Cosa sta diventando la guerra in Ucraina? Se ne parla sempre meno e allo stesso tempo la si considera ormai come una vicenda a cui abituarsi.

Eppure le conseguenze sono all’ordine del giorno: scarsità di gas russo; prezzi dell’energia in salita; inflazione in crescita; penuria alimentare globale.

Tutti si chiedono come contrastare la crisi economica incipiente ma pochi volgono lo sguardo all’origine della crisi stessa: la guerra. È come se si trattasse ormai di una realtà accettata. L’occidente si è messo con le spalle al muro, senza possibilità di manovrare: con la Russia si continua a combattere senza immaginare nessuna ripresa del dialogo negoziale.

L’occidente dovrebbe trattare

Se qualcuno lo auspica la reazione è secca: non tratteremo niente, non accetteremo nulla, non discuteremo affatto. Il paradosso è che, mentre gli ucraini combattono, l’occidente si trincera in un’unica opzione: la sconfitta della Russia.

Mentre Vladimir Putin ha molti modi per dire di aver vinto, all’occidente ne resta uno solo. Putin potrebbe dichiarare vittoria già ora con la conquista di quasi tutto il Donbass.

Può farlo spingendo ancora, giorno dopo giorno. Può dichiarare vittoria restando fermo, bloccando il mar Nero così da chiudere a Kiev ogni sbocco a est e a sud.

Anche solo restando al potere può affermare di aver vinto, per aver resistito ai paesi più potenti e ricchi del mondo, quelli che riforniscono gli ucraini. Ha insomma molte opzioni di vittoria, a caro prezzo ma che la Russia è disposta a pagare.

Per americani ed europei sarebbe utile ascoltare ciò che dicono i paesi terzi (latinoamericani, africani o asiatici) di questa guerra: si renderebbero conto che i giudizi sono molto più diversificati e complessi di ciò che si crede.

Per adesso è solo Putin – ogni tanto –  a evocare il negoziato a patto che si discuta di sanzioni. L’unica altra offerta è venuta dall’Italia, ma pare per ora disattivata. Sembra che non sia possibile utilizzare le sanzioni stesse come arma negoziale: sono soltanto punitive.

Il paradosso è che queste pesano sull’Europa e non sugli Stati Uniti: l’interesse tra occidentali è divergente e a un certo punto ciò necessariamente salterà fuori.

Non ci saranno vincitori

Come insiste Henry Kissinger, che a 99 anni è tornato alla ribalta con una certa verve, «lo stato delle cose conta più dei progetti», sia aggressivi che eroici.

Gli ucraini fanno bene a difendersi e siamo tutti ammirati da tale resistenza. Ma i due contendenti – ricorda l’ex segretario di Stato americano – sono comunque destinati a restare uno accanto all’altro.

Tale realtà dovrebbe spingere a non approfondire il solco dell’odio e del conflitto ma a cercare di limitare i danni. Per l’Ucraina si tratta di sopravvivere come stato evitando di farsi distruggere; per la Russia di ricomporre lo strappo con l’Europa che comunque è un danno.

Se le cose proseguono in questo modo nessuno è destinato a vincere davvero la guerra anche se – come detto –  Putin potrebbe cantare vittoria in ogni momento. Finora il modo di porsi dell’occidente è totalmente rigido e ciò in politica diviene sempre un limite.

Oggi nelle élite europee l’atteggiamento prevalente nei confronti della Russia è psicologicamente inflessibile: va sconfitta, punita o umiliata. L’idea è che solo se si ottiene tale effetto la Russia potrà cambiare: smilitarizzarsi e divenendo un paese normale. 

Tale ragionamento non tiene conto della possibilità del caos: una Russia punita e vinta – sempre che si raggiunga tale improbabile scopo – potrebbe diventare un incubo peggiore, trascinandoci tutti in un gorgo geopolitico.

Si ricordi che nella storia nulla è ineluttabile o immutabile per sempre: la forza della democrazia è saper vincere i propri vicini con la convivenza e non con la violenza.

Sappiamo tutti che occorrerà reintegrare Mosca nel sistema europeo: di conseguenza è nostro interesse non isolarla nella propria solitudine geopolitica o spingerla verso l’Asia.

La posizione di Kissinger

Per proseguire con Kissinger: ciò che va sconfitta è l’invasione «non la Russia in quanto stato o come entità storica… la questione del rapporto fra Russia ed Europa andrà presa molto sul serio».

In questo gli americani possono aiutare ma non sostituirsi agli europei: tocca a noi ricostruire una relazione lacerata.

«Non si può continuare a combattere senza un obiettivo», conclude Kissinger: «Va affrontata la questione della fine della guerra in termini di obiettivi politici e non solo militari», che tra l’altro sono sfuggenti e variabili. Per questo è importante comprendere ciò che pensano i russi.

Solgenitsin – adorato in occidente – era contrario all’indipendenza ucraina, anche se comprendeva tale volontà. Suggerì che la questione fosse affrontata per referendum, oblast per oblast.

Espansione territoriale e concezione etnolinguistica del cosiddetto mondo russo sono i due ingredienti identitari della Russia.

Il dramma è che le prime vittime di tale impostazione siano stati proprio gli ucraini orientali, che hanno il russo come madrelingua e che si sentivano (ora non più) legati a Mosca e alla sua cultura.

Alle élite russe la guerra conviene 

Dal canto loro le élite russe pensano – salvo poche eccezioni – che la guerra attuale sia una minaccia esistenziale per la Russia a causa dell’appoggio dato dalla Nato agli ucraini.

In realtà a essere minacciata non è la Russia in sé ma “una certa idea della Russia”: quell’antica idea imperiale che Vladimir Putin ha fatto sua, fondata su un’ideologia nazional-religiosa.

Il Cremlino ha adattato la vecchia politica delle nazionalità di Stalin per far leva sulla presenza delle minoranze russe in tutte le ex repubbliche sovietiche. Alcune sono state spinte a provocare la secessione (Transnistria), altre a ottenere l’indipendenza unilaterale (Donbass).

Così si è cercato di recuperare pezzi dell’ex impero sovietico, definendoli appartenenti al “mondo russo” e da ricondurre in seno alla madre patria.

Ma l’aspetto geopolitico più rilevante, che va oltre tali ricostruzioni mitiche o storico-culturali e linguistiche, è quello relativo alla solidità della verticale del potere russa: secondo le autorità del Cremlino – cresciute durante il periodo Brezneviano – la stabilità del sistema è garantita molto meglio in tempi di guerra.

Lo schema della Guerra fredda

In altre parole stiamo assistendo ad una forma di riedizione della Guerra fredda, magari a pezzi per usare l’espressione cara a papa Francesco, in cui Mosca ci attira.

Ecco perché le democrazie non devono cadere nella trappola di lasciarsi trasportare in un conflitto infinito: è il terreno preferito degli autoritarismi.

La guerra fredda è stata vinta mediante il contenimento: questa nuova forma ibrida di guerra fredda a pezzi può essere vinta con lo stesso metodo, aggiornato alle attuali realtà.

Un conflitto prolungato non è un problema per il Cremlino: è il suo obiettivo. Ma è deleterio per l’Europa. Non c’è troppo da illudersi sulle fragilità russe: le capacità di resilienza sono molto maggiori di ciò che si crede, come dimostra la storia.

Meglio dimettere la retorica oltranzista che inibisce ogni ragionamento e ritrovare spazio di manovra: l’attuale crisi è molto più pericolosa di ciò che i leader occidentali sono pronti ad ammettere davanti al proprio pubblico.

C’è anche da tener conto della situazione interna americana: se Trump si salva dalle accuse e vince le elezioni du midterm, è possibile immaginare una progressiva virata della politica Usa nei confronti della Russia.

Il rischio strategico che corriamo è un mondo diviso tra occidente e universo sino-russo, con molti attori medi intenti a smarcarsi.

L’India, ad esempio, è parte dell’alleanza indo-pacifica con l’occidente ma anche alleata di Mosca, di cui è grande acquirente di gas. Per non parlare della Turchia, dell’Arabia Saudita e dei paesi del Golfo, del Pakistan, del Messico, dell’Argentina e del Brasile (ricominciano i vertici Brics) ecc. Anche lo stesso Israele non applica le nostre sanzioni.

Paradossalmente alla fine potremmo scoprire che non è la Russia, bensì l’occidente a risultare isolato. 

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