«Sono deluso da Vladimir Putin ma non ho ancora chiuso con lui», ha detto Donald Trump alla Bbc, quasi a voler mitigare i toni della conferenza stampa tutta missili e ultimatum nella quale ha annunciato un accordo per rifornire di armi l’Ucraina – ma facendo pagare il conto agli alleati della Nato – e ha minacciato sanzioni secondarie fra 50 giorni se il presidente russo non si sarà piegato alla pace.

Il presidente è deluso dall’autocrate che al telefono lo prende in giro ogni volta, promettendo negoziati e poi lanciando droni, ma allo stesso tempo lascia aperto uno spiraglio, offre ancora una possibilità, lui che è artista del deal ma soprattutto maestro di scadenze fissate e poi perennemente rimandate. I mercati finanziari russi hanno capito l’antifona trumpiana e hanno reagito all’annuncio che doveva essere spaventoso per Mosca con un incremento del 2,7 per cento.

E così il giorno dopo la muscolare affermazione di sostegno a Kiev accanto al soddisfatto Mark Rutte, dalla Casa Bianca si snoda un doppio messaggio. Da una parte, l’amministrazione lascia intendere che ci sono ancora molti punti da chiarire nelle commesse militari e perciò nella solidità degli impegni per una guerra che rimane principalmente un affare europeo. Dall’altra, si sottolinea invece l’assertività anti-putiniana, ribadendo che l’impegno per Kiev è fattivo e irrevocabile.

Come ha osservato l’ex ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, nel mondo Maga è in corso una guerra fra due fazioni, una che promuove la coesione dell’Occidente a guida americana, e perciò il sostegno totale all’Ucraina, l’altra che batte sul tasto del disimpegno internazionale a sfondo nazionalista. Queste tribù repubblicane sono impegnate in una guerra che è fatta anche di informazioni diffuse ad arte e interpretazioni delle parole del capo.

Disimpegnarsi

I fautori del disimpegno hanno ispirato i retroscena sulle armi spuntate del presidente: mancano i dettagli cruciali sugli armamenti che saranno effettivamente inviati all’Ucraina e il Pentagono non chiarisce la tempistica delle consegne. Inoltre, il lungo periodo di 50 giorni sembra una concessione assai generosa per Putin e incompatibile con la tenuta media del messaggio di Trump, che solitamente nel giro di due mesi cambia idea decine di volte su qualunque argomento.

Infine, i disimpegnisti fanno notare che forse agli Stati Uniti non conviene davvero infliggere pesanti sanzioni a chi commercia con la Russia – leggi: Cina – e dunque si tratta di una minaccia vuota.

Steve Bannon è una delle voci che apertamente cercano di dissuadere il presidente da un vero impegno per Kiev. «L'Ucraina sta diventando davvero pericolosa. È una guerra europea. Lasciamo che se ne occupi l'Europa», ha detto. Dall’altra parte, esulta con la solita boria vice segretario del Consiglio di sicurezza nazionale russo, Dmitry Medvedev, che a sua volta non crede al bluff: «Trump ha lanciato un ultimatum teatrale al Cremlino. Il mondo rabbrividisce, aspettandosi le conseguenze. L'Europa belligerante è rimasta delusa. Alla Russia non è importato nulla». Palesemente scettico anche il ministro agli Esteri Sergey Lavrov: «La Russia vuole capire cosa c’è dietro l’ultimatum di Trump».

Sul fronte opposto, i tifosi della svolta consegnano ai media interpretazioni di segno opposto. Funzionari della sicurezza nazionale hanno consegnato a David Ignatius del Washington Post, decano degli editorialisti che si occupano dell’argomento, uno scenario di effettivo dispiegamento di forze: ha scritto che fra le forniture da 10 miliardi di dollari ci sono anche missili Tomahawk, gli stessi usati per colpire gli obiettivi in Iran il mese scorso, con i quali Kiev potrebbe colpire Mosca e San Pietroburgo, e di altri missili a Atacms, con una gittata di 300 chilometri. La circostanza darebbe a Kiev una maggiore capacità di colpire basi militari, piste di decollo di aerei militari e depositi di rifornimento all'interno del territorio russo.

Bombardare Mosca?

Chi guarda con speranza all’effettiva svolta pro- Ucraina di Trump, dopo settimane di metamorfosi del messaggio della Casa Bianca, si è certamente rallegrato nel leggere la ricostruzione del Financial Times sulla conversazione fra Trump e Zelensky avvenuta nella data simbolica del 4 luglio.

In quell’occasione, riferisce il quotidiano britannico basandosi su fonti dell’amministrazione, Trump avrebbe incoraggiato gli attacchi ucraini agli obiettivi in profondità nel territorio russo, arrivando perfino a chiedere se l’esercito ha la capacità di colpire Mosca e San Pietroburgo.

Una curiosità dal tono minaccioso che serve a dare sostanza al messaggio lanciato dallo Studio Ovale.

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