Troppi insegnanti di sostegno precari, ha stabilito, unanime, il Comitato europeo dei diritti sociali; e un docente su tre non ha svolto la formazione necessaria. L'Italia viola il diritto di queste persone a guadagnarsi la vita con un lavoro intrapreso liberamente e quello degli studenti con disabilità ad avere un'istruzione inclusiva.

Questo ha deciso il Consiglio d'Europa circa il ricorso presentato dall'Anief contro l'Italia nel 2021. Il Consiglio peraltro riconosce che nel frattempo la situazione è migliorata, che il governo si è impegnato per far fronte alla crescente richiesta di sostegno.

Nelle scuole italiane infatti negli ultimi anni gli studenti con disabilità sono aumentati (nell'anno scolastico 2023/24 erano quasi 360.000), come anche gli insegnanti di sostegno.

Le misure da adottare

Il governo ha istituito una procedura straordinaria di assunzione per ridurre la precarietà; è stata incrementata l'offerta formativa per la specializzazione sul sostegno. Ma ancora non basta. Cosa si fa? Aumentare il numero dei docenti di sostegno, propongono alcuni – centomila entro il 2028. Ma può, deve essere questa l'unica soluzione? 

Il sostegno non è un'isola, afferma al punto due la mozione con cui si è concluso il recente convegno Erickson “La qualità dell'inclusione scolastica e sociale”. Bisogna riformarlo, ma bisogna riformare anche la didattica e la visione inclusiva della scuola italiana perché – questo lo aggiungo io – l'inclusione in Italia non si è ancora compiuta. In alcuni casi non si compie affatto, al di là delle buone intenzioni e dell'orizzonte tracciato quasi mezzo secolo fa. Nella realtà del lavoro scolastico trovano spazio prassi ufficiosamente separatiste, e soprattutto persiste un fraintendimento di fondo sul significato stesso della parola sostegno, sul senso dell'idea che quella parola esprime, o esprimeva, quindi sulla natura e sui compiti dei docenti di sostegno. Che non sono pari ai loro colleghi, i curricolari.

Il primo intervento

Ora, ufficialmente vale quanto sappiamo dal 1977, anno in cui furono abolite le classi differenziali e nacque la figura del docente di sostegno, circa i compiti del quale una successiva circolare ministeriale chiariva la necessità di evitare che «siano interpretati in modo riduttivo e cioè in sottordine all'insegnante di classe, come purtroppo sta avvenendo in qualche caso».

(Al tempo si parlava ancora di “alunni handicappati” o “portatori di handicap”, espressioni che oggi costerebbero la bocciatura agli specializzandi nei corsi disponibili al mercato della formazione. La correttezza politica della lingua che parliamo è cresciuta insieme alla nostra capacità di inverare le idee che sosteniamo: in maniera inversamente proporzionale).  

La legge del '77, precisava la circolare, non parlava di insegnanti di sostegno, ma di forme particolari di sostegno, di tipo e competenza diversa, e questa io credo sia una precisazione capitale, che conteneva tutta la sostanza: il sostegno non è compito di singole specifiche figure, ma riguarda tutti i docenti, anzi tutta la scuola, studenti compresi.

Aggiungo: la figura del docente di sostegno neanche dovrebbe esistere nella scuola che affermiamo di volere. La sua stessa esistenza ci dice che un'inclusione coerente e reale non esiste. Ma può esistere?

L’inclusione

Al momento abbiamo gli insegnanti di sostegno, che non sono uguali agli altri. Nessun comitato lo ammette, ma è quello che sperimentiamo ogni giorno. Quanti docenti di sostegno vengono coinvolti dai colleghi curricolari nella progettazione della didattica o nella valutazione degli studenti con disabilità?

Quanti vengono interpellati dai genitori degli studenti non disabili con cui pure trascorrono molte ore in classe?

Quanti si sentono riconosciuti come insegnanti a tutti gli effetti da quegli stessi studenti a cui non assegnano voti (vera cartina di tornasole del “potere” del docente, o della sua autorevolezza – un'altra parola su cui bisognerebbe cercare di intendersi)?

Una disciplina

Il sostegno è considerato una disciplina, come la matematica, l'italiano o l'inglese, non uno strumento che può e deve essere utilizzato da tutti. Così i docenti si riuniscono nel loro apposito dipartimento, dove discutono di procedure studiate appositamente per loro e i “loro” studenti e, qualche volta, si leccano le ferite. Dove si ratifica il regime di separazione che esiste ancora nella scuola italiana – con il consenso di tutti, s'intende. Delle presunte vittime, quei docenti di sostegno che spesso siedono accanto agli studenti da loro “assistiti”, prendono appunti con diligenza, preparano mappe, schemi o riassunti, accettano il ruolo di confessore, assistente psicologico o para-infermiere e a volte aspettano che trascorra il purgatorio del vincolo quinquennale per passare alla materia e diventare finalmente anche loro “veri” insegnanti.

E degli altri, di tutti gli altri: i colleghi curricolari che tirano dritto fino alla meta (la conclusione del programma, l'espletamento delle verifiche, la realizzazione delle decine di progetti che grandinano nelle scuole un anno dopo l'altro); i genitori degli studenti che non hanno bisogni educativi speciali (ce ne è ancora qualcuno? può esserci in una scuola dove lo spazio della neuropsichiatria cresce esponenzialmente?); gli studenti stessi, che hanno sostituito gli insegnanti quale centro del processo educativo (di cui bisognerebbe ripensare, con maggior immaginazione, anzitutto la geometria).

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