Omicidio colposo, è questo ciò che la Procura di Roma contesta a Rocco Leone e Mansour Rwagaza, due funzionari del Programma alimentare mondiale (Pam), accusati di gravissime inadempienze nella vicenda che ha condotto alla morte in Congo l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo,  il 22 febbraio del 2021. Il rinvio a giudizio dei due dipendenti Onu, deciso dal procuratore di Roma Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Sergio Colaiocco, arriva a nove mesi esatti dalla chiusura delle indagini preliminari e la loro iscrizione nel registro degli indagati. Le accuse a loro carico sono pesanti. 

La missione in Congo

Nell’organizzazione della missione che avrebbe dovuto portare il nostro diplomatico da Goma a Rusthuru per un’ispezione a un progetto Pam finanziato dall’Italia, Leone e Rwagaza – si legge nelle carte - avrebbero «attestato il falso» e «omesso per negligenza ogni cautela idonea a tutelare l’integrità fisica dei partecipanti e di informare cinque giorni prima del viaggio la missione di pace Monusco preposta alla sicurezza e alla predisposizione di scorta armata e veicoli corazzati».

In altre parole, i due avrebbero presentato la richiesta di autorizzazione solo 12 ore prima  della partenza e non 72 come da protocollo del Dipartimento di sicurezza Onu. Con così breve tempo, il permesso può essere rilasciato solo a personale Pam: per ottenerlo i due avrebbero dichiarato il falso e fatto comparire i nomi di due dipendenti dell’organismo Onu al posto di quelli di Attanasio e Iacovacci.

Ma la cosa ancora più grave è che i due dirigenti avrebbero omesso, in piena violazione dei protocolli Onu, di informare cinque giorni prima del viaggio, la forza di pace delle Nazioni unite, Monusco, che si occupa delle sicurezza e, in caso di rischi, di predisporre una scorta armata e veicoli blindati.

Il ritardo nella comunicazione, sembra doversi ascrivere all’intenzione dei due di aggirare la burocrazia interna che prevede l’assegnazione di una sola macchina quando il preavviso è così breve.

Se i nostri due connazionali, quindi, hanno viaggiato a bordo di veicoli normalissimi senza protezione, su una strada tra le più pericolose del continente  dichiarata inspiegabilmente “green”, lo si deve a Rwagaza che ha eseguito e a Leone che, in qualità di suo superiore, ha avallato i procedimenti messi in atto.

Quando – come evidenziato dagli atti dell’inchiesta della Procura di Roma – una moto ha affiancato le auto del convoglio, i componenti erano assolutamente impreparati e sprovvisti di protezione.

Immunità diplomatica

L’accertamento della verità e l’audizione dei due indagati, però, con una certa probabilità non avverranno mai. I due funzionari, in qualità di dipendenti di un organismo delle Nazioni unite, come già fatto comprendere in varie occasioni da quando sono stati iscritti nel registro degli indagati (a giugno 2021 Rwagaza e a febbraio 2022 Leone), si appelleranno alla immunità diplomatica che viene garantita a questo genere di lavoratori.

Dalla parte dei nostri inquirenti c’è il fatto che i due non sono mai stati accreditati presso lo stato italiano e che quindi non potrebbero godere di tale immunità. Il Pam risponde che i i funzionari, operando in Congo, avevano l’obbligo di accredito solo presso il ministero degli Esteri di Kinshasa.

I nostri rispondono che avendo sede a Roma, il Pam è tenuto a presentare ufficialmente e ottenere il riconoscimento delle credenziali dei propri dipendenti presso lo stato italiano. Difficile prevedere chi l’avrà vinta anche se nell’ambiente non filtra ottimismo.

«Certamente – dichiara Salvatore Attanasio, il padre dell’ambasciatore –  questo è un punto fermo nella ricerca della verità. Per quanto riguarda il Pam, non so come reagirà. Di fronte a una richiesta di immunità, chiediamo alle nostre istituzioni fermezza. Luca e Iacovacci erano due rappresentanti dello stato che meritano rispetto e ricerca della verità senza la quale non potrà esserci giustizia».

Nel frattempo, lo scorso 12 ottobre, si è aperto a Kinshasa presso il tribunale militare (perché le armi utilizzate sarebbero «da guerra»), il processo a carico di sette presunti organizzatori ed esecutori dell’attentato.

Alla sbarra sono comparsi solo cinque degli accusati (uno è latitante e uno è morto). Il processo che si aggiorna ogni mercoledì e che vede la presenza in aula del nuovo ambasciatore Alberto Petrangeli, si annuncia molto complicato. Nel corso della terza udienza, mercoledì 26 ottobre, Issa Seba Nyani, uno degli indagati, ha affermato in lingua lingala, di essere stato costretto a confessare «perché ripetutamente torturato dalla polizia».

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