Care lettrici, cari lettori,

la settimana è stata convulsa e complessa sul fronte della giustizia e la newsletter di questo venerdì serve a prendere un po’ di tempo e fare ordine sui tanti temi emersi. Per questo trovate una spiegazione del contenuto del nuovo decreto legge sul reato di rave party, l’ergastolo ostativo e il rinvio della riforma penale, sfrondandolo del rumore politico.

A questo proposito, l’ex magistrato Rosario Russo propone un’analisi della nuova fattispecie di reato cosiddetto anti-rave, e lo stesso fa il giurista Andrea Morrone.

Su questo tema, ma anche sul voto per i laici del Csm del 13 dicembre, interviene il segretario di Magistratura indipendente, Angelo Piraino, che invita i magistrati a «non avere approcci ideologici», perchè la magistratura non deve fare politica.

A livello politico, il governo Meloni ha iniziato a dare segnali su come intende affrontare la questione giustizia e la contraddizione più evidente è quella tra le prese di posizione passate del Guardasigilli Carlo Nordio e gli attuali orientamenti dell’esecutivo. Una contraddizione che rischia di deflagrare molto presto, insieme al rapporto già difficile all’interno della maggioranza politica.

Il sottogoverno

Dopo la nomina dell’ex magistrato Carlo Nordio al ministero della Giustizia, sono state individuate anche le figure di sottogoverno. L’avvocato e senatore di Forza Italia, Francesco Paolo Sisto, è stato nominato viceministro, mentre Andrea Delmastro (Fratelli d’Italia) e Andrea Ostellari (Lega) sono stati scelti come sottosegretari.

Analizzando il background politico dei tre, Sisto è considerato la quota liberale e più vicina alle posizioni del ministro Nordio. Delmastro e Ostellari, invece, rappresentano la linea più dura e orientata in favore delle prime prese di posizione del governo.

Nordio ha anche iniziato a nominare i nuovi dirigenti al ministero di via Arenula: il suo capo di gabinetto è il magistrato del tribunale di Vicenza, Alberto Rizzo e la vice-capo di Gabinetto è l’ex deputata di FI e magistrati, Giusi Bartolozzi, anche lei nota per le sue posizioni garantiste. Il capo legislativo di Carlo Nordio, invece, dovrebbe essere Antonello Mura.

Decreto legge anti-rave

Il consiglio dei minsitri ha approvato con decreto legge una nuova fattispecie di reato, cosiddetta anti-rave party. La norma, voluta dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha l’obiettivo di prevenire il fenomeno delle feste illegali (qui la storia di cosa sono) come quella in corso ad Halloween nella periferia di Modena.

Il nuovo articolo è il 434 bis e prevede: «L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica». La pena è quella della «reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000» ed è diminuita «per il solo fatto di partecipare». Inoltre, «è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione».

A una attenta analisi, la formulazione del testo ha diversi profili problematici:

- Si tratta di un reato di pericolo, come il «può» mette in chiaro, che dunque consente margini molto ampi di intervento delle forze di polizia giudiziaria.

- L’eccessiva indeterminatezza della fattispecie consente di includere eventi molto diversi da quelli dei rave party, dalle occupazioni alle manifestazioni. 

- La locuzione “ordine pubblico” è un retaggio del testo unico fascista di pubblica sicurezza, che la Costituzione volutamente elimina.

- La pena è molto severa e produce due effetti. Il minimo di tre anni di carcere rende più complessa la sospensione condizionale della pena anche per gli incensurati, nel caso in cui non vengano concesse le attenuanti generiche o non vengano scelti i riti alternativi. Il massimo di 6 anni, invece, permette l’utilizzo delle intercettazioni come mezzo di ricerca della prova, che attualmente vengono utilizzate per reati gravi con pena superiore ai 5 anni e per i reati di mafia, terrorismo, droga e altri reati di particolare pericolosità sociale.

- Il testo presenta profili di incostituzionalità rispetto all’articolo 17 della Carta, che regola la libertà di riunione e prevede il diritto di «riunirsi pacificamente e senz'armi» e, per le riunioni in luogo pubblico, è previsto il preavviso alle autorità, «che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica».

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha rivendicato «con orgoglio» la legge e anche il ministro Piantedosi ha difeso il testo, dicendo che verrà applicato solo per i rave e che così l’Italia si uniforma al diritto degli altri paesi europei. In realtà, la formulazione non limita in nessun modo la casistica solo ai rave e un fact checking dimostra che in nessun paese europeo la pena detentiva è così alta.

La maggioranza si è immediatamente divisa. Forza Italia ha già annunciato che, se non lo farà il governo, presenterà un emendamento per abbassare la pena sotto i 5 anni, eliminando le intercettazioni, e per rendere meno indeterminata la fattispecie. Anche il ministro Nordio ha aperto a correzioni, dicendo che «formulazione complessa è sottoposta al vaglio del Parlamento, al quale è devoluta la funzione di approvarla o modificarla secondo le sue intenzioni sovrane». Lega e Fratelli d’Italia, invece, rivendicano la formulazione del testo.

Carcere ostativo

Il decreto legge contiene anche il testo approvato alla Camera (ma non al Senato) per riformare il carcere ostativo come da ordinanza della Corte costituzionale. Nell’ordinanza era stata dichiarata l’incostituzionalità dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, nella parte in cui prevede che per i condannati per alcuni reati di mafia, terrorismo e associazione per delinquere legata alla droga, l’unico modo per accedere ai benefici penitenziari è la collaborazione con lo stato. La Consulta, però, aveva dato al legislatore la possibilità di intervenire con una riforma complessiva alla luce dei precetti costituzionali.

Il parlamento precedente non ha fatto in tempo ad approvare la riforma, per questo il governo ha deciso di intervenire con decreto legge prima dell’8 novembre, data in cui si svolgerà la nuova udienza della Consulta.

Il testo approvato alla Camera anche con l’astensione di Fratelli d’Italia, tuttavia, è stato oggetto di critiche perchè contiene una previsione che, nei fatti, rende comunque impossibile per il detenuto che non collabori ottenere i benefici. Il detenuto, infatti, dovrà dimostrare di aver «adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna» o dimostrare «l'assoluta impossibilità di tale adempimento» allegando «elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo» e «alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza».

Meloni, infatti, ha parlato di necessità di «difendere» l’ergastolo ostativo come strumento di contrasto alle mafie. Anche questo è in contraddizione con le storiche posizioni del ministro Nordio, che ha definito l’ergastolo ostativo «un’eresia per la Costituzione».

In ogni caso, l’ultima decisione spetta alla Corte costituzionale. Farà una valutazione sul decreto legge, per decidere se non tocca il caso concreto che ha fatto sorgere la questione di costituzionalità, se lo tocca in modo migliorativo, peggiorativo o neutro.

Se ritiene che il dl non incida sulla condizione di chi ha sollevato la questione di costituzionalità, oppure se ritiene che il dl sia la fotocopia della legge impugnata, può trasferire la questione di costituzionalità sulla nuova legge e dunque procedere con la dichiarazione di incostituzionalità anche delle nuove norme.

Se ritiene che il dl invece incida sul caso concreto, può rimettere la questione al giudice che ha sollevato il caso: spetterà al giudice ordinario, quindi, valutare se le previsioni del decreto legge rendano la questione concreta ancora attuale e quindi se la questione di costituzionalità possa considerarsi superata oppure vada ripresentata.

Tradotto: il governo non può aggirare una dichiarazione di incostituzionalità della Corte costituzionale semplicemente approvando una nuova legge ordinaria con contenuti pressochè identici a quelli della legge già indicata come incostituzionale.

Rinvio della riforma Cartabia

Il decreto legge, infine, prevede il rinvio al 30 dicembre 2022 della riforma penale di Marta Cartabia, che avrebbe dovuto entrare in vigore il 1 novembre. La decisione è stata presa per «ascoltare il grido di dolore» dei 26 procuratori generali che hanno sollevato la questione di una impossibilità di dare attuazione ai precetti della riforma senza una norma transitoria per adeguare mezzi e strutture.

In realtà , i procuratori generali non chiedevano il rinvio ma solo una norma cuscinetto: «possibili interventi normativi per il coordinamento tra il vecchio e il nuovo sistema»; «valutare l'esigenza di una disciplina transitoria per alcuni aspetti relativi alla tempistica»; «impostare i possibili sviluppi strutturali di maggiore respiro».

Il governo, invece, ha scelto di optare per un rinvio tout court. Il problema è che la riforma penale fa parte dei pilastri per ottenere i fondi del Pnrr e un suo rinvio o una sua mancata entrata in vigore oltre il 1 gennaio 2023 potrebbe metterli in discussione. Il ministro Nordio ha tuttavia assicurato che non ci saranno ulteriori ritardi e che i fondi non sono in pericolo.

Che cosa dice Nordio?

I tre interventi che ho appena illustrato fanno emergere una grande distanza rispetto alle posizioni culturali storicamente sostenute dal ministro Nordio. Tanto che l’ex magistrato Armando Spataro, in una intervista a Repubblica, gli ha addirittura suggerito di ragionare sull’opportunità di dimettersi dal ruolo.

Il ministro per ora ha taciuto, incassando le critiche di giuristi e magistrati sulle prime iniziative del governo. È andato in visita nei carceri di Regina Coeli e Poggioreale e ha fissato così il suo obiettivo primario di intervento.

««Le risorse sono inadeguate, le carceri sono sovraffollate, la normativa è incerta e la tutela è precaria», ha detto Nordio. «La prima uscita pubblica del Ministro della Giustizia vuole esprimere la priorità della sua iniziativa per eliminare o almeno ridurre queste criticità»,  ha poi dedicato qualche riflessione ai temi della presunzione d'innocenza e della certezza della pena, che sono «complementari».

Poi, quasi a voler rimarcare la sua collocazione politica liberale, Nordio ha detto che a Regina Coeli «è stata un'emozione visitare l'ala del carcere dove Saragat e Pertini sono stati tenuti prigionieri in attesa di esecuzione durante la seconda guerra mondiale. La loro evasione fu organizzata falsificando i documenti di carcerazione da quello che sarebbe diventato ministro della Giustizia, Giuliano Vassalli, eroe della resistenza. E stata una doppia emozione, vedere le celle e sedere sulla sedia di Vassalli». Parole non scontate alla luce del governo Meloni, che però mostrano come Nordio sia sempre più un pesce fuor d’acqua.

Scontro tra magistrati sulle norme anti-rave

La formulazione della norma anti-rave ha provocato uno scontro tra gruppi associativi con Area e Md che sono intervenuti duramente contro il governo e Mi che ha preso le distanze da interventi definiti «ideologici». Si tratta del primo scontro aperto dopo le elezioni del Csm, che anticipa il clima futuro sia nel rapporto tra gruppi che tra magistratura associata e ministero della Giustizia.

Magistratura democratica è intervenuta definendo la previsione «Una pericolosa truffa delle etichette che contrasta la lettera dell’articolo 17 della Costituzione» e che «non si applica solo ai rave party». Il nuovo articolo 434 bis del codice penale «è una norma pericolosa che chiamerà la magistratura ad una sapiente verifica della sua applicabilità al caso concreto, insieme all’utilizzo dello strumento della verifica costituzionale ove i margini di equivocità della norma fossero così estremi da entrare in drammatica collisione con i nostri diritti fondamentali».

Per Area, il segretario Eugenio Albamonte ha parlato di «norma 'manifesto', che insegue la cronaca e soddisfa il populismo giustizialista, che vede nelle norme penali la soluzione ad ogni problema. È poi una norma vaga, perché evocando concetti troppo astratti, come sanità pubblica, incolumità e sicurezza, permette una larga discrezionalità interpretativa da parte dei magistrati».

Sia Area che Md hanno inoltre criticato la posizone del ministro Nordio, parlando di «delusione» dopo che il ministro aveva anticipato di voler seguire la strada della depenalizzazione.

Contro le toghe progressiste si è espressa Magistratura Indipendente, scrivendo in una nota che cita direttamente Md e Area che «la magistratura non è e non deve mai diventare un attore della scena politica. Mai, e nei confronti di qualsiasi governo, quale che sia il suo colore politico». Quella di Mi è una «presa di distanze da un simile approccio ideologico, che ci riporta indietro alla vecchia contrapposizione tra politica e magistratura di un passato che si vuole dimenticare e che ha portato la magistratura ad essere vista dai cittadini come politicizzata».

Assoluzione di Storari

Il pm di Milano Paolo Storiari è stato assolto anche in appello a Brescia dal reato di rivelazione di segreto istruttorio per aver consegnato al consigliere del Csm, Piercamillo Davigo, i verbali della presunta loggia Ungheria. La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado, dopo un’ora e mezza di camera di consiglio, rigettando la richiesta di una condanna a 5 mesi e 10 giorni di reclusione. 

Le motivazioni saranno depositate entro 90 giorni, ma l'ipotesi è che il giudizio della Corte non si discosti di molto da quello del primo grado, che ha ritenuto di assolvere Storari, incorso «in un errore di norma extrapenale», perchè era convinto di rivelare informazioni segrete a chi era deputato a conoscerle in quanto consigliere del Csm.

Rimane invece aperto e in corso il processo di primo grado per il medesimo reato a carico di Piercamillo Davigo, che ha invece scelto il rito ordinario. Il dibattimento, a porte aperte, sta aggiungendo nuovi tasselli di una vicenda ancora molto confusa come quella intorno alla loggia Ungheria, sulla quale l’inchiesta a carico dell’ex legale esterno Pietro Amara è stata archiviata dalla procura di Perugia.

Riforma della previdenza forense

Il Comitato dei delegati di Cassa Forense ha approvato la riforma della previdenza forense, che entrerà in vigore nel 2024 e cambia il sistema pensionistico dell’avvocatura. Si passa così gradualmente dal calcolo retributivo delle pensioni a quello contributivo.

Il nuovo articolato verrà inviato ai ministeri per l’approvazione, ma la riforma prevede:

- Per i futuri iscritti: sistema di calcolo contributivo

- Per gli avvocati con meno di 18 anni di iscrizione al 31/12/2023: sistema misto, con calcolo retributivo per gli anni antecedenti l’entrata in vigore della riforma e contributivo per gli anni successivi.

- Per gli avvocati con anzianità di almeno 18 anni al 31/12/2023: sistema retributivo, con la modifica del coefficiente di rendimento per il calcolo della pensione da 1,40% a 1,30%, solo per gli anni successivi all’entrata in vigore della riforma.

La riforma ha l’obiettivo di sostenere l’avvocatura con un reddito fino a 17.324 euro, che può contare su una effettiva riduzione della contribuzione.

Per i giovani sono previste alcune agevolazioni: per i primi 4 anni, la contribuzione è direttamente proporzionale al reddito prodotto, senza un contributo minimo; dal quinto all’ottavo anno, il minimo soggettivo è ridotto al 50 per cento, ovvero 1.100 euro.

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