Cari lettori,

inevitabilmente la catastrofe umanitaria della guerra in Ucraina catalizza drammaticamente l’attenzione di tutti. Nel suo piccolo, ha avuto riflessi anche sulla giustizia italiana con l’orientamento del ministero della Giustizia a negare le estradizioni di cittadini ucraini verso la Russia, per rischio di trattamenti contrari ai diritti fondamentali a causa della propria cittadinanza.

Nel dibattito interno, la notizia più rilevante della settimana è l’assoluzione in rito abbreviato del pm milanese Paolo Storari dal reato di rivelazione di segreto d’ufficio in seguito alla consegna all’ex consigliere del Csm, Piercamillo Davigo, dei verbali segreti sulla presunta Loggia Ungheria. Questa decisione solleva una serie di domande e provoca alcune conferenze che ho provato ad esplicitare.

Quanto ai contributi esterni, questa settimana la newsletter approfondisce il tema delle società benefit, una forma societaria introdotta nel 2015 che integra la finalità del profitto al rispetto della tutela dell’ambiente, della comunità nella quale opera e dello sviluppo sostenibile. I vantaggi e i meccanismi virtuosi sono spiegati dagli avvocati Paola Cristiano e Mattia Geraci dello studio Deloitte Legal.

Sul dibattito sempre aperto della riforma dell’ordinamento giudiziario, di cui sono stati presentati gli emendamenti alla Camera, interviene invece il gip di Napoli e membro di Unicost, Marcello De Chiara, che si interroga sul merito per l’assegnazione degli uffici direttivi ed evidenzia il rischio che la mancanza di requisiti oggettivi producano una riforma dimezzata.

Stop alle estradizioni di ucraini verso la Russia

Nessun ucraino potrà essere estradato in Russia, perchè c’è il rischio che il detenuto possa subire trattamenti contrari ai diritti fondamentali a causa della propria cittadinanza.

Questo orientamento, che in pochi giorni è già stato applicato due volte dai tribunali italiani, è il primo riflesso del conflitto tra Russia e Ucraina che tocca anche la giustizia.

In pochi giorni sono state negate due richieste di estradizione. La prima è quella del regista ucraino Eugene Lavrenchuk, condannato in Russia a 10 anni di carcere e detenuto in Campania, che si era definito perseguitato politico. La seconda è di un direttore condannato per appropriazione indebita. In entrambi i casi il ministero della Giustizia ha chiesto la revoca delle misure cautelari e stoppato l’estradizione a causa del conflitto in corso.

Il Csm sul Dap

Il Csm si è spaccato sulla collocazione fuori ruolo del consigliere di Cassazione, Carlo Renoldi, individuato dalla ministra Marta Cartabia come prossimo vertice del Dap.

Il plenum ha visto l’astensione dei magistrati di Autonomia e Indipendenza, Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, e del consigliere laico in quota Movimento 5 Stelle Fulvio Gigliotti, e il voto contrario del consigliere leghista, Stefano Cavanna.

La motivazione affonda sempre nel dibattito, più culturale che politico, che ha diviso sin dall’annuncio del nome di Renoldi: il modo di intendere l’ergastolo ostativo e l’antimafia.

In questo articolo ho ricostruito le ragioni per cui la poltrona del Dap è così infuocata e perchè la polemica non accenna a scemare.

Dopo il passaggio tecnico della collocazione fuori ruolo, ora manca solo il via libera del consiglio dei ministri e poi Renoldi assumerà il nuovo incarico.

L’assoluzione di Storari

Il tribunale di Brescia ha assolto il pm milanese Paolo Storari dall’accusa di rivelazione d’ufficio, per aver consegnato all’allora consigliere del Csm, Piercamillo Davigo, i verbali sull’esistenza della presunta loggia Ungheria. Il magistrato ha scelto il rito abbreviato, la procura aveva chiesto per lui una condanna a sei mesi. La motivazione sarà depositata in 15 giorni. Storari è ancora sottoposto a procedimento disciplinare al Csm, che sta svolgendo anche una indagine per valutarne l’incompatibilità ambientale a Milano.

Sotto processo con la stessa imputazione rimane invece Davigo, che ha scelto il rito ordinario, e la prima udienza si svolgerà il 20 aprile. L’intento dell’ex consigliere è quello di renderlo un processo il più pubblico possibile.

Questa è la notizia di cronaca.

Ci sono altre due valutazioni intorno a questo caso. La prima è di tipo complessivo, intorno all’esistenza stessa della presunta Loggia Ungheria e del cortocircuito che ha prodotto dentro la procura milanese.

La sentenza di assoluzione contro Storari solleva una sorta di conflitto interno anche a Brescia: il 10 gennaio era stata archiviata l’indagine sul procuratore capo di Milano, Francesco Greco, per l’ipotesi di omissione di atti d’ufficio proprio per la mancata iscrizione denunciata da Storari. Proprio le motivazioni del gip di Brescia per l’archiviazione di Greco offrono una valutazione negativa del comportamento di Storari, che invece è appena stato considerato lecito. Inoltre sta per essere archiviata anche la posizione dell’aggiunta Laura Pedio.

La domanda, dunque, è: è esistita una condotta penalmente rilevante nei fatti che hanno riguardato i verbali di Amara e la Loggia Ungheria che hanno così terremotato non solo la procura di Milano, ma anche lo stesso Csm?

Una risposta ancora non c’è e nella morsa rischia di rimanere solo Davigo e questo porta alla seconda questione, di natura giuridica.

L’assoluzione di Storari, infatti, non rende automatica quella di Davigo. Davigo è imputato di rivelazione di segreto d’ufficio per aver «violato i doveri» legati alle sue funzioni e «abusato delle sue qualità» di consigliere, divulgando il contenuto dei verbali ad altri componenti del Csm, al consigliere giuridico di Sergio Mattarella per tramite del vicepresidente David Ermini e al presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, in modo «informale e senza alcuna ragione ufficiale». Non a caso, nella sua difesa Storari aveva parlato di affidamento incolpevole nei confronti di Davigo: nelle tre ore di interrogatorio, Storari ha sostenuto che la consegna dei verbali era lecita, perchè era stato rassicurato da Davigo sul fatto che «il segreto investigativo su di essi non era a lui opponibile in quanto componente del Csm».

Potenzialmente proprio questa linea difensiva di Storari, che ha fatto leva sulla mancanza di volontà di commettere il reato, potrebbe influenzare negativamente la posizione di Davigo. Con un risultato eclatante: che lui sia l’unico condannato per fatti legati ai verbali di Amara.

Sullo sfondo rimane la nomina, attesa entro fine mese, del nuovo procuratore capo, dopo il pensionamento di Francesco Greco nel novembre scorso e l’attuale facente funzioni, Riccardo Targetti, a pochi giorni dalla conclusione della sua attività professionale.

La riforma dell’ordinamento giudiziario rischia di saltare

Si è chiuso oggi, 11 marzo, il termine per presentare gli emendamenti al testo del ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario. Il ddl, che ha avuto un iter lungo e accidentato, era stato finalmente approvato dal cdm all’unanimità e sembrava finalmente nel binario giusto.

Invece, con l’approdo in commissione e la decisione del governo di non porre la questione di fiducia, è stato bersagliato da una moltitudine di quasi 500 emendamenti che puntano a modificarlo in modo sostanziale. Con il rischio di far saltare l’equilibrio di maggioranza e anche la possibilità di approvarlo in tempo utile per le prossime elezioni al Csm, come da auspicio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Il quadro è quello di partiti tutti contro tutti e il Pd lancia un avvertimento: "Così la riforma rischia di essere affossata", dice la responsabile Giustizia, Anna Rossomando.

Qui un quadro riassuntivo delle posizioni:

- il Pd propone di alleggerire i vincoli sulle porte girevoli per i magistrati in posizioni tecniche al governo, come i capi di gabinetto.
- M5S, Forza Italia e Lega, invece, vogliono irrigidire ancora di più i vincoli.
- Azione propone di introdurre la responsabilità diretta dei magistrati e il fascicolo di performance, con indicate indagini flop, pronunce ribaltate nel grado successivo e arresti non convalidati. Inoltre, pagelle con voti da 4 a 10.
- Lega, Forza Italia e Italia Viva propongono il sorteggio temperato per eleggere i consiglieri del Csm e l'introduzione della separazione delle funzioni tra magistrati requirenti e giudicanti.

Come si vede, sembra esserci una convergenza forte del centrodestra con Italia Viva, cosa non nuova in materia di giustizia. Il punto, ora, è vedere quale sarà il risultato del lavoro in commissione e quanto il testo approvato in cdm verrà cambiato (e smontato il lavoro di mediazione della ministra Cartabia).
La questione politica, però, è evidente: si rischia l'ennesimo incidente di maggioranza sul tema della giustizia, dopo il sì unanime al testo Cartabia in cdm.

L’8 marzo della giustizia, un po’ di dati

In Italia la maggioranza di magistrati e avvocati è donna, eppure sono ancora una esigua minoranza nelle cariche di vertice. Continua ad esistere anche un profondo gap salariale.

  • In magistratura le donne sono circa il 55% (5.308), in avvocatura il 50,03% (115.724).
  • Al vertice della magistratura in ruoli giudicanti sono 247, pari al 32%; in ruoli requirenti sono 176, ovvero il 22%.
  • Va meglio con gli incarichi semi-direttivi, il che indica che è in corso una progressione delle donne: il 45% sui 722 complessivi, in cifre 325.
  • Le donne con incarichi di vertice in Corte di Cassazione è pari al 25%, in Corte di Appello ammonta al 30% circa, mentre è pari al 65% circa nei Tribunali di Sorveglianza e al 40% circa nei Tribunali per minorenni, per scendere al 24% presso i Tribunali ordinari.
  • Nell’avvocatura, le percentuali non sono molto diverse. Su 140 ordini degli avvocati, le presidenti donna sono 31 e pari al 22%: Agrigento (Vincenza Graziano); Barcellona Pozzo di Gotto (Antonella Fugazzotto); Benevento (Stefania Pavone); Bergamo (Francesca Pierantoni); Bologna (Italia Elisabetta D’Errico); Cremona (Marzia Soldani); Gela (Maria Antonia Giordano); Lamezia Terme (Dina Marasco); Lanciano (Silvana Vassalli); Locri (Emma Maio); Lodi (Angela Odescalchi); Lucca (Lelia Parenti); Macerata (Maria Cristina Ottavianoni); Mantova (Maria Chiara Messora); Massa Carrara (Giovanna Barsotti); Novara (Giulia Ruggerone); Parma (Simona Cocconcelli); Pesaro (Cinzia Fenici); Pistoia (Cecilia Turco); Ragusa (Emanuela Tumino); Rovereto (Monica Aste); Savona (Vittoria Fiori); Siena (Lucia Secchi Tarugi); Sondrio (Laura Lanzini); Spoleto (M. Letizia Angelini Paroli); Torino (Grabbi Simona); Torre Annunziata (Luisa Liguoro); Varese (Elisabetta Brusa); Velletri (Lia Simonetti); Venezia (Federica Santinon); Verona (Barbara Bissoli).
  • Nel Csm, su 27 membri le donne sono 7.

Le dimissioni in Ocf

Il tesoriere dell’Organismo congressuale forense, Alessandro Vaccaro, si è dimesso dalla carica. Contro di lui è stata presentata una mozione di sfiducia in seguito alla gestione economica dell’ente, su cui anche il Consiglio nazionale forense (deputato a dare un parere prima della sua approvazione) aveva chiesto approfondimenti.

Questa la motivazione: "Evitare in questo delicato momento ulteriori dibattiti e, soprattutto, ritardi nell’approvazione dei bilanci, elemento vitale per la sopravvivenza di Ocf". A quanto si apprende dalla richiesta di dimissioni, risulta che il tesoriere abbia ammesso di aver trasferito per due anni e in diverse tranche somme di denaro per complessivi 215mila euro sul suo conto personale, per poi ri-bonificarle sul conto di Ocf.

Secondo i primi accertamenti, però, per ora sarebbero stati restituiti solo 177mila euro. 

Ocf ha costituito un gruppo e individuato dei revisori dei conti per valutare le condotte.

Prima di lui si era dimesso anche il segretario, Vincenzo Ciraolo, che ha lasciato anche l’Organismo con la motivazione di “imminenti impegni elettorali nel proprio territorio che impediscono di svolgere adeguatamente il ruolo affidatogli”.

Nel mese scorso, Ocf era stato al centro della polemica interna nell’avvocatura per la sua iniziativa di istituire una fondazione, a cui si erano opposti alcuni ordini e unioni territoriali.

Si apre quindi una fase complicata per l’organismo di rappresentanza politica dell’avvocatura, nato dopo il congresso di Rimini del 2016.

La legge Severino

La cosiddetta legge Severino, approvata nel 2012 dal governo Monti, è uno degli spauracchi della classe politica. Prevede alcuni limiti all’eleggibilità dei parlamentari ma anche degli amministratori locali, prevedendo che decadano o non siano candidabili in specifici casi di sentenze passate in giudicato di condanna per reati contro la pubblica amministrazioni e altre fattispecie gravi.

Per gli amministratori locali, inoltre, prevede regole ancora più stringenti e prevede la decadenza anche nel caso di sentenza non passata in giudicato.

Proprio per questo, nel corso del tempo la legge è arrivata due volte davanti alla Consulta. Le principali contestazioni, tutte superate, sono state:

- La disparità di trattamento tra eletti locali e nazionali, superata dal fatto che le funzioni svolte e lo status siano diversi e dunque non ci possa essere uguaglianza tra le cariche.

- La retroattività della norma, che si applica anche in caso di procedimenti iniziati prima dell’entrata in vigore della legge. Ma per la Consulta si tratta di una misura non penale ma cautelare e dunque ad essa non si applicano i principi dell’irretroattività delle leggi penali.

Oggi, però, la legge molto probabilmente verrà cambiata in via parlamentare e sarà sottoposta anche al referendum della primavera, in cui il quesito ne propone la totale abrogazione.

In parlamento sono depositati quattro disegni di legge: quello leghista e dei radicali ne propone la totale abrogazione, quelli di Fratelli d’Italia e del Pd, invece, modificano solo gli articoli più controversi che sarebbero contro il principio della presunzione di innocenza e distinguono tra amministratori locali e parlamentari. Qui ho provato a fare il punto della situazione.

La Regione Toscana in aiuto delle procure

La Regione Toscana metterà temporaneamente a disposizione delle procure toscane il personale amministrativo proveniente dai suoi uffici o da quelli del sistema sanitario. Il protocollo si riferisce prioritariamente a iniziative di supporto d’ufficio per il contenzioso in materia di immigrazione e protezione internazionale; la collaborazione con le cancellerie per la riduzione dell'arretrato in materia civile e penale, l'accelerazione delle pratiche di volontaria giurisdizione e di quelle relative a minori stranieri non accompagnati; le procedure di recupero e repressione dell'evasione fiscale. 

Nomine: Si è insediato il nuovo procuratore della Repubblica di Taranto, Eugenia Pontassuglia. È la prima donna a guidare l'ufficio.

Presidente della corte d’Appello di Genova è stata nominata Elisabetta Vidali, attuale presidente di sezione nel capoluogo ligure.

Guglielmo Leo è il nuovo presidente del tribunale di Pavia.

Daniele Barberini è stato nominato alla guida della procura di Ravenna.

Fori: Reggio Calabria, è stata siglata la convenzione tecnica per il nuovo palazzo di giustizia. Serviranno circa 30 milioni di euro e 3 anni per "restituire alla cittadinanza di Reggio Calabria un'opera incredibile", finora rimasta incompiuta.

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