa sede? Per ora, il viaggio non è stato ufficialmente confermato.

Meno Europa

L’unico viaggio apostolico confermato, quello in Sud Sudan e Repubblica democratica del Congo, confermano la scelta del papa di puntare fuori dall’Europa centrale. Svanisce ancora di più l’idea di un cattolicesimo mittleuropeo: papa Francesco vede l’anima della nazione cristiana nel pueblo, i poveri scartati dalle dinamiche del neoliberismo. Eppure, in un’Europa stretta dalla piaga degli abusi in Germania, Francia, Spagna e Portogallo, paesi dalle forti radici confessionali che per la prima volta fronteggiano una crisi delle vocazioni senza precedenti, l’assenza del papa suscita perplessità.

Al momento, non è stato neppure confermato il viaggio al santuario di Santiago de Compostela né quello in Ungheria. In Europa, Francesco predilige le mete di frontiera: Albania, Grecia, Polonia, Svezia, Malta… Paesi portatori di una chiesa più affine all’immagine dell’ospedale da campo. Può anche capitare che all’improvviso il papa cancelli incontri o viaggi, tanto da indurre a domandarsi se queste defezioni non siano interpretabili come mosse eminentemente politiche. Nei giorni scorsi, per motivi di salute il papa ha cancellato l’incontro con il ministro degli Esteri argentino, Santiago Cafiero, in visita in Italia. C’è solo questo un malessere oppure il papa esprime così il suo dissenso politico nei confronti del paese che ha legalizzato l’aborto, da lui paragonato al nazismo?

Riferendosi al suo paese natale, il papa ha di recente scritto al suo amico, il giornalista Gustavo Sylvestre, che desidererebbe visitare l’Argentina, visto che in nove anni non lo ha mai fatto. Lo ha ribadito anche a La Nación dopo poco tempo. Eppure, commentando il suo rapporto con il proprio paese, nel 2018 Loris Zanatta scriveva sulla rivista Limes: «Molti hanno paragonato la sua residenza di Santa Marta alla residenza dove Perón fu a lungo esule in Spagna: Puerta de Hierro. Santa Marta è diventata un luogo di pellegrinaggio politico di dirigenti argentini d’ogni colore e tendenza che nel papa cercano legittimazione da spendere in patria».

Il Canada deluso

In Canada, papa Francesco sta perdendo autorevolezza. A seguito dell’incontro con i rappresentanti delle Prime Nazioni, Métis e Inuit, avvenuto tra marzo e aprile per fare chiarezza sul caso degli oltre 3mila bambini nativi morti nelle scuole residenziali cattoliche gestite dal governo canadese tra il 1870 e il 1997, il papa ha espresso il desiderio di vistare il paese entro il prossimo luglio: «Mi dà gioia, ad esempio, pensare alla venerazione che si è diffusa tra molti di voi nei confronti di sant’Anna, la nonna di Gesù. Quest’anno io vorrei essere con voi, in quei giorni. Sarò felice di beneficiare ancora dell’incontro con voi, visitando i vostri territori natii, dove vivono le vostre famiglie. Non verrò in inverno, da voi! Vi do allora l’arrivederci in Canada, dove potrò meglio esprimervi la mia vicinanza».

Malgrado i tempi stretti, però, non è ancora arrivata la conferma ufficiale della visita papale nelle città di Québec, Edmonton e Iqaluit. È previsto, inoltre, che il papa porgerà le scuse sul suolo canadese come un passo decisivo della riconciliazione, eppure l’Assemblea delle Prime nazioni di recente criticato un mancato lavoro di preparazione tra la Santa sede e i popoli nativi. Molti credono che il pontefice debba visitare la Kamloops Indian Residential School nella Columbia Britannica, dove la scorsa estate sono state scoperte 215 tombe anonime. Gerald Antoine, capo regionale dell'Assemblea delle Prime Nazioni dei Territori del Nordovest e capo nazionale di Dene, reclama un maggior coinvolgimento dei nativi nella pianificazione di un viaggio dalla portata dolorosa. Ma, si sa, i silenzi del papa sono più eloquenti delle sue parole.

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