La logica del populismo ha una pulsione autoritaria, nonostante le sincere aspirazioni di alcuni suoi sostenitori che sognano un populismo progressista che vuole sconfiggere la casta e restituire il potere al popolo.

La logica autoritaria che anima il populismo non si manifesta in relazione solo all’ordine istituzionale o alle procedure della democrazia, ma anche alla mentalità e all’ideologia; è interessata alla diffusione di una visione del mondo insofferente della libertà personale.

Caratteristiche di una mentalità

AP Photo/Matt Dunham

La mentalità autoritaria è animata da una prospettiva olistica che tiene insieme la politica, la società civile e quella economica. Sebbene i diritti civili si basino sul presupposto che la distinzione tra queste sfere vada fatta con attenzione, è un fatto storicamente provato che nelle società moderne queste dimensioni (civile, sociale, economica e politica) sono tra loro intrecciate, con l’esito che il mutamento in una di esse si riverbera sulle altre.

La mentalità autoritaria è un cambiamento che, nato nella dimensione sociale e civile, può coinvolgere l’ordine politico e istituzionale. Di qui, i timori di svolte autoritarie nelle democrazie costituzionali. Da questa premessa si dovrebbe partire per inquadrare il movimento ideologico che sta attraversando quasi tutti i paesi occidentali e certamente europei. Non stiamo qui ad esaminarne i fattori che l’hanno determinata e fatta crescere, un compito tuttavia urgente e meritorio. Menzioniamo alcune cause scatenanti.

Parliamo del 2016, annus horribilis per la democrazia e per l’Unione europea (che sono rinate insieme). L’anno di Brexit e dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, al quale si deve affiancare il 2022, orribile per l’Europa e la pace. Tre eventi uniti da un filo invisibile che ha avuto la forza di accompagnare e a tratti provocare una torsione delle democrazie verso forme nazionalistiche e autoritarie, con l’esaltazione dell’ideologia della sovranità popolare come fosse un monarca assoluto.

Nel nome della sovranità popolare, ma non per ampliare il potere e la libertà dei cittadini, non per migliorare le loro vite, ma per accreditare piani e progetti che incoronano politiche e leader autoritari. L’esperienza della pandemia ha avuto effetti contrastanti e non ancora tutti esplicati: ha certo promosso un’effettiva solidarietà sanitaria e scientifica internazionale e un’attiva partecipazione della Ue, per la prima volta protagonista con ciascuno dei suoi cittadini di un piano di intervento a sostegno degli stati membri in ragione dei loro bisogni prima di tutto.

Tuttavia, quale sarà l’impatto di questo intervento straordinario, che in Italia prende il nome di Pnrr, non è ancora dato di sapere, poiché molta parte dell’enorme quantità di denaro andrà restituita e, a quel punto, se i governi non avranno saputo gestire oculatamente i finanziamenti, la restituzione del debito potrebbe diventare causa di scontento e di una dose suppletiva di nazionalismo.

Già ora alcuni leader in pectore, come Giorgia Meloni, si proiettano nel futuro della restituzione e paventano revisioni degli accordi. Dovendo probabilmente essere un governo di destra a gestire questa partita, Meloni prepara già la retorica del lamento per recriminare quelle scelte difficili che si è guardata bene dall’anticipare in campagna elettorale.

Dunque, il piano di solidarietà che ha sancito una relazioni inedita tra stati-membri e Ue sarà probabilmente presto al centro di una nuova stagione nazionalista e autoritaria. E a questo punto, tornare a riflettere sulle due ragioni che hanno fatto del 2016 un anno orribile ha molto senso. Brexit e Trump hanno avuto un effetto dirompente perché hanno piantato solide basi ideologiche per la nuova destra, a quella che chiamiamo autoritaria o d’ordine.

Le idee autoritarie

FILE - In this Thursday, June 23, 2016 file photo, the front page of the Sun newspaper reporting on the EU referendum on a news stand in Westminster, London. Five years ago, Britons voted in a referendum that was meant to bring certainty to the U.K.’s fraught relationship with its European neigbors. Voters’ decision on June 23, 2016 was narrow but clear: By 52 percent to 48 percent, they chose to leave the European Union. It took over four years to actually make the break. The former partners are still bickering, like many divorced couples, over money and trust. (AP Photo/Tim Ireland, File)

Le idee messe in circolo da questi due fenomeni anglo-americani sono almeno cinque: 1) la primazia dell’interesse nazionale, ma per esaltare l’arrogante attitudine del governo di perseguire politiche nazionaliste nei confronti dell’esterno e con le minoranze al proprio interno – destra e sinistra si distinguono oggi sul modo di intendere l’interesse nazionale (meriterebbe di riandare alle parole durissime di Giuseppe Mazzini contro il nazionalismo); 2) l’esaltazione della maggioranza, non come regola o principio di decisione, ma come potere del più forte che pretende uno spazio d’autorità superiore e per far questo cambia, se possibile, la costituzione, come è successo in Ungheria ma in parte anche in Polonia, e come potrebbe accadere in Italia; 3) l’esaltazione delle tradizioni in termini di religione e di modelli di vita, privata e sociale, di come la nazione vuole che i suoi membri vivano; non è necessario intervenire sui diritti fondamentali per attuare questo progetto, è sufficiente avviare una campagna d’opinione attraverso le scuole, i media e le associazioni della società civile; 4) la conquista senza fanfara ma a macchia d’olio dei mezzi di informazione e di formazione dell’opinione. L’Ungheria, ammirata da tutte le destre, ha aperto la porta a interventi autoritari (che le sono costati la sanzione della Ue). Il governo di Orbán ha creato alcuni anni fa due entità, l’Autorità nazionale per i media e le comunicazioni, organo con il compito di controllare i contenuti del settore giornalistico, e il suo braccio operativo, il Consiglio dei media; le nomine di entrambe sono direttamente influenzate dal governo con l’esito di far sì che, il partito di maggioranza abbia un potere quasi insindacabile sugli organi di informazione; 5) la proposta o il tentativo di riconfigurare la Ue, per esempio restringendo i suoi interventi di regolamentazione su settori importanti, sociali ed economici, per lasciare più spazio alle trattative bilaterali tra i governi e Burxelles.

L’impatto sui partiti

Se dalle scelte politiche passiamo alla mentalità, vediamo come la svolta autoritaria abbia un impatto espansivo e transpartitico. Questa mentalità riguarda le relazioni socio-economiche e quelle private. Partiamo dal primo aspetto che può essere catalogato come un movimento d’ordine che ha al centro l’ideologia della meritocrazia, che consiste nell’addossare ai perdenti della lotta per il benessere le responsabilità della loro malasorte. Esonerando la collettività che, anzi, come abbiamo visto in campagna elettorale, si mostra insofferente verso quelle che addita come «forma di assistenzialismo che alimenta l’indolenza», la mentalità sociale d’ordine è stata ben rappresentata dall’attacco risentito e rabbioso al reddito di cittadinanza.

L’arco autoritario è in questo caso ampio e in Italia abbraccia la destra e il centro (da Meloni a Renzi); condivide una logica neoliberale che predica intraprendenza e protezione degli interessi economici, certo con uno stato meno ingombrante di quello fascista, ma non meno autoritario, soprattutto con i soggetti economicamente deboli.

La destra è rappresentativa degli interessi delle partite iva, delle classi medie e medio basse non solo della grande borghesia; in questa difesa della classe che rischia di restringersi anche a causa dell’inflazione e della crisi energetica associata alla guerra, la destra ha buon gioco ad alzare la voce contro chi chiede il reddito di cittadinanza.

Le questioni di genere

Ma è l’aspetto relativo alle relazioni private e sessuali, alle questioni di genere (dei generi) e a quelle associate alla procreazione, che interessa soprattutto la mentalità autoritaria. Questo aspetto importantissimo ha avuto un sostegno forte da parte di Trump e ha avuto come conseguenza la recente cancellazione del diritto all’aborto volontario negli Stati Uniti. La campagna per il ristabilimento della centralità della maternità andrebbe studiata a fondo, poiché ha interrelazioni con la retorica del declino demografico dei paesi occidentali e non è semplicemente una questione moralistica o di costume. È a filo doppio con il razzismo e la xenofobia.

Come Meloni e Salvini ripetono instancabilmente, la nazione deve produrre braccia da lavoro per non essere costretta a importarle da fuori, e quindi ad esporsi al multiculturalismo e alla pluralità religiosa e culturale. La questione della maternità serve dunque la causa nazionalista in un’epoca di globalismo. Come pure la lotta alla mentalità liberale nei rapporti sessuali, con un giro di vite agognato dalla destra per fermare la deriva libertaria che mette in crisi la maternità, il cui alveo deve essere la famiglia eterosessuale, e il destinatario finale la nazione.

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