Al governo non è bastato colpire il sistema di salute pubblica tra autonomia differenziata, liste d’attesa infinite, spesa sanitaria bassissima e porte spalancate ai privati. Adesso mette i bastoni tra le ruote anche ai pazienti oncologici che richiedono il Fine vita, facendo l’ennesimo regalo alle compagini confessionali anti scelta.

Fedeli alla linea

«Con circa 4mila morti l’anno in Italia per suicidio è assurdo che la politica voglia legiferare sulla morte medicalmente assistita, ignorando questa piaga e incentivando la morte di stato». Le dichiarazioni del presidente di Pro vita e famiglia Antonio Brandi nella giornata di prevenzione al suicidio, sono servite da apripista ai successivi emendamenti di maggioranza.

Alcuni di questi presentati dal senatore di Fdi Ignazio Zullo che, come aveva raccontato Domani, portò i saluti istituzionali alla presentazione, al senato, del terzo rapporto dell’osservatorio confessionale antiabortista Opa sui “Costi dell'aborto indotto e i suoi effetti sulla salute delle donne”. Il tutto mentre da nove mesi si attendeva che il ministero della Salute presentasse il rapporto sull’applicazione della legge 194; giunto dopo undici mesi di battaglie dentro e fuori il parlamento.

Ancora una volta il governo si lascia spianare la strada dagli anti scelta: giovedì 11 settembre, si sono riunite le commissioni Giustizia e Affari sociali dove i senatori di maggioranza Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e Ignazio Zullo (Fratelli d'Italia) hanno presentato sette nuovi emendamenti al disegno di legge sul Fine vita che da mesi è all'esame del Senato. Tra quelli che fanno più discutere, c’è l’esclusione del ruolo del Sistema sanitario nazionale (Ssn) nel fine vita. Si prevede infatti che «il personale in servizio, le strumentazioni e i farmaci di cui dispone a qualsiasi titolo il servizio sanitario nazionale, non possono essere impiegati per agevolare l’esecuzione del proposito suicidario». Una linea durissima, che esclude completamente il sistema sanitario a vantaggio delle strutture private.

Emendamenti 

Un emendamento in particolare, inoltre, rivela dell’altro: «In nessun caso la legge riconosce alla persona il diritto a ottenere aiuto a morire». Nessuna eutanasia e nessun diritto garantito. Solo la possibilità, con dettami molto stringenti, che chi agevola il suicidio di una persona gravemente sofferente non sia punibile.

Matteo Mainardi, consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni e responsabile iniziative Fine vita, racconta che quanto accaduto in Senato è «un ulteriore passo indietro sui diritti alla fine della vita. Gli emendamenti approvati arrivano a negare esplicitamente il diritto all’aiuto a morire, in contrasto con le pronunce della Corte costituzionale che hanno riconosciuto la non punibilità di chi presta assistenza a determinate condizioni».

L’esperto ricorda che si allungheranno anche i tempi, fino a cinque mesi, «per avere risposte da parte degli organi di valutazione: un tempo che i malati che chiedono di accedere a queste procedure spesso non hanno davanti a sé e soprattutto un tempo immotivato dato che le esperienze della regione Toscana confermano che è possibile completare le verifiche in 30 giorni e che queste in Emilia Romagna si riescono a completare in 42 giorni».

C’è poi l’estrema gravità nel voler escludere il ruolo attivo del Servizio sanitario nazionale, che «rende il percorso accessibile solo a chi ha risorse economiche e conoscenze personali dirette di con medici disponibili, lasciando gli altri alla disperazione del suicidio privato, della morte in esilio in Svizzera o della morte tra sofferenze ritenute, e in questo caso verificate dal Ssn, come intollerabili».

Invece di garantire procedure chiare, sicure e pubbliche, il Parlamento «sta costruendo ostacoli che negano dignità e uguaglianza ai cittadini nel momento più delicato della loro vita». Il Senato, al momento, ha deciso di prendere ulteriore tempo per questa discussione, con un rinvio al 23 settembre per il deposito dei subemendamenti prima della votazione finale. «Dopo 7 anni dal primo richiamo a legiferare da parte della Consulta – conclude Mainardi –  sorprende vedere un simile testo in Senato e simili tempistiche».

La strategia di governo si conferma quella di continuare a fare da megafono alle compagini anti scelta, trasformando le loro parole d’ordine in emendamenti orientati a rendere ancora più difficile la strada per i diritti delle cittadine e dei cittadini di questo paese.

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