Nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 30 ottobre 2025 è stato pubblicato il testo della legge costituzionale approvato dal Parlamento in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi.

Perché quel testo diventi legge occorre che sia approvato anche dalla maggioranza dei votanti al referendum costituzionale.

L’art. 138 della Costituzione prevede, appunto, questo procedimento particolarmente complesso per modificare la Carta fondamentale della Repubblica: non basta che il testo sia approvato dalla maggioranza dei parlamentari; occorre che la modifica sia approvata anche dalla maggioranza dei cittadini, chiamati ad esprimersi con un referendum.

Ai cittadini si chiede se si vuole cambiare la Costituzione più bella del mondo, se si vogliono modificare le garanzie che hanno retto l’ordinamento repubblicano per quasi ottanta anni.

Il testo approvato dal Parlamento propone di modificare gli articoli 87, 102, 104, 105, 106, 107 e 110 della Costituzione; di separare i giudici dai pubblici ministeri, di istituire due distinti consigli superiori della magistratura, uno per quella giudicante ed uno per quella requirente; che i magistrati componenti l’uno e l’altro consiglio siano designati per sorteggio e non per elezione; che sia creata un’«Alta corte disciplinare».

Il dibattito dei costituenti

Una proposta di modificare la Legge fondamentale della Repubblica presuppone che questa sia sbagliata, sia invecchiata, che non abbia risposto o che non risponda più alle esigenze ed ai bisogni dei cittadini; che non sia possibile predisporre gli strumenti per attuare i principii, i valori e le garanzie da essa previste, ma che occorre proprio incidere su di essi ed affermarne altri e diversi.

Il testo approvato dal Parlamento e sottoposto a referendum ignora e prescinde dal dibattito che, nel 1947, ha portato alla formulazione della Carta fondamentale della Repubblica ed ignora anche il dibattito che si sviluppò nella Commissione bicamerale del 1998. Nell’una e nell’altra occasione si discusse a lungo ed approfonditamente del ruolo del pubblico ministero e della disciplina dei magistrati. Non fu prospettata, tuttavia, la possibilità che i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura fossero sorteggiati e non eletti.

La maggioranza parlamentare chiede oggi che siano nettamente separati i giudici dai pubblici ministeri, che siano istituiti distinti organi per garantirne l’autonomia e l’indipendenza, che sia creata un’«Alta corte disciplinare», che i componenti dell’uno e dell’altro organo siano designati mediante sorteggio.

L’obiettivo dichiarato della proposta di riforma costituzionale non riguarda l’efficienza del sistema giudiziario. Essa tende ad istituire nuove e diverse garanzie, sul presupposto che quelle previste dalla Carta fondamentale della Repubblica siano insufficienti. In particolare, che l’appartenenza dei giudici e dei pubblici ministeri al medesimo ordine induca i primi a favorire i secondi, che le correnti della magistratura condizionino illecitamente le decisioni dell’organo elettivo di autogoverno, che il procedimento disciplinare gestito da quest’ultimo non offra garanzie di severità.

le funzioni sono già separate

Per quanto riguarda la separazione delle carriere, occorre ricordare che, attualmente, sono già nettamente separate le funzioni: il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa è subordinato a precise e restrittive condizioni e sono pochissimi i casi in cui esso è richiesto. È, inoltre, elevata la percentuale delle assoluzioni e, in generale, dei casi nei quali le richieste dei pubblici ministeri non sono accolte. La condivisione della carriera non incide affatto sugli esiti dei processi; non favorisce i pubblici ministeri. Questi vincono o perdono come qualunque parte del processo.

I giudici possono essere condizionati dal prestigio o dalla autorevolezza dell’accusatore o del difensore, nonché dai rapporti personali con l’uno o con l’altro, indipendentemente dalla comunanza o dalla distinzione delle carriere.

La proposta di riforma costituzionale ignora l’esigenza di rinforzare una comune cultura della giurisdizione e, quindi, di eliminare o di limitare, con legge ordinaria, le precise e restrittive condizioni alle quali è attualmente subordinato il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa.

Un’esperienza giudicante consente di apprezzare e di valutare con maggiore consapevolezza le richieste del pubblico ministero. Un rafforzamento ed una diffusione della prima potrebbero indurre chi assume le funzioni di pubblico ministero ad assumere iniziative assistite di maggiore fondamento. Al cospetto di una notizia di reato, infatti, è necessaria una valutazione sull’utile esercizio dell’azione penale, sottraendosi alla tentazione di scaricare sul giudicante la responsabilità di negarla o di rigettarla oppure quella di avviare un’indagine che crea clamore mediatico.

Al contrario, la proposta di riforma costituzionale, in funzione della realizzazione di maggiori garanzie, non dell’efficienza del sistema giudiziario, tende ad eliminare anche quel poco che è rimasto di una comune cultura della giurisdizione tra magistrati giudicanti e requirenti.

E i VpO?

Non considera il ruolo e le funzioni dei Vice-Procuratori Onorari.

L’esperienza indica che la realizzazione di maggiori garanzie non è necessaria, perché le richieste dei pubblici ministeri non sono accolte e non sono rigettate in base alla qualità dei richiedenti. L’elevata percentuale dei casi nei quali le richieste dei pubblici ministeri non trovano accoglimento avrebbe suggerito, piuttosto, di rafforzare una comune cultura della giurisdizione, al fine di allontanare le tentazioni di avviare indagini prive di oggettivo fondamento per pigrizia o per ragioni di mera immagine.

La proposta di riforma costituzionale non considera il ruolo e la funzione della Procura Generale presso la Corte di cassazione, per l’accesso alla quale non operano i limiti sul passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa. La Procura Generale presso la Corte di cassazione svolge compiti fondamentali nell’esercizio dell’attività della Corte diretta ad assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni», come prevede la legge. Innanzi alla Corte il ruolo e la funzione del pubblico ministero non sono limitati a sostenere l’accusa nei processi penali.

La proposta di riforma costituzionale, inoltre, ignora il ruolo del pubblico ministero nel processo civile, dove pure maggiore e più sentita è l’esigenza di una comune cultura della giurisdizione.

La tutela dei minori è prevalentemente affidata al pubblico ministero. Innanzi al tribunale per i minorenni, quasi tutti i procedimenti sono introdotti dal pubblico ministero. Nella prospettiva della istituzione del tribunale delle persone, dei minori e delle famiglie, allo stato ancora rinviata, sono diffuse le preoccupazioni sull’accorpamento della procura minorile con la procura ordinaria. È stato manifestato il timore di perdere quella comune cultura della giurisdizione che caratterizza i pubblici ministeri addetti al tribunale per i minorenni.

Anche in materia economica e, in particolare, nei procedimenti per la regolazione della crisi d’impresa è particolarmente avvertita l’esigenza di una comune cultura della giurisdizione tra magistrati requirenti e magistrati giudicanti,

In questi settori, sono esigue le percentuali delle iniziative assunte dai pubblici ministeri rispetto alle richieste da questi ricevute. La selezione si manifesta responsabile e severa. Nonostante ciò, le richieste dei pubblici ministeri non sono accolte in base alla qualità dei richiedenti.

La cultura della giurisdizione

Una comune cultura della giurisdizione tra magistrati giudicanti e magistrati requirenti contribuisce a garantire maggiore responsabilità ed autorevolezza alle iniziative dei pubblici ministeri, comunque destinate ad essere valutate in base a ragioni oggettive.

La proposta di riforma costituzionale, invece, vorrebbe separare non soltanto le funzioni, ma anche le carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, con la conseguenza di affidare soltanto alla sensibilità di questi ultimi, non ad una comune cultura della giurisdizione, la valutazione del fondamento delle iniziative da assumere.

La proposta di riforma costituzionale ignora anche la magistratura contabile. Nell’ambito di questa, le carriere e le funzioni dei magistrati giudicanti e requirenti restano comuni. Occorre ricordare che il pubblico ministero contabile può agire, ma non può indagare. Per assumere l’iniziativa per il risarcimento dei danni provocati alla pubblica amministrazione deve ricevere una «specifica e concreta notizia di danno».

Indipendentemente dalle intenzioni non dichiarate della proposta, che possono essere negate e contestate, essa, per questa prima parte, non merita accoglimento e merita, invece, di essere vigorosamente respinta.

Non occorre cambiare la Costituzione più bella del mondo per introdurre nuove e diverse presunte garanzie.

La Carta fondamentale della Repubblica, come interpretata ed applicata dalla Corte costituzionale, fornisce già strumenti per la realizzazione dello Stato di diritto.

I principii, i valori e le regole da essa espressi richiedono, piuttosto, di essere rinforzati.

Amarezza e rancore

Per questa prima parte, la proposta di riforma costituzionale esprime il rancore di chi è riuscito soccombente di fronte ad iniziative del pubblico ministero e tenta di giustificare la sconfitta con l’appartenenza di questo al medesimo ordine del giudicante.

Non può escludersi che ciò talvolta sia avvenuto, ma questa è la sorte di ogni processo, penale, civile, amministrativo, contabile. I processi esistono per suscitare il confronto dialettico in base a regole predeterminate. Possono concludersi con la vittoria o con la sconfitta.

L’amarezza di chi si è visto perdente non può essere un argomento per cambiare le regole fondanti lo Stato di diritto.

Analoga risposta merita la seconda parte della proposta di riforma costituzionale, relativa alla creazione di due distinti consigli superiori della magistratura, uno per la magistratura giudicante ed uno per la magistratura requirente, entrambi composti da magistrati scelti per sorteggio e da membri laici, pure sorteggiati, ma in una rosa di nomi selezionati dal Parlamento.

Prescindendo dai costi che implica lo sdoppiamento dell’organo di autogoverno della magistratura, la designazione per sorteggio dei componenti si manifesta aberrante.

Nessuna persona ragionevole affiderebbe a soggetti scelti per sorteggio la decisione di qualunque questione.

La proposta di riforma costituzionale è stata presentata quale reazione agli abusi delle correnti della magistratura.

Ma, in un qualunque sistema democratico, l’espressione delle opinioni e la gestione delle istituzioni è affidata a forme di associazione.

Il clamore mediatico suscitato dalle vicende che hanno coinvolto Luca Palamara non significa che tutti i dirigenti degli uffici giudiziari, dal primo presidente della Corte di cassazione al presidente o al procuratore della Repubblica del più piccolo dei tribunali siano stati designati mediante fenomeni di corruzione. Non tutti i dirigenti degli uffici giudiziari appartengono alla medesima corrente o sono iscritti a correnti. Essi sono stati designati in base a procedimenti nei quali le correnti hanno avuto indubbiamente peso, ma non è credibile che la nomina di ciascuno di essi sia stata determinata soltanto dalla appartenenza all’una o all’altra corrente. A Giovanni Falcone, ad esempio, fu preferito un candidato scelto per anzianità.

La trasparenza

La Corte costituzionale ha indicato nella trasparenza il valore fondante i procedimenti per la designazione dei dirigenti degli uffici giudiziari.

Gli esiti possono essere condivisi o possono essere contestati. Ma ciò appare assolutamente fisiologico in un sistema democratico. E si manifestano anche fisiologiche le discussioni che precedono le nomine, quali che siano gli argomenti spesi. Ciò che è essenziale, come affermato dal Giudice delle leggi, è che i procedimenti di nomina siano trasparenti, affinché, appunto, l’applicazione dei criteri possa essere condivisa o contestata.

A ben vedere, anche questa seconda parte della proposta di riforma costituzionale esprime il rancore per esiti non condivisi.

Non può escludersi l’ingiustizia di questi ultimi. A tal fine è aperta la strada della impugnazione dei provvedimenti di nomina innanzi al giudice amministrativo.

Ma il dissenso rispetto ad alcune decisioni sulla designazione dei dirigenti degli uffici giudiziari non può essere un argomento per cambiare le regole fondanti lo Stato di diritto ed affidare quelle decisioni a membri scelti per sorteggio.

5.- La terza parte della proposta di riforma costituzionale riguarda la istituzione di un’«Alta corte disciplinare», i membri della quale dovrebbero pure essere designati mediante sorteggio.

Occorre, innanzi tutto, ribadire che il metodo di designazione dei componenti si manifesta aberrante, al pari di quello proposto, in generale, per l’organo di autogoverno.

La proposta è stata fondata sull’esigenza di rafforzare il procedimento disciplinare.

Attualmente la violazione delle regole disciplinari, minuziosamente indicate, può essere denunciata dal procuratore generale della Cassazione e dal Ministro della Giustizia.

Se il potere esecutivo, in persona del Ministro della Giustizia, si fosse doluto del funzionamento del procedimento disciplinare, avrebbe potuto rinforzare i poteri di iniziativa dei quali già dispone.

Ha proposto, invece, di creare un nuovo organo.

In ogni caso, la valutazione del rispetto delle regole deontologiche nell’esercizio della professione è affidata agli esercenti la medesima, come avviene per tutte le professioni.

La proposta prevede anche che le decisioni dell’«Alta corte» siano impugnabili innanzi alla medesima in diversa composizione.

Essa non considera che, in base alla Costituzione della Repubblica italiana, tutti i provvedimenti possono essere impugnati per cassazione, quale che sia la forma e quale che sia l’organo giurisdizionale che li ha emessi. Poiché non può dubitarsi che l’«Alta corte» sia un organo giurisdizionale, la proposta si presta ad essere intesa nel senso di istituire un doppio grado di giurisdizione per il procedimento disciplinare. La prima decisione potrebbe essere impugnata innanzi alla stessa corte e la decisione resa in secondo grado sarebbe comunque sindacabile dalla Corte di cassazione.

Sfuggono le ragioni per le quali dovrebbe essere modificata, per questa parte, la Carta fondamentale della Repubblica.

I contenuti politici

La proposta di riforma costituzionale è stata vestita di contenuti politici, per l’adesione o per l’opposizione alla maggioranza parlamentare che l’ha formulata e che esprime l’attuale Governo.

Il referendum è una trappola mediatica per la magistratura, ripetutamente indicata come avversaria del potere esecutivo, insofferente alla applicazione di ogni regola.

La proposta di riforma costituzionale, tuttavia, merita di essere valutata in base al suo contenuto.

I servi esprimono opinioni soltanto per compiacere un padrone.

Ma, proprio per reagire alla regressione ad un sistema feudale, nel quale non esistono regole, ma soltanto l’asservimento a un padrone, appare doveroso esprimere un fermo NO al tentativo di sovvertire le regole fondanti lo Stato di diritto, ricordando le parole di Carlo Emilio Gadda (Quel pasticciaccio brutto de via Merulana, 2° ed. 1957, rist. Garzanti, 1983, p. 93 s): «L’effetto che la resurrezione in parola cavò di sue viscere, infoiata di poter finalmente disporre di tutte le disponibilità resele a disposizione dal potere, fu quello che si verifica ogni volta: intendo dire ad ogni assunzione del medesimo: conglomerare le tre balìe - da Carlo Luigi de Secondat de Montesquieu con sì chiaroveggente capa sceverate, (...) - conglomerarle, tutte tre, in unica e trina impenetrabile camorra».

© Riproduzione riservata