Domenica scorsa, mentre stava presentando in diretta su Zoom il suo nuovo libro “La generazione del deserto”, edito da Manni, la scrittrice e giornalista Lia Tagliacozzo è stata vittima di insulti antisemiti e minacce, condite da svastiche, slogan fascisti e immagini di Adolf Hitler. La sua “colpa”? Aver scritto un libro sulla memoria della Shoah e l'uso che di quella memoria si può fare oggi come strumento di civiltà. A raccontarlo sono stati i due figli dell’autrice, che su Facebook hanno scritto che non si è trattato di odiatori solitari, ma di un gruppo che aveva premeditato l’intrusione. 

«Un gruppo di persone organizzate - ha scritto la figlia Sara De Benedictis, 20 anni, sui social – sono entrate in massa nella riunione Zoom della presentazione, mentre stava parlando mia madre. Zittendola. Hanno iniziato ad urlare "ebrei ai forni", "sono tornati i nazisti" ,"vi bruceremo tutti", "dovete morire tutti". Impostando come foto identificativa immagini di Hitler e svastiche enormi». Così, in pochi minuti, l’incontro online organizzato dall'Istituto piemontese per la storia della Resistenza in collaborazione con il Centro di Studi ebraici di Torino si è trasformato in un’incursione violenta, su cui adesso stanno indagando la polizia postale e la procura di Torino.

«I nazisti mi sono entrati in casa un'altra volta – ha commentato Tagliacozzo in un’intervista a Repubblica – come fecero quando bussarono a questa stessa porta, il 16 ottobre del '43 durante il rastrellamento del Ghetto, per portare via la mia famiglia, dimezzata nei campi di concentramento». 

«Mi era già successo – ha scritto ancora la figlia Sara – in altri contesti non ebraici di trovarmi in situazioni di tensione e anche di scontro con gruppi fascisti e neonazisti. Questa volta è stato diverso. Questa volta era diretto proprio a me, proprio a "noi", per il fatto di essere ebrei. Non mi era mai successo. Non così. Non mi hanno mai augurato di finire nei forni. Non davanti alla mia mamma. Oggi ho capito quanto sia importante non chinare la testa, costruire un mondo in cui i fascisti che mi vogliono nei forni spariscano».

Dopo lo stupore iniziale, la presentazione è andata avanti: il gruppo di neofascisti, infatti, è stato poi allontanato dalla videoconferenza. «È stato scioccante – ha concluso Sara – ma non ci hanno fermato. Abbiamo continuato a parlare, a ragionare. Mentre loro, dopo due minuti, sono stati allontanati: loro hanno perso, noi abbiamo vinto».

Lo zoombombing

Recentemente è stato coniato un neologismo per identificare le incursioni improvvise su Zoom: “zoombombing”, un termine che richiama il “photobombing”, ovvero la pratica di inserirsi improvvisamente nelle foto altrui in modo scherzoso. Ma nelle invasioni neofasciste su Zoom, negli slogan antisemiti e nelle minacce non c’è nulla di esilarante.

Ed è qui che subentra un tema molto discusso nelle ultime settimane, da quando orde di sostenitori pro-Donald Trump hanno invaso il Congresso americano prendendo un po’ troppo alla lettera gli inviti del presidente americano uscente a non accettare passivamente il risultato delle urne, che hanno premiato Joe Biden. Facebook e Twitter, infatti, hanno deciso di sospendere gli account del tycoon, innescando un’ampia discussione sull’ingovernabilità della rete e sulla legittimità dei colossi del big tech di silenziare gli account. 

Su Domani, hanno affrontato l’argomento il direttore Stefano Feltri e il politologo Gianfranco Pasquino, che si sono trovati su due posizioni opposte. Secondo Feltri, infatti, la decisione di sospendere Trump «è una scelta arbitraria» che denota «una delle schizofrenie della nostra epoca: quella di pretendere il rispetto di certi diritti da parte dell’autorità pubblica ma non da quella privata». Secondo Pasquino, invece, Mark Zuckerberg aveva tutte le facoltà per fare ciò che ha fatto, visto che «nessuno può imporre a chi offre un servizio di accettare tutti i clienti senza eccezione alcuna».

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