L’attacco su larga scala dell’esercito russo all’Ucraina ordinato dal presidente Vladimir Putin provoca più di un grattacapo a Pechino. Certo, il 4 febbraio scorso Cina e Russia hanno sottoscritto un documento comune che mette in discussione l’ordine liberale, e assicura il sostegno di Pechino per le “giuste preoccupazioni” di Mosca contro un eventuale ulteriore allargamento della Nato, in cambio dell’appoggio russo alla Cina sulle questioni di Taiwan e del Mar cinese meridionale.

Eppure il modo di contestare l’attuale assetto internazionale di Mosca e Pechino è profondamente diverso: la prima non esita a ricorrere all’uso della forza, mentre la Repubblica popolare – che ha una potenza militare molto inferiore sia a quella statunitense sia a quelle russa – per perseguire i suoi obiettivi finora ha fatto ricorso agli scambi commerciali e alla diplomazia degli aiuti.

Pechino non ha alcun interesse a mandare in frantumi l’immagine che ha costruito del suo sviluppo come “ascesa pacifica” e per questo motivo – nonostante, come abbiamo analizzato in questo articolo, sia pronta a sostenere finanziariamente Mosca – starà attenta a non sposare le posizioni di una Russia “guerrafondaia”, che rischia di essere isolata dalla comunità internazionale.

Inoltre le ripercussioni negative del conflitto sui prezzi delle materie prime, sui mercati e sugli scambi internazionali, non potranno che danneggiare la Cina, che per il suo sviluppo ha bisogno di stabilità e di enormi quantità di combustibili.

Questi problemi superano l’effetto “positivo” (per Pechino) di un conflitto che distoglierà per un periodo l’attenzione degli Stati dall’area indopacifica, sulla quale l’amministrazione Biden ha recentemente varato la sua nuova strategia.

Le prime reazioni cinesi, quelle rilasciate da Zhang Jun durante la riunione d’emergenza di oggi del Consiglio di sicurezza, confermano questo approccio improntato all’estrema prudenza: «La Cina ritiene che la porta per una soluzione pacifica della questione ucraina non sia stata completamente chiusa e non dovrebbe essere chiusa. Al momento, per evitare l’intensificarsi del conflitto, la Cina continuerà a promuovere la pace e i colloqui a modo suo», ha dichiarato l’ambasciatore cinese alle Nazioni Unite.

Dello stesso tono le dichiarazioni della portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying, secondo la quale «la Cina segue da vicino lo sviluppo e sta esortando tutte le parti a esercitare moderazione per evitare che la situazione sfugga al controllo».

Per approfondire:

Buenos Aires nella via della Seta, alle stelle il prezzo dell’oro bianco

Alla vigilia dell’arrivo a Pechino del presidente Alberto Fernandez, che il 6 febbraio scorso ha firmato l’adesione dell’Argentina alla nuova via della Seta (Bri), il prezzo del carbonato di litio ha raggiunto per la prima volta i 54 dollari al chilo, quadruplicato rispetto a un anno fa.

La Cina e il paese sudamericano sono tra i player principali nella catena di fornitura del metallo, indispensabile per la produzione delle batterie dei veicoli elettrici. La Cina è il principale acquirente, proprietario di miniere e raffinatore dei 2/3 del litio in commercio; l’Argentina (assieme a Cile e Bolivia) si trova nel “triangolo del litio” dove è custodito il 56 per cento delle riserve globali di “oro bianco”, decisivo per la transizione energetica, ma anche al centro di battaglie ambientaliste, raccontate in questo articolo su Domani.

  • Perché è importante

L’aumento vertiginoso del costo del minerale è stato causato principalmente dall’aumento della richiesta: uno studio dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) evidenzia che, se i governi mantenessero gli impegni di decarbonizzaione assunti, la domanda globale di litio aumenterebbe di oltre 40 volte entro il 2040. D’altro canto l’ingresso dell’Argentina nella Bri ha innervosito i paesi occidentali, che vorrebbero ridurre la loro dipendenza dalla Cina anche del prezioso metallo. E presto il litio potrebbe andare ad aggiungersi ai tanti fattori di tensione tra Cina e Stati Uniti.

  • Il contesto

Il XIV Piano quinquennale della Cina (2021-2025) sottolinea la necessità di creare catene di fornitura industriali più resilienti, in modo da favorire la competitività della nazione nei settori tecnologici emergenti, come i veicoli elettrici.

L’anno scorso l’amministrazione Biden ha ordinato una revisione della catena di approvvigionamento statunitense, affermando che il predominio della Cina «presenta una vulnerabilità critica per il futuro dell’industria automobilistica statunitense».

«Il mercato delle batterie ad alta capacità è probabilmente uno dei più critici per gli interessi della nostra nazione», si legge nel rapporto del ministero dell’Energia. «La Cina, in particolare, ha creato un panorama distorto della catena di approvvigionamento attraverso l’intervento non di mercato o governativo da parte di aziende controllate dallo stato, sia a livello nazionale che nelle economie in via di sviluppo».

YUAN, di Lorenzo Riccardi

Dal Pakistan alla Thailandia, i nuovi progetti a guida cinese

Le olimpiadi di Pechino 2022 sono state nello stesso tempo volano di sviluppo per gli sport invernali in Cina e del rafforzamento dei legami politico-economici della Repubblica popolare cinese con una serie di paesi. Il presidente Xi Jinping ha dato il benvenuto a 32 dignitari esteri, tra capi di stato, primi ministri, reali e capi di organismi internazionali. È la prima volta che si registra un così alto numero di leader stranieri durante un’olimpiade invernale, nonostante siano mancati i più alti ranghi dei paesi G7.

A margine dei giochi invernali si sono svolti diciotto incontri bilaterali con leader internazionali del Sud-est asiatico, Asia centrale, Medio Oriente, Europa orientale e America latina.

Cina ed Ecuador hanno concordato di avviare negoziati per un accordo di libero scambio per promuovere la partnership e il commercio tra i due paesi. L’Argentina ha aderito al progetto infrastrutturale del governo cinese, firmando un memorandum d’intesa sulla Nuova via della seta (Bri), con accordi specifici sulla cooperazione nel settore dell’agricoltura. All’inizio dell’anno anche Siria e Nicaragua avevano aderito alla Bri, portando a 148 i suoi membri tra paesi e regioni.

Il primo ministro pakistano Khan ha confermato la seconda fase di costruzione del corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec) mentre Putin e Xi hanno raggiunto un accordo trentennale per le forniture di gas, attraverso una nuova condotta che attraverserà l’estremo oriente russo.

Anche i leader di diversi paesi dell'Asia centrale, tra cui Kazakistan, Turkmenistan, e Tagikistan, hanno concordato di rafforzare la cooperazione nel settore del petrolio e del gas naturale.

La presidente di Singapore, il portavoce del parlamento sudcoreano e i reali di Thailandia e Cambogia presenti a Pechino rappresentano quattro dei quindici paesi firmatari del Regional comprehensive economic partnership (Rcep), il più grande accordo di libero scambio entrato in vigore all’inizio dell’anno.

Dall’Europa erano presenti il principe Alberto di Monaco, che ha ricevuto nel 2019 la visita di Xi nel Principato, dove Huawei ha costruito la prima rete 5G nella regione, il Gran Duca del Lussemburgo che ha promosso nuovi progetti in ambito green e high-tech, e il presidente polacco Andrzej Duda, che ha confermato l’interesse a maggiori scambi in ambito agricolo.

Infine, il presidente serbo Vucic ha promosso un incremento nelle relazioni economiche tra Pechino e Belgrado mediante un accordo di libero scambio da firmare entro il 2022.

La popolazione invecchia, si andrà in pensione più tardi

Il governo di Pechino varerà presto la più impopolare di tutte le riforme, quella che aumenterà l’età pensionabile, che nella Repubblica popolare cinese è di 60 anni per gli uomini, 55 per le donne e 50 per le operaie. Lunedì scorso il Consiglio di stato ha comunicato che l’età pensionabile sarà ritardata “gradualmente” entro la fine del 2025, cioè nel periodo coperto dal XIV Piano quinquennale (2021-2025).

  • Perché è importante

I lavoratori cinesi, che possono contare su un welfare scadente rispetto a quello dell’Europa occidentale (ad esempio, la sanità è largamente inefficiente e le cure nelle strutture pubbliche sono in gran parte a pagamento) e che – soprattutto nel settore privato – a partire dalla stagione di “riforma e apertura” hanno contribuito allo sviluppo del paese con turni e carichi di lavoro molto spesso ben oltre i limiti consentiti in occidente, potevano contare su una sorta di compensazione “socialista”: la liberazione anticipata dalla schiavitù del lavoro salariato.

  • Il contesto

A imporre la riforma delle pensioni è la dinamica demografica del paese, che sta subendo un rapidissimo invecchiamento della popolazione (e dunque una altrettanto veloce riduzione di quella in età da lavoro) per effetto del combinato disposto dell’allungamento della vita media (35 anni prima del 1949, 77 anni nel 2019) e del crollo del tasso di natalità (nel 2021, 10,6 milioni di neonati, 7,5 ogni 1.000 abitanti).

Inoltre, l’anno scorso la popolazione di età pari o superiore a 60 anni era di 267,36 milioni, il 18,9 per cento del totale. E oltre 200 milioni di cinesi avevano 65 anni e più, il 14,2 per cento del totale.

Il governo dovrà anzitutto istituire un sistema pensionistico nazionale, laddove finora è stato frammentato in tanti diversi meccanismi provinciali, con notevoli differenze tra le aree più ricche e quelle più povere del paese.

Al momento è entrato in funzione un fondo nazionale per compensare in parte queste sperequazioni. Parallelamente all’aumento dell’età pensionabile sarà inoltre necessario migliorare il welfare e aumentare le pensioni, in una società sempre meno “tradizionale” e sempre più competitiva, dove spesso degli anziani, nonostante le prescrizioni confuciane, non possono più prendersi cura i familiari più giovani.

Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani, e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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