Il pesce sta sparendo dalle tavole europee, con gli italiani che rinunciano al fresco per via dei prezzi troppo alti. Molti si orientano su surgelati e scatolame, ma anche l’aspetto e l’odore contribuiscono al rifiuto. Il sondaggio Eurobarometro conferma che il costo è l’ostacolo principale.
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Un aspetto non proprio dei migliori, e un odore non dei più gradevoli.
Prima ancora che dallo stomaco, il pesce non viene digerito da occhi e narici, e allora via, verso altre soluzioni culinarie. Per il pesce, in Italia come in Europa, c’è un problema di attrazione.
Ma ciò che allontana dal reparto di pescheria è lo scontrino.
Il fattore prezzo
È soprattutto il fattore prezzo a produrre il rifiuto per merluzzi, orate, calamari, vongole e quanto il mare più offrire. Così certifica Eurobarometro, in uno speciale sondaggio condotto per testare le abitudini di uomini e donne in materia di spesa e nello specifico il modo di relazionarsi con i prodotti ittici.
Nell’Unione europea, e ancor più nel Belpaese, sempre più consumatori, al momento di fare la spesa, rinunciano agli acquisti di mare.
Proprio così: ormai in Europa «il pesce puzza dal suo costo». Che si tratti di sogliola, pesce spada o polpo, le cifre risultano esorbitanti e questo induce sempre di più a rivedere il piano per il menù casalingo a causa dei listini.
Tante le domande poste ai cittadini dei 27 stati dell’Ue nel maxi questionario condotto tra il 12 settembre e il 10 ottobre 2024, che finisce col produrre un rapporto corposo di ben di 104 pagine. Tante, di conseguenza, le risposte fornite. Tra queste salta agli occhi quella sulla facilità di trovare pesce e molluschi a prezzi accessibili.
Solo la metà dei rispondenti (50 per cento, tra i convinti e tendenzialmente convinti) ammette che «sì», è facile trovare cozze, vongole, sogliole, trote e affini a buon prezzo.
Vuol dire che c’è una metà di europei che fa fatica ad andare in pescheria. Ciò è vero anche per gli italiani.
Appena il 49 per cento di loro dichiara di non avere problemi di portafogli quando si tratta di pesce. C’è dunque una metà del paese che invece trova difficoltà nel permettersi pietanze di mare a prezzi abbordabili.
Il carovita
Il risultato di questo nuovo lusso è una rinuncia, un cambio di abitudini alimentari non legate a cambi di regimi nutrizionali o dalla voglia di ricerca di nuovi gusti.
Il pesce piace, a ben vedere, è quanto costa che non piace.
Tanto che, continua il sondaggio di Eurobarometro, un cittadino europeo su due (49 per cento) tende a sostituire il pesce troppo caro con altre pietanze, tendenzialmente carne o altre fonti di proteine. Sacrifici figli di una riduzione del potere d’acquisto che vale soprattutto per croati e maltesi.
Ma anche gli italiani sono tra quelli che più ammettono di non comprare pesce a causa dei prezzi elevati e di mangiare altro (58 per cento, quinti nell’Ue per «digiuno di pesce»).
Del resto il consumatore ragiona in termini di convenienza e di prezzo, e gli europei non fanno eccezione. Al contrario, si presta attenzione, eccome, a quanto si chiede di pagare. Nel caso specifico, quasi otto europei su dieci (78 per cento) ammettono di aver notato aumenti nel costo di merluzzi, gamberetti, polpi e prodotti analoghi. Il senso di carovita si registra soprattutto nei Paesi del Mediterraneo: famiglie e acquirenti di Portogallo, Cipro, Grecia, Spagna, Francia e Italia hanno denunciato un rialzo del prezzo dei prodotti ittici.
Come cambiano i consumi
Per non rinunciare a pietanze comunque piacevoli al palato né ad abitudini comunque consolidate, in molti in Europa hanno modificato il concetto di pesce. I responsabili del sondaggio condotto per conto della Commissione europea rilevano come emerga una tendenza sempre più diffusa a comprare prodotti surgelati e in scatola. Nell’impossibilità economica di acquistare pesce fresco ci si sposta su quello non fresco o lavorato. Alla natura economica – più conveniente – della scelta si aggiunge anche il carattere pratico, poiché surgelati e scatolame hanno una durata di conservazione più lunga e richiedono meno tempo di preparazione. A rinnegare il pesce fresco e i frutti di mare appena pescati sono soprattutto gli italiani. Nello Stivale una persona su quattro (25 per cento) ammette di consumare regolarmente pesce surgelato almeno una volta alla settimana. È il terzo dato più alto dopo quello di Portogallo (39 per cento) e di Spagna (27 per cento).
La Commissione europea prende nota, e atto.
«Il costo del prodotto è diventato il fattore più influente per i consumatori europei quando acquistano pesce e frutti di mare», il commento reso a Bruxelles, con la promessa di lavorare a soluzioni che possano permettere di spostare verso il basso i listini ittici al mercato e al supermercato, per quello che può.
Perché quando si parla di carovita e, nel caso specifico, di caro-spesa di pesce, subentrano anche altre problematiche la cui risoluzione spetta ai governi nazionali.
Le pensioni sono una di quelle: a rinunciare al pesce sono «prevalentemente» i pensionati, per cui i prodotti di pescheria risultano troppo costosi a fronte di loro assegno previdenziale.
In Europa e in Italia si tende a mangiare sempre meno pesce perché costa caro, dunque.
Ciò non toglie che c’è comunque un disgusto visivo e olfattivo.
Tra quanti dichiarano di non scegliere menù di mare al ristorante o di non riempire il carrello con pesci e affini l’odore considerato sgradevole o l’aspetto non proprio dei migliore viene indicata come motivazione principale da quattro europei su dieci (41 per cento).
Nel caso dell’Italia il dato risulta sotto la media (34 per cento), ma evidenzia comunque l’esistenza di una repulsione nei confronti della fauna acquatica.
Un fenomeno, questo, oltretutto singolare per un paese come l’Italia bagnata dal mare su tre lati e che in termini di specialità di mare a tavola ha tanto da poter offrire.
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