In Germania cresce il mercato dei vini senza alcol, tra innovazione tecnologica, tradizione e una legislazione favorevole. Mentre in Italia si continua a ostacolare la produzione, i produttori investono all’estero
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani, sullo sfogliatore online e in edicola
Esigenza di mercato e grande esperienza nel settore tecnologico. Sono questi i fattori che guidano la leadership tedesca nel settore dei vini e spumanti dealcolati. Ma cosa sono?
«Il vino dealcolato è un vino che, dopo il normale processo di fermentazione, subisce un secondo processo di lavorazione per perdere l’alcol, come ad esempio il riscaldamento a 26-28°C, che lo fa evaporare», racconta Gunther Holzl, titolare della Meraner Weinhaus, azienda che importa e distribuisce numerosi vini tedeschi e dell’Europa continentale in Italia, tra cui anche i dealcolati.
Le tecniche di dealcolazione possono essere diverse, dal cono rotante fino alla filtrazione a membrana con osmosi inversa e alla distillazione sottovuoto, ma non i numeri che certificano il successo di questo settore nel paese: nel 2024, secondo i dati del Deutsches Wein Institut, il volume di acquisto dei vini dealcolati è aumentato dell'86 per cento rispetto all'anno precedente, con un incremento del 68 per cento in valore.
Un incremento che si registra anche nella base di acquirenti, pari al 17 per cento, e nella quota di mercato, che ha raggiunto circa l'1,5 per cento del totale del mercato vinicolo tedesco.
Stesso discorso per quanto riguarda gli spumanti: i numeri dell’Associazione delle cantine tedesche di spumante raccontano come, nel 2023, i tedeschi abbiano acquistato circa 18 milioni di bottiglie, un dato che certifica un aumento delle vendite del 9,7 per cento, rispetto al 2022, e della quota di mercato, che arriva al 7,4 per cento.
Dati che si aggiungono a quelli delle birre analcoliche, antesignane di una moda oggi ormai sdoganata: se all’inizio, negli anni Ottanta e Novanta, questi prodotti vennero accolti male, oggi l’opinione dei consumatori tedeschi è radicalmente cambiata grazie anche al lavoro dei birrifici teutonici su prodotti di qualità.
La Germania detiene il 22,8 per cento del mercato europeo dei vini e delle birre dealcolate e il futuro è chiaramente dalla parte di questo settore, visto che a livello mondiale è previsto che il mercato dei vini analcolici raggiunga i 2,48 miliardi di euro entro il 2031, con una crescita annuale dell'11,6 per cento secondo la società californiana Meticolous Research. Ma da cosa deriva questa leadership tedesca?
«Il concetto di dealcolato è nato in Germania già cento anni fa, quando furono creati i primi prodotti ed esportati negli Stati Uniti durante gli anni del proibizionismo, quando era impedito il consumo di alcol. Dopo decenni di oblio, da 10 anni sono tornati forte» sottolinea Holzl. Un fattore, più che una moda, che sembra destinata a restare.
«I giovani, soprattutto tra i 20 e i 30 anni, tendono a consumare meno alcol e questo implica una maggiore ricerca di prodotti zero alcol oppure alternativi, come i fermentati quali gli sparkling tea o le kombucha. Una voglia di bere in modo moderato che credo resterà, anche se sarà sempre una quota minoritaria rispetto ai prodotti alcolici tradizionali», rimarca Holzl.
Il racconto del produttore
Tra i maggiori produttori tedeschi nel settore dei vini dealcolati c’è la Leitz Weingut, storica cantina di Rheingau nel cuore dell’Assia, in Germania, area vocata per la produzione dei Riesling. Se oggi è conosciuta il merito è di Johannes Leitz, che nel 1985 rilevò una proprietà di appena 2,5 ettari e che oggi ne conta invece ben 160, la quinta azienda vinicola più grande della Germania.
«Oggi i nostri vini più conosciuti sono Riesling Eins-Zwei-Dry e il Riesling “Magic Mountain”, ma anche i vini VDP.Grosses Gewächs provenienti dal Berg Schlossberg e dal Berg Kaisersteinfels sono molto conosciuti e apprezzati» racconta Jan Schimdt, managing director dell’azienda.
L’idea dei vini dealcolati venne nel 2015, «durante un viaggio in Norvegia, quando uno chef locale chiese a Johannes Leitz un succo d'uva di qualità superiore per il suo ristorante stellato Michelin: oggi 40 dei 160 ettari sono dedicati alla produzione di vini dealcolati» evidenzia Schimdt. Così, «dopo un primo esperimento nel 2016 con un vino base di alta qualità, di cui siamo rimasti subito entusiasti, è nato l’equivalente analcolico del nostro vino base più noto, l'Eins-Zwei-Dry. Oggi abbiamo 12 diversi prodotti dealcolati».
Un cambiamento che non è certo una moda passeggera per Schimdt: «È importante offrire un'alternativa che dia alle persone la sensazione di poter mantenere i loro soliti "rituali" in una comunità o in un ambiente raffinato senza dover consumare alcol: per questa ragione riteniamo fondamentale offrire questa “transizione” ai clienti attuali. Anche se tra qualche anno prodotti completamente nuovi potrebbero dominare il mercato, bevande come il vino analcolico e la birra analcolica manterranno il loro posto».
Le differenze tra Italia e Germania
A produrre in Germania c’è poi anche uno dei volti del vino dealcolato in Italia, Martin Foradori Hofstätter, alla guida della tenuta altoatesina J. Hofstätter, realtà familiare dalla tradizione centenaria che si trova a Termeno/Tramin. «In Alto Adige raccogliamo uve da circa 60 ettari di vigneti di proprietà, a cui si aggiungono uve da ulteriori 70 ettari di vignaioli della zona nel processo di vinificazione. Nella zona siamo conosciuti soprattutto per la varietà di Pinot nero ma in famiglia abbiamo sempre avuto un grande amore per il Riesling: per questo, dal 2014, abbiamo deciso di investire nella zona della Mosella e in particolare nella cantina Dr. Fischer, a Kanzem, nella regione della Renania Palatinato», racconta Foradori Hofstätter.
Il passaggio ai vini dealcolati è stato fatto comprendendo come i tempi siano cambiati. «Basta guardare i consumi pro capite di vino degli ultimi dieci anni per capire come qualcosa non stia funzionando. La scelta di produrre dealcolati nasce quasi per caso: mio figlio ha studiato viticoltura in Germania e lì ha conosciuto un ragazzo proveniente da una famiglia che li produceva già da dieci anni. Nel 2019 ha portato qualche bottiglia e sono rimasto a bocca aperta: non è naturale che un vignaiolo abbia grande stima di un dealcolato!» rimarca il titolare dell’azienda.
Così, «a partire dall’anno seguente, abbiamo iniziato a produrre le nostre prime bottiglie, gli Steinbock Riesling Zero, mentre da quest’anno abbiamo iniziato a produrre i Dr. Fischer Sparkling Zero. Le basi alcoliche di questi prodotti sono differenti: i primi vengono dealcolati da Riesling “classici”, mentre il Dr. Fischer Zero viene lavorato da un Riesling Kabinett, un prodotto superiore. A essere più vendute sono soprattutto le bevande frizzanti: su dieci bottiglie vendute, nove hanno le bollicine, mentre una è ferma» evidenzia Foradori Hofstätter.
Ma quali differenze ci sono tra Italia e Germania? «A livello legislativo l’Italia è nel Medioevo: negli ultimi anni la filiera italiana, dalla Coldiretti fino al ministero dell’Agricoltura, hanno cercato di mettere più paletti possibili nella produzione di vini dealcolati. Non bastano i recenti decreti-legge, in Italia non possiamo ancora produrre con tranquillità questi prodotti. In Germania tutti questi inghippi legislativi invece non ci sono» denuncia il proprietario della tenuta J. Hofstätter.
A fare la differenza, tra l’Italia e il resto del mondo, è in particolare un fattore. «All’Italia manca soprattutto l’esperienza. E questo non solo rispetto alla Germania ma anche ad altri paesi, come la Francia. Cosa ne sappiamo noi di come si dealcola un Nebbiolo, un Sangiovese oppure un Fiano? Abbiamo perso troppo tempo» continua Foradori Hofstätter, che poi lancia una provocazione.
«Oggi in Italia si parla di sovrapproduzione e ci sono voci di estirpo dei vigneti per stabilizzare la produzione ma, intanto, c’è chi è contro il dealcolato che comunque fa parte della filiera. Per questo al Vinitaly ho lanciato un messaggio: il vero nemico del vino non sono i dealcolati, contro cui si è iniziata una battaglia sbagliata, ma le bevande analcoliche e i cocktail. Per salvaguardare questi prodotti e dare un valore aggiunto alla categoria credo sia necessario aprirsi anche alle denominazioni di origine controllata».
© Riproduzione riservata