Il raid israeliano sulla chiesa della Sacra famiglia nella Striscia, che ha provocato 3 morti e numerosi feriti, tra cui anche padre Gabriel Romanelli, rischia di far precipitare lo stato delle relazioni già fortemente danneggiato fra la Santa Sede e Israele. Il cardinale Pizzaballa entrerà a Gaza
L’attacco alla parrocchia di Gaza che ha provocato 3 morti e numerosi feriti, di cui alcuni gravi, rischia di far precipitare lo stato delle relazioni già fortemente danneggiato fra Santa Sede e Israele dalle critiche mosse dal Vaticano e da vari enti cattolici al governo Netanyahu in relazione al conflitto in corso.
l’appello alla comunità internazionale: arrestare questo assurdo e deplorevole bagno di sangue
È finito bruscamente, per Leone XIV, a poco più di due mesi dalla sua elezione, il tempo della riflessione e del credito internazionale dovuto al solo fatto di essere il nuovo capo della Chiesa universale. L’attacco dell'esercito israeliano alla chiesa della Sacra famiglia a Gaza, infatti, è uno di quegli eventi destinati a segnare il lungo conflitto che, dal 7 ottobre 2023, sta insanguinando la Terra santa. Si può anzi dire che dopo i colpi sparati da un tank delle forze armate di Tel Aviv contro la parrocchia di Gaza, il papa si trovi a dover affrontare la prima grave crisi del suo pontificato.
La notizia ha fatto irruzione nella mattinata di giovedì nel buen retiro del palazzo apostolico di Castel Gandolfo, scelto da Prevost per sfuggire al caldo di Roma, e anche alla pioggia di impegni ufficiali cui è sottoposto il papa; sulle rive del lago della cittadina dei Castelli romani, il pontefice cercava la quiete necessaria per mettere a punto le decisioni che inevitabilmente dovrà prendere per dare la propria direzione di marcia al governo della chiesa. Tuttavia, come spesso accade in questi casi, la cronaca non ha concesso tregua e ha presentato di fronte al nuovo pontefice uno scenario particolarmente drammatico.
L’attacco alla parrocchia di Gaza che ha provocato 3 morti e numerosi feriti, di cui alcuni gravi, rischia di far precipitare lo stato delle relazioni già fortemente danneggiato fra Santa Sede e Israele dalle critiche mosse dal Vaticano e da vari enti cattolici al governo Netanyahu in relazione al conflitto in corso. Certo, il papa nel telegramma di vicinanza e cordoglio, inviato a padre Gabriel Romanelli, titolare della parrocchia di Gaza e anche lui rimasto ferito, attraverso il suo segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ha evitato di citare esplicitamente Israele, preferendo parlare di «attacco militare alla chiesa cattolica della Sacra famiglia a Gaza».
«Cessate il fuoco»
Leone XIV ha poi rinnovato «il suo appello per un cessate il fuoco immediato» ed espresso «la profonda speranza in un dialogo, una riconciliazione e una pace duratura nella regione». Più esplicito l’Osservatore romano che, sotto il titolo – «Gaza, bombe sulla parrocchia» – citando l’Ansa, ha parlato di «un raid israeliano che aveva colpito la parrocchia». Il giornale vaticano ha inoltre riferito che, fra i feriti, risulta esserci «pure Suhail Abo Dawood, giovane giornalista e collaboratore del nostro giornale, ferito gravemente da una scheggia che gli ha perforato la schiena».
D’altro canto, la stessa diocesi di Roma, di cui il papa è comunque il titolare, rincarava la dose: «La strategia israeliana – si legge in un comunicato di giovedì mattina – non ha risparmiato neanche la parrocchia latina della Sacra famiglia». Continua il comunicato: «La Diocesi di Roma, invocando il dono della pace per quella terra martoriata e continuando a chiedere la liberazione degli ostaggi, si stringe in preghiera per le vittime, esprime la propria solidarietà alle loro famiglie e invoca la conversione dei carnefici».
E conclude: «Dopo 600 giorni di guerra e oltre 60mila morti palestinesi la comunità internazionale ha l’obbligo di adottare tutte le misure diplomatiche per arrestare questo assurdo e deplorevole bagno di sangue». Che la cosa fosse seria e non classificabile come uno dei tanti “errori” dovuti alla guerra combattuta fra le case, lo testimoniava la nota del portavoce del ministro degli Esteri israeliano rilanciata dall’ambasciata d’Israele presso la Santa Sede, nella quale fra le altre cose si affermava: «Israele esprime profondo dolore per i danni arrecati alla chiesa della Sacra famiglia nella città di Gaza e per le eventuali vittime civili». «Le Idf stanno esaminando questo incidente, le cui circostanze non sono ancora chiare, e i risultati dell'indagine saranno pubblicati in modo trasparente».
Nella serata di giovedì, anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha diffuso un comunicato esprimendo «profondo rammarico per il fatto che delle munizioni vaganti abbiano colpito la chiesa della Sacra famiglia di Gaza».
A Gaza con gli aiuti
Eppure, non solo non si trattava del primo attacco alla chiesa di Gaza (il precedente risale al dicembre 2023, in quell’occasione rimasero uccise 2 donne) ma lo stesso patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, aveva espresso i suoi dubbi sul fatto che si fosse trattato di un errore come dichiarato in un primo momento dall’esercito israeliano. «Bisogna capire cosa sia accaduto, cosa si deve fare, soprattutto per proteggere la nostra gente», ha detto Pizzaballa ai media vaticani, «noi abbiamo avuto due morti come cristiani, ma i morti a Gaza sono decine ogni giorno». Il cardinale ha poi lanciato un appello ai leader internazionali: che «facciano tutto il necessario per fermare questa tragedia, umanamente e moralmente ingiustificata».
Insieme al patriarca Teofilo, Pizzaballa venerdì mattina era in procinto di entrare a Gaza con un carico di 500 tonnellate di aiuti per la popolazione civile. Lo ha reso noto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha chiesto «a Israele di interrompere le azioni militari e di garantire in maniera totale la sicurezza dei due inviati nella loro importante missione».
Non va dimenticato che solo pochi giorni prima, il villaggio cristiano di Taybeh, in Cisgiordania, era stato preso di mira dai coloni israeliani. Violenze che avevano provocato la reazione dei vari leder cristiani di Terra santa, che affermavano: «Il Consiglio dei Patriarchi e Capi delle Chiese chiede che questi radicali siano chiamati a rispondere delle loro azioni dalle autorità israeliane, che ne facilitano e consentono la presenza attorno a Taybeh. Anche in tempo di guerra, i luoghi sacri devono essere protetti. Chiediamo un’indagine immediata e trasparente sul motivo per cui la polizia israeliana non ha risposto alle chiamate di emergenza della comunità locale e perché queste azioni abominevoli continuino a rimanere impunite».
Il clima generale dunque è questo, e ormai è chiaro che neanche i cristiani sono risparmiati dal conflitto.
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