Domani è salito a bordo di Colibrì-2, il bimotore utilizzato dall'ong francese Pilotes Volontaires per sorvegliare il tratto di mare davanti alla Libia . Migranti respinti in Libia o lasciati morire in mare, spari sui barconi, violenze e un Mediterraneo sempre più svuotato dalle navi delle ong. Da dicembre il bimotore Colibrì-2 supporta dal cielo i soccorsi nel Mediterraneo centrale. Ogni settimana è testimone di respingimenti operati dalla guardia costiera libica sotto il coordinamento del Mrcc di Roma.

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«Controllo di Tripoli? Rimaniamo in aereo per circa tre ore». Ricevuto l'ok via radio, il pilota Jose Benavente scende ad una quota di 1.500 piedi (500 metri) sopra il Mediterraneo centrale. È una giornata di luglio. Nella piccola cabina del Colibrì-2 ci sono circa 40 gradi. La missione del bimotore utilizzato dall'ong francese inizia a poche miglia dal giacimento offshore nel Mediterraneo, Bouri Field, a 120 chilometri nord della costa libica. E solo 30 minuti di volo da Lampedusa.

Per quasi sei ore di seguito, i volontari francesi sono aggrappati ai binocoli, osservano incessantemente le onde del Mediterraneo centrale, alla ricerca del più piccolo punto tra le onde. Avanti e indietro, senza sosta né scalo. La luce del sole si riflette sul Mar Mediterraneo. Il bimotore a elica da turismo dall'azienda austriaca Diamond Aircraft - lo stesso modello DA-42 utilizzato anche da Frontex , l'Agenzia europea delle frontiere - continua a zigzag oppure «a pettine», per scandagliare il mare.

I volontari francesi sono pronti a segnalare imbarcazioni in difficoltà, ma anche la presenza di mezzi militari o cargo. A bordo, oltre al pilota, c'è un altro giovane volontario francese: Luis. Si occupa della coordinazione e comunicazione con l'equipe a terra. «Ho qualcosa a 240 gradi». La voce del pilota, Jose ripete le coordinate: 33° 27' N, 011° 57' E. Un barcone blu di legno trasporta almeno trecento persone.

La Ocean Viking di Sos Méditerranée è in zona. Si è appena concluso un salvataggio a poco più di 60 miglia di distanza. Qualche giorno prima, l'ong aveva portato a bordo altri naufraghi: due disabili, tra cui un ragazzo paralizzato dalle gambe in giù in viaggio con la sua sedia a rotelle. Poi altri nuclei familiari con bambini piccoli, donne incinte. Sei salvataggi operati dalla nave di Sos Méditerranée in 4 giorni.

All'orizzonte anche la motovedetta libica 648 Ras Jadir, una delle Bigliani della guardia di finanza italiana (ex G86 Buoncore) dona dall'Italia a Tripoli. La stessa che qualche giorno prima - come si vede in un video realizzato dall'equipaggio di Sea Watch - aveva speronato e attaccato un barcone di migranti . I libici sono a 37 miglia nautiche dal barcone in legno: «33° 30' N, 012° 39' E», ripete il pilota in volo. Ma la vedetta libica punta verso Tripoli.

I piloti francesi sono costretti a rientrare. Le ore di volo stanno per esaurire. Con il binocolo sempre davanti agli occhi, le cuffie alle orecchie per le comunicazioni interne e il walkie talkie in mano, Jose continua a scrutare l'orizzonte. Intercetta la Ocean Viking, in direzione dell'ultima posizione comunicata al centro di coordinamento marittimo di Roma (Mrcc). Ci vorranno altre tre ore di navigazione per raggiungere le 369 persone in balia delle onde.

«Era buio. Il mare e il cielo avevano esattamente lo stesso colore». I soccorritori della Ocean Viking sono esausti. Oltre 5 ore di trasferimento con piccole zattere di salvataggio. «Ho visto la morte», racconta un uomo egiziano partito da Zwara e da poco salito a bordo con una grave ferita d'arma da fuoco al piede. All'alba a bordo della Ocean Viking ci sono 572 persone, tra i quali 183 minori. E oltre 26 nazionalità: Bangladesh, Egitto, Eritrea, Sudan e Sud Sudan, Libia, Siria.

Migranti lasciati morire in mare

«Siamo qui per aiutare nelle operazioni di “ricerca e soccorso”, ma siamo anche testimonianze di operazioni di “ricerca e respingimento” verso la Libia, complice l'Italia e le autorità europee», racconta Jose. Da dicembre 2020, il velivolo dell'organizzazione francese sorvola e monitora i soccorsi nel Mediterraneo per agevole le operazioni di salvataggio, velocizzando le segnalazioni per aiutare dal cielo le navi di soccorso. L'idea di fondo è che setacciare il mare da un aereo che sorvola l'acqua a bassa quota è decisamente più facile rispetto a un'osservazione fatta dal ponte di una nave.

Quest'anno, i piloti francesi hanno accumulato oltre 500 ore di volo sul Mediterraneo, affiancati anche dal bimotore Seabird e dal piccolo aereo da riconoscimento Moonbird gestito dalla Ong tedesca Sea Watch. Questi piccoli aerei controllano, dal 2017, le posizioni dei barconi di migranti nel Mediterraneo e avvertono le ong umanitarie in caso di naufragi.

In passato, i problemi con l'Ente nazionale per l'aviazione civile italiano non sono mancati. Come per le navi delle ong i provvedimenti di fermo sono rimasti totalmente infondati, e successivamente revocati. Il tentativo, secondo il pilota Benavente, è allontanare dal Mediterraneo tutti i testimoni civili.

Il mare svuotato dai mezzi di soccorso

Sullo stesso tarmac dell'aeroporto di Lampedusa, a pochi passi da Colibrì-2, il velivolo della marina polacca, soprannominato pirate: un vecchio Antonov grigio An-28; oggi in assetto IRINI. Se da un lato il mare è stato svuotato dai mezzi di soccorso, ci sono rimasti gli assetti aerei IRINI di Eunavfor Med e, dell’operazione Themis (ex operazione Triton) di Frontex, l’Agenzia per il controllo delle frontiere dell’Unione.

La direzione scelta dall’Ue e dal Governo italiano, è chiara. Dopo gli aerei, ora ci sono i droni. A febbraio, Leonardo Spa (ex Finmeccanica) si è aggiudicata un appalto del ministero dell’Interno italiano per il noleggio di un drone al costo di 6,9 milioni di euro annui. Droni ed elicotteri utilizzati anche da Frontex e già sperimentati in attività di sorveglianza marittima ed intercettazioni nel luglio del 2019.

E ancora, recentemente, airbus, il conglomerato europeo dell'industria aerospaziale e della difesa e due compagnie di armamenti israeliane (la Israel Aerospace Industries di proprietà statale e l'azienda israeliana produttrice di armia Elbit Systems) si sono aggiudicate cento milioni di euro per pattugliare le frontiere marittime «esterne» con i droni militari Heron 1, già utilizzati nel 2008 durante l'operazione Piombo Fuso a Gaza. Con un'autonomia di volo di ore ad un'altitudine di 35mila piedi, i droni raggiungere la guardia costiera libica ad intercettare quante più persone possibili al largo.

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