«Trump - nash». Trump è dei nostri. Eccola la frase rimbalzata in questi giorni nelle stanze dei bottoni, negli abitacoli dei taxi, nelle cucine dei palazzi moscoviti, nelle teste di molti russi. Se di politica in Russia non si parla, quantomeno non apertamente per timore di ripercussioni, questo commento è stato quasi certamente bisbigliato a denti stretti da molti, sia da quei russi che hanno confessato l’impatto negativo della guerra sulle loro vite (54 per cento), sia da coloro che hanno detto di non essere toccati dal conflitto (32 per cento), sia da coloro - appena il 9 per cento - secondo i quali la guerra ha avuto effetti positivi.

Le percentuali sono quelle di un recente sondaggio indipendente realizzato dal progetto Chronicles e suggeriscono una diffusa stanchezza da parte della popolazione dopo tre anni di combattimenti. Il resto degli intervistati non ha saputo rispondere.

Show di carnevale

La notizia del catastrofico battibecco tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky lo conferma: Trump - nash. Arriva nei giorni in cui in Russia si festeggia la Maslenitsa, il carnevale russo, e prende il sopravvento nelle trasmissioni televisive che riecheggiano nelle case dove aleggia il profumo delle frittelle appena fatte.

La propaganda russa probabilmente non si aspettava un simile regalo dalla Casa Bianca. Le reazioni sono di euforia febbrile. Tra i primi a commentare la notizia c’è la portavoce del ministero russo degli Esteri Maria Zakharova, che in un lungo intervento alla trasmissione Solovyev Live parla di «completo fallimento politico e diplomatico del regime di Kiev» e accusa Zelensky di essere «ossessionato» dal portare avanti i combattimenti. Il conduttore Dmitry Solovyev l’ascolta compiaciuto. Gli obiettivi militari della Russia, dice Zakharova, restano «immutati».

Secondo il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, Trump è «una persona pratica» che conduce gli affari con «buon senso». Non come i leader di Francia e Regno Unito, che «incitano Kiev alla guerra contro di noi». L'arrivo di forze di peacekeeping europee in Ucraina infatti «non eliminerebbe le cause della crisi», mentre Trump e la sua squadra sono «persone ragionevoli, che non pretendono di comandare la Russia».

La posizione russa e quella statunitense dunque sono sempre più vicine. Un dejà vu per chi ricorda quel bottone rosso che nel marzo 2009 l’allora segretario di Stato Usa Hillary Clinton regalò a Sergej Lavrov per un simbolico “reset” delle relazioni. Peccato solo che un errore di traduzione stravolse completamente il senso della scritta su quel bottone: anziché scrivere “perezagruzka”, riavvio, l’amministrazione statunitense scrisse “peregruzka”: sovraccarico. Sul momento quella gaffe fu presa con ironia. Oggi appare come una triste profezia.

La stagione dei “frenemy”

«Viste le giravolte che hanno subìto le relazioni con gli Stati Uniti nel corso della storia, forse non dovremmo stupirci di questo ennesimo cambiamento», commenta Margarita Zavadskaya, dell’istituto di ricerca indipendente Finnish Institute of International Affairs. «Ormai Mosca e Washington sono ‘frenemy’, se vogliamo prendere in prestito il termine delle nuove generazioni per indicare una persona con cui si è amichevoli nonostante una fondamentale rivalità».

Da acerrimi nemici quali erano, quindi, gli Stati Uniti sono diventati improvvisamente alleati. La loro politica estera «coincide in gran parte con quella russa», fa sapere il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. E così in Russia si sente parlare sempre più spesso di ripresa dei rapporti commerciali, possibile eliminazione delle sanzioni e ripristino dei collegamenti aerei.

E mentre alcuni commentatori deridono il copia-incolla fatto su Twitter dai funzionari europei – tutti con lo stesso «Be strong, be brave, be fearless» rivolto a Zelensky – in Russia la bagarre allo Studio Ovale ha creato la distrazione perfetta per indicare il nuovo nemico: ora è l’Europa.

«Adesso tocca all’Europa ricucire lo strappo tra Usa e Ucraina», afferma Ekaterina Glod, analista dell’European Leadership Network. E in questo scenario, dice, «Giorgia Meloni potrebbe giocare un ruolo importante grazie ai suoi legami personali con Trump e ai suoi buoni rapporti con l’ungherese Viktor Orban».

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