A Bangui, capitale della Repubblica centrafricana, circa duecento persone hanno manifestato in supporto di Cina e Russia, a pochi giorni dall’uccisione, in una miniera del paese, di nove operai cinesi.

Il nobile intento di onorare le vittime di un atto violento, però, non giustifica gli slogan filorussi sui cartelloni dei manifestanti, frutto, invece, di una sempre più profonda penetrazione della propaganda di Mosca nel paese africano, vessato da un complesso conflitto civile dalla fine del 2012. 

La violenza anticinese

All’uccisione dei nove minatori cinesi il governo ha risposto con la costituzione di una commissione d’inchiesta a cui proprio Xi Jinping ha chiesto di imporre «punizioni severe» per i responsabili. 

I manifestanti filocinesi e filorussi hanno reso omaggio alle vittime dinanzi all’ambasciata cinese esprimendo il proprio sostegno a Pechino.

Uno studente coinvolto nella manifestazione ha detto che la solidarietà deriva «dal grande aiuto» prestato da un «grande paese» come la Cina alla Repubblica centrafricana e «a tutta l’Africa», sostanziato, indica l’intervistato, nella costruzione degli ospedali.

Il portavoce del partito Fronte repubblicano ha detto, adottando il tipico lessico cinese, che la leadership nazionale deve preservare la sicurezza dei «partner esteri» in forza della «cooperazione win-win» promossa da Pechino nel paese. 

Quanto accaduto è solo l’ultimo caso di una lunga serie di violenze di questo tipo contro gli impiegati cinesi delle imprese di Pechino operanti all’estero. Note, per esempio, le azioni terroristiche dei gruppi separatisti del Balochistan, in Pakistan, contro le aziende cinesi partner del governo. In Africa, episodi del genere si sono già verificati, tra gli altri, in Congo e, nel 2018, proprio in Repubblica centrafricana, fomentati da un diffuso, soprattutto tra le classi lavoratrici, sentimento anticinese, opposto alla parallela fascinazione di molti, nonostante i rischi della dipendenza da Pechino, per la cooperazione col gigante asiatico. 

L’uccisione dei nove minatori del Gold Coast Group, però, non è stata ancora rivendicata da nessun gruppo tra le fazioni ribelli che operano nel paese contro il governo. Il primo ministro Felix Moloua ha accennato ai membri dell’Union for Peace in Central Africa (Upc)  e della Coalitions of Patriots for Change (Cpc), due delle fazioni, come possibili esecutori dell’attacco, ma, in un comunicato, la Cpc ha negato le accuse, indicando, invece, il gruppo Wagner, presente nel paese almeno dal 2018, come possibile colpevole.

«Nous aimons Wagner»

Accuse, quelle dei ribelli, evidentemente respinte dai manifestanti. Infatti, sui cartelloni esposti durante la sfilata si legge: «La Russia è Wagner, noi amiamo la Russia e noi amiamo Wagner». Un messaggio chiaro e coronato dall’omaggio al monumento ai caduti centrafricani e agli alleati russi, ornato proprio dalla bandiera bianca, blu e rossa della Russia. 

Proprio il gruppo Wagner, attualmente impegnato nei combattimenti a Bakhmut, costituisce una forza essenziale nella fragile governance della sicurezza nel paese. Dal 2018 è presente nel paese un contingente di mercenari, di almeno mille uomini, impegnati in attività di addestramento delle truppe governative e in vere e proprie operazioni militari a sostegno del governo centrale, stretto alleato della Russia. 

Il gruppo Wagner, come denunciano diverse organizzazioni internazionali e i capi ribelli, si assicura, con metodi brutali, che il governo di Bangui mantenga il controllo sulle risorse minerarie del paese e, pertanto, è parte integrante del complesso scenario del decennale conflitto civile, come provato dai recenti e sanguinosi scontri avvenuti in prossimità di una miniera d’oro. 

Alla presenza diretta sul territorio, la Russia affianca anche un’importante opera di diplomazia governativa e pubblica. Come dimostrato dal voto contrario alla condanna dell’invasione dell’Ucraina in sede Onu, Bangui e Mosca sono molto vicine, complice proprio il rapporto di dipendenza securitaria consolidatosi negli ultimi anni. 

Il controllo su diversi media centrafricani, soprattutto radiofonici, da parte dei russi completa il quadro degli strumenti di influenza di Vladimir Putin nel paese africano. La propaganda russa, coadiuvata dalla “generosità” degli esborsi a favore della popolazione civile, fa presa sui cittadini del paese, non nuovi a manifestazioni celebrative della presenza di Wagner  e del rapporto privilegiato tra i due governi, visto – e dipinto dalla propaganda – in ottica opposta rispetto allo spirito neocoloniale europeo. 

Il ruolo del gruppo Wagner è ulteriormente legittimato dalla scarsa capacità dei peacekeeper delle Nazioni unite della missione Minusca di gestire efficacemente il conflitto, oltre che dai gravissimi abusi di cui il contingente Onu si è macchiato dal 2014. 

L’Africa nel «mondo multipolare»

L’evidente rapporto privilegiato tra Repubblica centrafricana e l’”asse illiberale” russo-cinese, uno tra i tanti casi nel continente, è sintomatico della sempre minore fiducia del “sud globale” nelle narrazioni e nei valori di cui è intrisa la retorica europea e americana. «L’ennesima guerra», come definisce la guerra in Ucraina Ivan Krastev facendosi interprete del pensiero del “resto del mondo”, allarga il divario tra occidente e paesi africani, disillusi rispetto alle promesse di sviluppo del modello capitalistico di cooperazione.

Non solo: esclusi dal club dei “buoni” dalla retorica americana dello scontro tra “democrazie” e “autocrazie”, paesi come la Repubblica centrafricana cercano legittimazione e sostegno altrove, appunto nella Russia e nella Cina, seguendo il proprio interesse di stati non coinvolti nello scontro europeo. 

Complici le necessità di sicurezza di leadership impegnate in situazioni domestiche instabili, molti governi si trovano a proprio agio nel «mondo multipolare» proposto, anche molto recentemente, da Russia e Cina, e lontano dalle dicotomie occidentali. Un contesto in cui è più facile avanzare i propri interessi, anche se contrastanti con quelli dei propri cittadini, e trovare sostegni non condizionati al rispetto dei diritti umani, un altro dei costrutti occidentali che l’Africa fatica sempre più ad accettare, anche a causa di un passato coloniale che, oggi più che mai, “non passa”. 

© Riproduzione riservata