L’Elon Musk più conosciuto è uno che, come si dice a Roma, se la tira. Basti dire che s’è lanciato nel business dello spazio proclamando l’obiettivo di rendere la vita «multi planetaria» affinché «nell’Universo la coscienza non scompaia». Ed è così che punta ai soldi di clienti ed azionisti mirando insieme al cuore e al portafoglio.

Il vate immaginifico è anche un ottocentesco padrone delle ferriere che frusta e spinge l’organizzazione con la costante minaccia di chiudere bottega. La stampa USA, in occasione dei licenziamenti di massa e degli ammonimenti a restare solo se disposti a tutto, ricorda che si tratta di metodi già visti in Tesla (l’auto elettrica) e in SpaceX (i razzi replicabili) che, se il listino regge, fanno di Musk l’uomo col più grande patrimonio del pianeta. 

Stavolta tuttavia l’impresa è più complessa perché, a differenza di Tesla e SpaceX che Musk ha sviluppato dalle origini, Twitter, al di là di essere il ritrovo social di intellettuali e giornalisti, è carico di una storia economica tutt’altro che brillante, sicché va “rotto e reinventato”. 

La mossa propedeutica, mentre tutti guardano ai subbugli interni, pare sia quella di ritirare Twitter dal listino di Wall Street, tanto più che al momento è Musk che l’ha comprata in blocco. Così, nella lingua degli affari Usa, la compagnia diviene “privata” da “pubblica” che era e si toglie dai piedi gli ispettori della Sec (Securities and Exchange Commission) e l’obbligo dei rendiconti trimestrali, mentre procede la costruzione di un’app diversa sia sul piano tecnico e del business sia quanto ai “valori” praticati. 

Verso il format Wechat, la super app cinese

Dovrebbe essere scontata l’evoluzione di Twitter in una “super app” ispirata alla cinese Wechat, dove t’aggiorni seguendo chi ti pare e all’occorrenza cerchi un taxi, vendi e acquisti. Un mondo bastevole a se stesso che potrebbe perfino battere una qualche sorta di moneta del tipo dei bitcoin, non fosse che dopo i recenti fallimenti nominare il tema porta male.

A complemento potrebbe starci anche l’offerta di abbonamenti, attraverso Twitter, ad alcune delle principali fonti di notizie offrendo in cambio agli editori abbonati a basso prezzo, ma oltremodo numerosi. Se questa sarà la via, condurrà all’ancoraggio ad un pubblico well educated insieme a tecnici di buon livello e piccoli imprenditori. Tutti disposti a spendere qualcosa al di là del “gratuito” che la Rete rifila a chi cede i propri dati e esponendosi alla pubblicità mirata. 

Free speech vs Moderazione

A questo genere d’utenza si rivolge il Musk libertario che cavalca il tema del free speech, della libertà d’espressione prioritaria e della “moderazione” ristretta ai post e alle immagini che configurino reati , fissati come tali dai codici e non dalle morali. La mossa simbolica in questo campo è quella, adeguatamente strombazzata, di ridare l’account a Trump nonostante che, proprio a colpi di tweet, quel ceffo abbia spinto i suoi cloni fino ad assaltare il Campidoglio. Il che piacerà alla più radicale destra americana, convinta che ogni parametro di buon gusto, buon senso e buon costume sia una manipolazione degli intellettuali volta non a indicare la retta via agli zoticoni, ma a renderli schiavi culturali. Salvo che il free speech sarà apprezzato, diremmo ovviamente, anche dall’area liberale e liberal per ragioni quanto meno di principio. Mentre susciterà dubbi nei movimenti woke che si caratterizzano per la caccia a simboli e parole e che alla moderazione, altro che restringerla, vogliono semmai dettare l’ordine del giorno. 

Un social post generalista

Il via libera al free speech comporterà, dicono in molti, il disagio delle marche pubblicizzate: pensiamo a Coca Cola, a Disney, ai fornitori d’energia che ormai ci tengono a mostrarsi per virtuosi e temono la contiguità in timeline con qualche orrore scatenato dal free speech.  Ma intanto sembra che gli addetti a moderare siano stati primi ad essere cacciati, facendo supporre anche in questo modo un’app “post generalista” rispetto al mondo Meta che cerca di essere l’equivalente di un Canale 5 o Rai 1 mostrando di rincorrere parolacce, nudi e così via.  

Free speech vs anonimato

La cartina di tornasole del nuovo Twitter è costituita dallo sbarazzarsi o meno degli spam bot e dall’accertare con efficace e non sulla parola che ad ogni utente ammesso corrisponda una persona reale e responsabile, sia fisica o giuridica. È un proposito detto e ridetto da Musk, anche perché risolve alla radice le ansie di chi teme gli eccessi del free speech, responsabilizzando chi comunica rispetto alla certezza di pagarne il fio. Basti ricordare Alex Jones, che ha condotto una campagna contro i genitori dei bimbi uccisi nella strage a Sandy Hook additandoli come attori al servizio di provocazioni ostili all’industria delle armi. 

Allora non c’era ancora la “moderazione” che ci fosse stata, l’avrebbe forse imbavagliato. Ma è meglio che oggi sia stato condannato in un tribunale autentico a indennizzare con 965 milioni le sue vittime. Tanto per rendere chiaro ad hater e complottisti che gli conviene mordersi la lingua – dunque auto moderarsi – piuttosto che agire allo scoperto. In sostanza, stiamo a vedere se il social può essere diverso da quel che diventato nei suoi primi decenni di carriera. 

© Riproduzione riservata