Il crollo cinematografico della società di criptovalute Ftx e la storia “dalle stelle alle stalle” del suo fondatore Sam Bankman-Fried, hanno dato vita a una discussione da tempo attesa sull’approccio influente alla beneficenza che ha promosso: l’altruismo efficiente (Ae).

Mentre ci abituavamo allo shock di scoprire che le pratiche contabili di Bankman-Fried erano gravemente scorrette e probabilmente fraudolente, è sorta al contempo una domanda: anche l’Ae è una truffa? Se lo è, cosa c’è che non va?

Astratta ed elitaria

Ae è un approccio risoluto per quantificare l’impatto delle donazioni di beneficenza. Mira a togliere la beneficenza dal mondo confuso delle emozioni richiedendo che le decisioni sulle donazioni siano guidate dai dati, proprio come le decisioni aziendali.

Attorno a questa idea è nato un settore di analisi filantropiche: i sostenitori dell’Ae hanno identificato alcune iniziative sanitarie globali, dalla lotta ai parassiti intestinali alla prevenzione della malaria, come alcuni degli interventi più efficaci nell’immediato. È stato un gradito correttivo rispetto agli approcci meno efficienti alle donazioni benefiche.

Ma a un certo punto l’Ae è diventato anomalo. Personaggi come Bankman-Fried si sono allontanati dal dare nell’immediato e hanno abbracciato il “longtermism”, una scuola di pensiero che richiede di prendere le pretese morali di persone non ancora nate tanto seriamente quanto prendiamo quelle delle persone attualmente in vita.

Il longtermism invita i donatori a decidere, in prima persona, di cosa ha veramente bisogno il mondo, e non solo di cosa ha veramente bisogno ora, ma di cosa avrà davvero bisogno tra migliaia di anni. È facile capire perché questa forma di filantropia particolarmente astratta ed elitaria possa essere così attraente per ambiziosi cervellotici che accumulano grandi fortune.

Ma se da una parte la spinta a dare è lodevole, il longtermism è un enorme viaggio dell’ego.

Tracotanza cognitiva

Portato all’estremo conduce a conclusioni ovviamente assurde, o almeno a conclusioni che colpiscono noi non miliardari come poco caritatevoli. Si spendono molte energie a lungo termine nel discutere i meriti relativi nel rendere Marte abitabile come alternativa al collasso ecologico sulla Terra, o impedire alla nanotecnologia di andare fuori controllo e spazzare via la specie umana. Il punto non è che queste conversazioni siano poco interessanti o poco importanti; sono solo molto lontane dall’altruismo così com’è inteso dalle persone normali.

Ciò che unisce queste discussioni è una sorta di tracotanza cognitiva: una fede illimitata nella capacità del filantropo di scrutare minacce lontane prima di chiunque altro, calcolare le probabilità che si verifichino e agire oggi per scongiurare eventi futuri.

Non sorprende che il longtermism sia nato nella Silicon Valley, un luogo in cui le persone a proprio agio con questo tipo di mentalità probabilistica accumulano grandi fortune e in cui coloro che combinano le proprie capacità con attività di beneficenza acquisiscono automaticamente uno status sociale.

Ma la preveggenza umana è limitata, perché, beh, il futuro non è ancora qui. Gli economisti professionisti non sono in grado di prevedere con precisione le oscillazioni del ciclo economico che studiano continuamente, così come i geologi, dopo centinaia di anni di tentativi, non sono ancora in grado di predire i terremoti. Praticamente ogni giorno apriamo il giornale e si legge di cinque cose appena successe che nessuno aveva previsto.

Anche quando si possono calcolare le probabilità, capire come rispondere è un esercizio pieno di insidie, disseminato di possibilità di errore. Personalmente faccio fatica a capire se devo portare con me un ombrello quando le previsioni danno pioggia al 30 per cento. L'arroganza implicita nell'immaginare di poter sapere oggi di cosa avrà bisogno il mondo tra mille anni e cosa dovremmo fare al riguardo non è solo disgustosa: è mostruosa.

C’è un’alternativa. Sarebbe molto più utile a livello sociale se le élite finanziarie e tecnologiche avessero un momento di umiltà, si rendessero conto che non sono in grado di prevedere il lontano futuro meglio di chiunque altro. E se invece di ossessionarsi per ciò che non si può conoscere, si accontentassero di donare con umiltà?

Come virtù l’umiltà non sembra essere “di questo tempo”. Eppure, come la carità, la chiamata all’umiltà è codificata nella dottrina di ogni grande tradizione spirituale. Per i cristiani l’umiltà riassume la dottrina fondamentale secondo cui nessun essere umano ha più o meno dignità di qualsiasi altro essere umano, che la sofferenza di nessuno è seconda per status a quella di qualcun altro. È un’idea che si traduce, in veste laica, nella dottrina dei diritti umani universali.

Umile e radicale 

Come dovrebbe essere un umile miliardario? Umile e miliardario non sono due termini che spesso vanno insieme: i tratti che servono per diventare molto ricco – per non parlare del trattamento che ti riservano gli altri quando hai una grande ricchezza – non sono esattamente in sintonia con l’umiltà.

Eppure solo un altruismo che accetta l’uguaglianza fondamentale della dignità umana può onorare i nostri legami comuni come esseri umani. Sto parlando di filantropia diretta: indirizzare il denaro direttamente nelle tasche dei più poveri di oggi attraverso un ente terzo di beneficenza.

La filantropia diretta è veramente radicale perché abbatte la gerarchia cognitiva e morale tra donatore e ricevente. Nel mondo di oggi il denaro è potere e dare denaro alle persone più povere sposta il potere direttamente dal ricco ai poveri.

Quel piccolo agricoltore in Mozambico ha mai costruito un’azienda da un miliardo di dollari? Forse no. Ma un numero di studi mostra che trasferire il denaro direttamente a quella persona può alleviare sensibilmente la sua povertà in quel momento e far sì che il denaro del benefattore sia al servizio delle priorità del ricevente.

Per le persone di grande successo finanziario, l’illusione che sia stato solo il merito, attraverso il duro lavoro, la lungimiranza o il senso degli affari, a renderle ricche è una premessa potente e allettante.

Il salto dal pensare di sapere come si gestisce un’azienda meglio di chiunque altro al pensare di sapere cosa fare per il futuro del pianeta meglio di chiunque altro è breve. Che la società venda criptovalute o produca auto elettriche e razzi spaziali alla fine è una cosa irrilevante.

L’umanità al centro

Perché la beneficenza sia veramente caritatevole, però, il centro non deve mai essere il benefattore. Perdersi in disquisizioni sul lontano futuro significa perdere il cuore umano della filantropia: l’imperativo di connettersi in modo significativo con chi è meno fortunato di noi e di usare il nostro privilegio per portare speranza a vite senza speranza.

Per fortuna nel 2022 si può donare con umiltà, cioè in un modo che non implica di conoscere i bisogni degli altri meglio di loro, o che possiamo prevedere il futuro in modo più preciso di altri. Enti come GiveDirectly sono specializzati in questo tipo di filantropia diretta e il loro modello è stato adottato da grandi agenzie di aiuto multilaterale come la Fao.

Ci vuole umiltà per accettare che la fortuna e il caso giochino un ruolo di primo piano in tutte le nostre vite. Ci vuole un’umiltà maggiore per accettare che una persona molto povera in un paese molto povero possa decidere il modo migliore per impiegare i nostri $300 in un modo più costruttivo di noi. Se veramente abbiamo fiducia nell’altro, se vogliamo che l’altruismo riguardi l’altro e non noi stessi, non c’è altro modo per dare.


Questo articolo è stato pubblicato dalla testata online Persuasion. 

Traduzione a cura di Monica Fava 

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