Su 24 dicasteri, 18 sono presieduti da uomini. Delle 177 rappresentanze italiane nel mondo, solo il 15,6 per cento è affidata a un’ambasciatrice, secondo il report “Sesso è potere”. Chiara Bottici, saggista e professoressa di Filosofia alla New School for Social Research di New York: «Non è un caso che la prima premier sia stata eletta in un partito che si chiama Fratelli d’Italia»
Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha detto che il patriarcato è finito nel 1975. Eppure le sue affermazioni sono state smentite non solo dai movimenti femministi, ma anche dalla realtà dei dati. Gli ultimi sono stati presentati dalle associazioni info.nodes e onData nella nuova edizione del report “Sesso è Potere”, che indaga le diverse opportunità di accesso ai ruoli di comando per gli uomini e le donne. La risposta, negli anni, non è cambiata: il potere è in mano agli uomini.
I posti del potere maschile
Il report ha analizzato un totale di 128.093 posizioni di potere: 83.379, il 65 per cento, sono occupate da uomini, a partire dal parlamento. Oltre alla presidenza del Consiglio, affidata a Giorgia Meloni, l’attuale governo è composto da 24 ministeri, di cui 18 presieduti da uomini e 6 da donne.
Delle 177 ambasciate italiane nel mondo, riportate sul sito della Farnesina, solo 24, cioè il 15,6 per cento, sono affidate a una donna. Anche per comuni e regioni, la situazione di disparità è ampia: dei 7.772 comuni analizzati, solo in 1.194 casi (15,4 per cento) è stata eletta una sindaca. Nei ruoli elettivi delle regioni italiane troviamo solo il 25,2 per cento di donne e presidenti di regione, che sono appena 2 su 20.
Nelle prime 50 aziende per capitalizzazione, quotate nella Borsa di Milano, si trovano solamente due donne Ceo (4 per cento). Per le società partecipate o controllate dal Mef, il ministero dell’Economia e delle Finanze, la situazione non è migliore: solo 6 donne ricoprono il ruolo direttivo apicale, pari al 15 per cento.
Anche nel mondo accademico il quadro è impietoso: su 85 atenei italiani analizzati, solo in 17 casi vi è una rettrice donna (20 per cento). I settori che più risentono della messa al bando delle donne, sono quelli relativi al potere economico, ma anche i dati del potere nei media sono fortemente scoraggianti. In Italia, tra le 50 principali testate giornalistiche, solo Agnese Pini e Nunzia Vallini ricoprono il ruolo di direttrici di giornale. Mentre per il mondo televisivo, dei 10 telegiornali analizzati, il numero di donne alla direzione è pari a zero.
Disparità strutturali
Donata Columbro, giornalista e attivista di onData, osserva che negli ultimi anni «non è insolito leggere commenti online di persone che negano l’esistenza di disparità strutturali che impediscono alle donne di occupare posizioni di potere».
Columbro fa notare i luoghi comuni che si rincorrono sul tema: «“Se abbiamo una donna premier tutto è possibile” o se abbiamo una scienziata italiana nello spazio “il soffitto di cristallo è abbattuto”, e così via. In realtà, anche solo il dato sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro – il 52,5 per cento contro la media Ue del 65,7 per cento nel 2023 – potrebbe darci risposte utili».
Andando a capire perché le donne si fermano a occupare posizioni che da qualche decennio sono state definite di middle management, ovvero di livelli dirigenziali intermedi, Columbro spiega: «Anche se le aziende adottano policy di diversity e inclusione se non cambia la struttura stessa del lavoro è inevitabile che a salire nei ruoli di potere e decisionali siano gli uomini».
Se non viene concesso il congedo parentale dei padri oltre i 10 giorni, gli uomini «avranno meno responsabilità familiari e saranno quelli che potranno dare più disponibilità nei vari settori lavorativi». Emblematico fu, per Columbro, «lo studio che dimostrava che durante il lockdown erano aumentate le pubblicazioni accademiche dei maschi, perché probabilmente le ricercatrici donne erano occupate a tenere i bambini a casa da scuola».
Uomocrazia
Chiara Bottici è saggista e professoressa ordinaria di Filosofia alla New School for Social Research di New York, dove co-dirige il Gender and Sexualities Studies Institute.
A Domani racconta che la presenza di una o due donne al vertice del potere crea l’illusione che le cose siano cambiate: «Si tratta del noto fenomeno dell’ape regina: entrando nell’alveare e vedendo l’ape regina che comanda si potrebbe pensare che tutte le altre api sono egualmente libere, mentre l’intero alveare si regge completamente su logiche di sfruttamento e oppressione ancora più feroci».
Per Bottici è una storia che si ripete: «Avere Thatcher al governo non ha fatto niente di buono per le donne così come il governo Meloni non fa che rafforzare l’uomocrazia su cui si regge questo paese». Non è un caso che la prima premier donna «sia stata eletta in un partito che si chiama Fratelli d’Italia e che il suo governo sia costituito da così tanti maschi».
L’uomocrazia, per Bottici, si declina anche quando non ci sono patriarchi: «Anche laddove le forme più antiche di patriarcato sono state messe in discussione e tutti si auspicano un’uguaglianza di genere, il privilegio maschile può continuare a prosperare».
I dati parlano chiaro. Governi, parlamenti, comuni, i vertici delle istituzioni statali sono ancora in mano agli uomini: «Non è un’esagerazione dire che lo stato sovrano è uno strumento del sesso sovrano. Le donne vengono fatte entrare in posizioni inferiori nel mercato del lavoro ma non ai suoi vertici: più ci si muove verso l’alto più spariscono». Per Bottici bisogna cambiare la cultura per cambiare la società, e viceversa: «Non si può essere libere se tutte le altre donne intorno a noi sono oppresse».
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