Il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) ha formulato la richiesta di mandati d’arresto per i capi di Hamas ma anche per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ministro della difesa Yoav Gallant. L’accusa al vaglio della Pre Trial Chamber è per crimini di guerra e contro l’umanità: il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale penale non ammettono eccezioni per nessuno, né per terroristi né per capi di stato e di governo.

È difficile fare previsioni su come evolverà la situazione, ma c’è da sperare che l’occidente attenui le proteste contro la Corte, perché la delegittimerebbe definitivamente ponendo in discussione anche i mandati d’arresto emessi per il trasferimento forzato di minori ucraini nei confronti di Putin e per i bombardamenti indiscriminati sull’Ucraina di cui sono imputati due generali russi.

È bene dunque approfondire l’articolato statement del Procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan. Khan precisa di essersi avvalso di una molteplicità di testimonianze, prove documentali in video, audio e fotografie, nonché di immagini satellitari passate al vaglio dell’autenticità, e «come ulteriore garanzia» di avere consultato anche un «gruppo imparziale» di giuristi di alto profilo, esperti nel diritto internazionale umanitario e nel diritto internazionale penale.

Tra questi figurano Adrian Fulford avvocato già giudice alla Corte penale internazionale e ora all’Alta Corte d’Inghilterra e Galles, Helena Kennedy presidente dell’Istituto per i diritti umani dell’Associazione internazionale degli avvocati, Elizabeth Wilmshurst ex consigliere giuridico del Commonwealth, l’avvocata internazionalista araba Amal Clooney, l’autorevole Theodor Meron, avvocato e giudice israeliano naturalizzato statunitense, visiting professor all’Università di Oxford e già presidente del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, e ancora Kevin Jon Heller professore di diritto internazionale all’Università di Copenaghen, e il senegalese Adama Dieng già consigliere speciale delle Nazioni unite per la prevenzione del genocidio. Il procuratore richiama inoltre i principi della effettività della giurisdizione della Corte sui territori palestinesi e il principio di «complementarietà».

Il 5 febbraio 2021, con la decisione sulla “Richiesta dell’accusa ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 3, di una decisione sulla giurisdizione territoriale della Corte in Palestina”, la Pre Trial Chamber I ha sancito la giurisdizione penale della Corte nella «situazione nello Stato di Palestina» e tale giurisdizione si estende a Gaza e alla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, con mandato pieno anche per l’escalation delle violenze dal 7 ottobre 2023 in poi.

Il vissuto delle indagini

Per il principio di «complementarietà» dell’articolo 17 dello Statuto prevale la giurisdizione degli Stati nazionali, per cui la Corte penale dell’Aja non interviene se per gli stessi fatti viene assicurato l’avvio di un procedimento interno agli Stati. Tuttavia il procuratore Khan rimarca che le autorità nazionali devono impegnarsi in procedimenti giudiziari «indipendenti e imparziali», che «non proteggano gli indagati e non siano una farsa»: ricorrerebbero altrimenti il “difetto di volontà” (unwillingness) o il “difetto di capacità” che impongono l’intervento della Corte.

Importante è il richiamo alla responsabilità diretta dei capi, perché i crimini di guerra e contro l’ umanità indagati sono stati commessi «su larga scala», rientrano in un piano esteso e preordinato, e si configurano pertanto non come fatti isolati, ma quali “leadership crime”, crimini dei capi, tanto di Hamas quanto di Israele. Lo statement del procuratore si sviluppa in primo luogo sulle gravi responsabilità dei capi di Hamas, in particolare dell’ala militare delle Brigate al-Qassam, per crimini contro l’umanità.

Al di là del tecnicismo delle imputazioni, il procuratore dell’Aja si sofferma sul vissuto personale delle indagini: «Parlando con i sopravvissuti, ho sentito come l’amore di una famiglia, i legami più profondi tra un genitore e un figlio siano stati stravolti per infliggere un dolore insondabile con una crudeltà calcolata e un’estrema insensibilità». E aggiunge: «Vi sono ragionevoli motivi per ritenere che gli ostaggi siano stati tenuti in condizioni disumane e che alcuni siano stati oggetto di violenze sessuali, compreso lo stupro (...). Siamo giunti a questa conclusione sulla base di cartelle cliniche, prove video e documentali, e colloqui con vittime e sopravvissuti».

Altrettanto gravi sono le imputazioni per Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant. Si tratta innanzitutto di crimini di guerra: «Morte per fame di civili come metodo di guerra» e «Causare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi lesioni al corpo o alla salute» e molte altre imputazioni.

Il procuratore Khan delinea anche un quadro specifico molto serio delle gravi responsabilità dei leader israeliani: i crimini commessi da Israele sono stati compiuti «nell’ambito di un attacco diffuso e sistematico» contro la popolazione civile palestinese, e «in base alla politica dello Stato». L’accusa è perciò rivolta alla «imposizione di un assedio totale su Gaza che ha comportato la chiusura completa dei tre valichi di frontiera, Rafah, Kerem Shalom ed Erez», nonché al blocco arbitrario di aiuti essenziali.

I principi della giustizia

La Corte penale internazionale era stata sempre accusata dai suoi detrattori, in specie dagli attori del Global South, di ipocrisia e arrendevolezza quando si trattava di avviare procedimenti nei confronti del mondo occidentale. È sembrato dunque che alla Corte penale internazionale dell’Aja – cui aderiscono 124 Stati (tra gli “Stati non parte” vi sono Usa, Cina, Russia e Israele, ma ciò non rileva se si affermano principi giuridici "universali") – si stessero compiendo importanti passi in avanti per l’affermazione della giustizia penale internazionale, specie con l’emissione dei mandati d’arresto nei confronti di Putin e dei generali russi per la guerra in Ucraina.

Ora potrebbe essere tutto azzerato con le critiche venute dagli Usa, cui si è associato anche il Regno Unito. Al momento sono comunque incoraggianti almeno la posizioni espresse da altri Stati europei. L’auspicio è che anche in Italia maturino presto voci autorevoli altrettanto chiare nel sostenere il ruolo della Corte penale internazionale. Sta alla «comunità internazionale» che si identifica nello Statuto di Roma ribadire con forza che in tutti i contesti ai principi del diritto internazionale umanitario nessuno può derogare.

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